Vaso di Pandora

“Il maltrattamento istituzionale dei minorenni. Storie per non dormire”: la recensione di Pasquale Pisseri

Recensione al libro: “Il maltrattamento istituzionale dei minorenni. Storie per non dormire” di Juan Luis Linares, Jorge Colapinto, Piergiorgio Semboloni, Alpes Edizioni, 2023.

L’ispirazione di questo volume è dichiaratamente sistemica. Cardini di questa corrente di pensiero sono: la centralità della relazione, l’enfasi sulla creatività piuttosto che sul rispetto di procedimenti codificati, l’idea di una causalità non lineare, quella che il tutto non sia semplice somma delle parti. Tutto indica una vicinanza alle teorie della complessità. Ce lo insegnarono – per citare solo alcuni nomi – la scuola di Palo Alto, la teoria generale dei sistemi di Von Bertalanffy, Prigogine Bateson; In Italia, limitiamoci a ricordare Palazzoli.

L’applicazione di queste idee alla psichiatria ha portato a considerare il disturbo mentale non un fatto individuale ma concernente il gruppo, in particolare il gruppo-famiglia: visto alternativamente come risorsa o come problema.

Il gruppo-famiglia visto come un problema

Problema, poiché qualcuno ha detto che nel sistema-famiglia ogni devianza è funzionale alla sopravvivenza del sistema stesso; e le famiglie schizofreniche sono state definite come le più ingabbiate in schemi operativi. Esprimevano una posizione affine l’idea di Fromm-Reichmann di madre schizofrenogena; l’aforisma di Murray Bowen “tre generazioni per fare uno schizofrenico“; il Laing di “normalità e follia nella famiglia”, che parlava di “violenza mascherata da amore”; nel suo caso, con più che una sfumatura di condanna etica.

Qualcuno tendeva infatti a colpevolizzare la famiglia: idea che non ha fatto molta strada negli esperti autorevoli, ma in alcuni operatori più ingenui sì, poiché la rassicurante fantasia proiettiva “come potrei curare bene questo paziente, se non fosse l’ostacolo della famiglia” non è stata così rara, come ben ricorda chi ha operato negli anni ‘60. Ricordo che un operatore così parlava di un paziente: “poverino, con i genitori che ha” e che un altro, che pesantemente criticava i comportamenti presunti patogeni del padre di un paziente, è rimasto spiazzato quando il genitore ha manifestato a sua volta vissuti psicotici, passando così dalla posizione di persecutore a quella di vittima. Nella cultura di massa, un ottimo esempio è “Qualcuno volò sul nido del cuculo“, con il paziente vittima della madre alleata con l’infermiera cattivissima.

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La famiglia come mediatrice di ingiunzioni sociali patogene

Questa è una versione, volgarizzata e discutibile, di un ulteriore risvolto che peraltro in forma metodologicamente più corretta merita attenzione: la famiglia come mediatrice di ingiunzioni sociali patogene (vedi il freudiano disagio della civiltà). Nasce qui un legame con la dimensione psicosociale e politica: nel ‘68 la ribellione all’ordine politico-sociale faceva tutt’uno con la ribellione all’ordine autoritario familiare. Oggi come ben sappiamo il problema pare opposto: Recalcati ci parla del vuoto lasciato da un padre assente “rifacendosi alla metafora lacaniana di evaporazione del padre“. E c’è un bel film di Bertolucci, del 2003 ma restaurato e riproposto oggi: due coniugi partono e affidano la casa ai due figli e a un loro amico. Succede di tutto: sesso promiscuo, disordine, spazzatura ovunque. I coniugi rientrati, allibiti, non trovano di meglio che ripartire subito, lasciando un assegno come loro unica modalità di intervento…

La proposta di terapie sistemiche

Nel volume, il discorso sulla dimensione sociopolitica del disturbo mentale è ripreso e sviluppato da Raul Medina. Egli ricorda che lo hanno proposto Autori classici come Ackerman o Minuchin; mi piace aggiungere quel “Classi sociali e malattie mentali” di Hollingshead e Redlich ( 1958) divenuto allora uno degli strumenti di quella riflessione che ha portato alla riforma psichiatrica.

