Un nuovo commento al film: “Joker. Fai un bel sorriso”
La visione del film Joker, mi ha suscitato diverse riflessioni che riguardano le relazioni familiari, lavorative e sociali.
Il film comincia con una scena di aggressività, dei bulli di quartiere che picchiano un poveretto vestito da clown che per guadagnarsi da vivere attrae i passanti con un cartello pubblicitario in mano. Il tutto accade a Gotham City una città che lotta per la sopravvivenza in cui il nemico è il ricco.
Arthur Fleck dopo questo incidente si fa convincere da un suo compagno di lavoro, che si deve difendere da chi si prende gioco di lui ed accetta una pistola.
Purtroppo con la pistola cominciano i suoi guai.
Durante uno spettacolo con dei bambini la pistola gli cade e Arthur viene licenziato.
Qui Arthur comprende di essere stato eliminato dai suoi colleghi.
Arthur preso dalla sofferenza per la perdita del lavoro, mentre rientra a casa,vede dei giovani ricchi che in metropolitana scherniscono una giovane donna. Arthur comincia a ridere, questa è una reazione non congrua alla situazione, ma lui è affetto da un disturbo neurologico e quella è la sua reazione. I tre giovani attratti dalla sua risata lo aggrediscono, ma Arthur li uccide.
Per la massa il gesto di Arthur diventa un simbolo, la lotta contro l’uomo ricco e prepotente e questo gesto dà inizio al movimento dei clown. La città di Gotham si riempie di clown che assalgono e colpiscono i ricchi. Arthur non ha creato niente, si è difeso, ha difeso, ma il modo di raccontare dei giornalisti, i titoli dei giornali creano un personaggio che lotta contro il potere.
Questo è il significato che dà la massa senza sapere cosa in realtà ha portato quel clown ad uccidere chi si è preso gioco di lui.
Arthur scopre di aver vissuto nella menzogna con una mamma malata, affetta da disturbi psichiatrici che ha instaurato con il figlio adottivo una relazione simbiotica. Arthur per la mamma è sempre stato un bambino che doveva sorridere che non è riuscita a proteggere.
Il sogno di Arthur era diventare un comico e poter partecipare ad un grande show televisivo condotto da Murray Frannklin (Robert de Niro) che un giorno chiama Arthur in trasmissione e gli da il nome di Joker.
Joker dopo una grande entrata uccide in diretta il conduttore perchè si è preso gioco di lui mandando in onda una registrazione di Arthur in cui si esibiva ma non faceva ridere.
Quindi, ancora una volta, i mass media creano un personaggio, lo distruggono, generano sofferenza.
Arthur un po’ alla volta si libera dei suoi aggressori, di chi gli ha fatto del male: uccide la mamma, il suo compagno di lavoro, il presentatore televisivo, il medico in ospedale psichiatrico, il presunto padre, si libera di chi si è preso gioco di lui salvando solo il figlio del politico, la sua vicina di casa e un collega di lavoro, cioè le persone che l’hanno trattato con gentilezza.
Il film mi ha fatto pensare alla sofferenza psichica di un uomo che viene scaricato e ignorato dalla società che insegue i modelli della tv, che vuole diventare qualcuno.
E’ un’opera che parla di povertà, di lotta di classe, di persone sofferenti che vivono ai margini, del contagio emotivo che si trasforma nell’ aggressività incontrollata della folla e genera sofferenza.
Verso la fine del film viene spontaneo chiedersi: ma quello che appare è accaduto realmente o è qualcosa che si anima solo nella mente di Joker? L’aggressività è stata agita o solo rappresentata in maniera più o meno delirante?
La relazione di Joker con la vicina di casa è solo un desiderio o una storia realmente vissuta?
E’ con la sua risata sguaiata, ironica e aggressiva si sta prendendo gioco di noi o sta cercando di venire a patti con la sua dissociazione psichica?
Sono domande, queste, a cui il film non dà risposta, e che inevitabilmente richiamano quelle che ci poniamo ogni volta che ci misuriamo con il comportamento incomprensibile, bizzarro o “matto” dei nostri pazienti.