Spettano a Rodomonte l’onore e l’onere di chiudere l’Orlando Furioso. Dopo la sua morte non sappiamo più niente di Carlo, i suoi cavalieri e di tutti gli altri personaggi del poema. Il personaggio di Rodomonte mi ha sempre suscitato un’inspiegabile simpatia tanto feroce e potente in battaglia, quanto “svantaggiato” dal destino in circostanze amorose. È solo in apparenza che egli non riceve il favore dello scrittore, in quanto in lui ripone un ruolo fondamentale. Rodomonte apporta dinamismo all’intero poema e un finale, seppur prevedibile nella lotta tra il male e il bene, comunque sconcertante, facendo calare il sipario in maniera improvvisa, lasciando al pubblico molte domande su quello che dietro le tende sta ancora succedendo.
Non mi stupisce che dopo questi mesi di tirocinio in Rems mi venisse in mente proprio Rodomonte, in quanto si fa portatore degli archetipi della violenza, dell’impulso e della tracotanza. Ciò che più mi ha sorpreso è l’incredibile risonanza interna che i pazienti mi hanno provocato.
Al pari di celebri personaggi letterari mi hanno suscitato moltissime domande. La prima riguarda il significato di appartenere a una comunità, piccola o grande che sia, di come inevitabilmente ci si assume un ruolo, con una riflessione che tenti di andare oltre ai rigidi paradigmi antinomici di buoni/cattivi, curanti/curati, giusto/sbagliato, sano/malato ecc…
La seconda domanda tenta di esplorare la dimensione dell’ altro, che possiamo estendere concretamente al “mondo di fuori”. Domanda che nasconde un difficilissimo equilibrio tra l’appartenere e il non appartenere, tra identificazione e individuazione.
L’ultima domanda che mi pongo si rivolge al futuro, avvolto nel mistero. Come medico e prossimamente psichiatra mi impegnerò a interessarmi e celebrare la storia di ogni paziente, accettando e apprezzando, laddove possibile, ogni svolta inaspettata. Perché i finali aperti e inaspettatati non vengono mai dimenticati.
“E due e tre volte ne l’orribil fronte,
alzando, più ch’alzar si possa, il braccio,
il ferro del pugnale a Rodomonte
tutto nascose, e si levò d’impaccio.
Alle squalide ripe d’Acheronte,
sciolta dal corpo più freddo che giaccio,
bestemmiando fuggì l’alma sdegnosa,
che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa.”
Aggiungerei qualcosa. Forse Rodomonte è l’unico personaggio interamente negativo fra i guerrieri saraceni: la sua impresa principale è una strage di civili in una Parigi che, da solo, ha invaso. Anche se qualche nome – Gradasso, Sacripante – è divenuto per noi sinonimo di persona arrogante e violenta, in complesso i suoi compagni sono considerati una controparte rispettabile, avversata e temuta ma pure rispettata, e cooptata in una classe sociale prestigiosa, quella dei guerrieri. Uno di loro, Ferraù, quando condivide la cavalcatura con il cristiano Rinaldo, suscita ammirazione nel Poeta: “o gran bontà dei cavalieri antiqui!”
Non so davvero quanto questo atteggiamento di rispetto per una cultura diversa fosse presente all’età di riferimento, quella carolingia: ma forse lo era all’epoca di Ludovico Ariosto, in un Rinascimento interessato, fra l’altro, agli stimoli provenienti dalla cultura islamica; anche come mediatrice di quel grande recupero della cultura classica che ha affascinato tanti personaggi come, fra gli altri, Marsilio Ficino .
E anche l’atteggiamento verso le donne mostra qualche apertura: il Poeta ammette che Angelica, oggetto passivo, divenga premio al guerriero più valoroso, ma anche che le donne siano capaci di opere più che valide: e non mancano esempi di donne – cavaliere, come Marfisa e Bradamante.
Qualcosa cambia con la Controriforma e con l’opera di Torquato Tasso: questi, in versi molto pregnanti. presenta l’avversario islamico letteralmente come complice del demonio: ed esalta pure la strage perpetrata dai Crociati a Gerusalemme: essa ricorda quella perpetrata da Rodomonte, a parti invertite e su scala maggiore. E preannuncia quelle attuali e forse ancora peggiori.