di Anna Maria Bolla
Alle volte capita… capita raramente, ma talvolta succede.
Durante il turno mentre sei preso da preoccupazioni sul progetto terapeutico dei tuoi pazienti, alle volte capita che squilli il telefono. È una voce fresca e piuttosto sbrigativa che arriva al dunque e ti invita… In comunità le telefonate che presuppongono un invito sono rare, rarissime…
Siamo inseriti in un paese piccolo, Mioglia, e al più possiamo partecipare a qualche inaugurazione. Inaugurazione per l’apertura di un nuovo esercizio commerciale: parrucchiere, tabaccaio, panettiere…
È importante per i nostri ospiti partecipare, sentire di essere inseriti in un contesto di relazioni che superino quella che una volta Andrea, un mio paziente, ha definito queste “quattro mura”.
La voce al telefono è quella di Vanni Oddera, è una voce allegra, giovane e ci invita… proprio a noi… Non solo, mi domanda di invitare le altre strutture affinché partecipino. L’evento è uno spettacolo di freestyle. Si tratta di assistere a uno spettacolo a dir poco spaventoso dove un gruppo di ragazzi si alzano in volo con le loro moto. E via di giri della morte, abbandoni del comando del proprio mezzo e coreografie che tolgono il respiro.
Tutta via dopo c’è un momento Altro in cui gli stessi ospiti, quelli che assistono possono salire su questi mezzi e provare loro stessi a guidare le moto assistiti dagli organizzatori i quali garantiscono una condizione di totale sicurezza. In più di un’occasione ho trovato quest’esperienza molto intensa emotivamente.
Molti spettatori sono disabili, talvolta gravi spesso bambini, vengono presi letteralmente in braccio da uno o più riders e c’è quel momento irripetibile unico in cui intravedi un sorriso. Per i nostri pazienti che disabili fisici non sono, credo che il gusto di salire in moto sia differente, che appartenga al desiderio di sentirsi liberi e di potersi permettere di tollerare la paura e allo stesso tempo divertirsi.
Non tutti provano tale ebrezza e questo è comprensibile ma tutti vengono invitati da questi ragazzi che non sono educatori, non sono psicologi, non sono operatori.
Io credo che gli stessi motociclisti provino qualcosa di nuovo intanto una vicinanza fisica con un altro da te e una vicinanza emotiva che passa per la fiducia “tu non cadrai” che passa per la protezione e per una gamma di gesti che a me ricordano la fratellanza.
Forse perché da piccola mio fratello, di molto maggiore, mi permetteva di salire sul suo Garelli e mi portava in piedi appoggiata con le mani sul manubrio. Erano viaggi brevi ma sentivo il vento e il sole sul viso e sentivo che non potevo temere nulla. Mi abbracciava suo malgrado così proprio come accade nella mototerapia.
E forse come si legge il viaggio talvolta è preferibile alla meta.