Ma lo sviluppo interessante suggerito da questo contributo è la proposta di terapie sistemiche – terapia familiare di terzo ordine, terapia familiare critica – volte ad attivare nelle famiglie la narrativa del potere istituzionale e strutturale; connesso a ciò il discorso sul fondamento emozionale dell’atto sociale, dell’identità individuale, della stessa conoscenza. E anche delle emozioni come strumento di potere dello Stato (e di altre istituzioni, enti, agenzie, aziende): cosa difficilmente contestabile pensando al crescente ruolo ricoperto da esse nella persuasione pubblicitaria, che dal commercio è passata prepotentemente anche in politica. Potrei aggiungere che uno sviluppo recente in questo campo, e che con molta buona volontà potremmo considerare una spinta alla democratizzazione, è il fenomeno dell’influencer.

una famiglia unita

Il gruppo famiglia come risorsa

I contributi riuniti in questo volume considerano la famiglia piuttosto come risorsa, da maneggiare con delicatezza. Ovviamente non negano, tutt’altro, la possibilità che dinamiche familiari turbate, in conseguenza o meno di patologie individuali, agiscano negativamente sulla persona che manifesta sofferenza, in questo caso il minore: ma mettono in guardia contro interventi “chirurgici”, come il facile rimedio di allontanarlo cercando un’altra collocazione. Ciò può rendersi temporaneamente inevitabile: ma la finalità dovrebbe essere – se possibile – una ricomposizione del sistema – famiglia su basi più sane.

Tutto ciò ci conferma ancora una volta come una impostazione accusatoria non faccia legittimamente parte del modo di pensare dei terapeuti familiari: la famiglia-risorsa è utilmente collaborativa, la famiglia-problema richiede un aiuto; essa di solito è l’uno e l’altro, sempre nell’ottica della complessità e circolarità.

Il volume ci parla, sempre in questa prospettiva, di minori e istituzioni. Quello dei minori è ovviamente il campo in cui il ruolo del sistema famiglia è più evidente e rilevante, considerata la loro abituale condizione di dipendenza anche sul piano della realtà logistica ed economica.

L’esperienza di Pasquale Pisseri

La mia personale esperienza nel campo delle istituzioni maltrattanti è stata breve ma significativa: ha avuto luogo negli anni ’60 in quel “repartino” per minori di cui in questo volume tratta, in modo ben più articolato e approfondito, anche Semboloni col suo “Bambini in manicomio“, che conclude il volume. Quando ho conosciuto quegli ospiti, erano adolescenti; per quanto ricordo, almeno alcuni di essi erano li fin da bambini.

La condizione mentale andava da gravi ritardi mentali a stati psicotici a inizio precocissimo, fino a stati esenti da evidenti connotazioni psicopatologiche: almeno in questi ultimi casi, la reclusione manicomiale era lo sbocco di situazioni di gravissime sofferenze socioambientali e familiari. La naturale, fisiologica autoinsufficienza del bambino portava, in quelle situazioni, al ricorso a un qualche istituto, manicomio incluso, il che conferma la natura di questo: un rudimentale e selvaggio servizio sociale, solo secondariamente ricoperto di vesti scientifiche o parascientifiche… Non ricordo violenze agite, a tipo percosse o altro: ma era violenta in sé quella condizione deprivativa, quella cronica carenza di stimoli.

Ricordo che quando ho organizzato qualche passeggiata, nei viali fra i padiglioni, i ragazzi si sono trovati in difficoltà perché non conoscevano i gradini né la salita: inciampavano.

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Il punto di vista di Juan Linares

Juan Linares allarga il discorso, offrendo una cornice teorica che esprime una posizione molto radicale: indica come specifica della specie umana, fin dall’inizio, una particolare attitudine alla solidarietà e alla relazionalità, messe in crisi ma non cancellate dalla rivoluzione neolitica con il sorgere dei rapporti di proprietà, delle gerarchie, di necessarie transazioni, di una cultura – mitologia sociale, di quella che l’A. definisce “dissociazione fra specie e società“, quasi qualificando quest’ultima come qualcosa di estraneo, per natura e origine, alla specie: questa la matrice di ogni maltrattamento.

Ciò mi ricorda, un po’ alla lontana, il freudiano disagio della civiltà; e anche la concezione di Rousseau di stato di natura. In questo contesto, la famiglia come oggi la intendiamo, sconterebbe il difficile rapporto fra funzione nutritiva (propria della specie)e funzione normativa e anzi oppressiva, propria della società. Le istituzioni addette alla tutela del minore, figlie di questa, sono squilibrate in favore di essa, e pertanto maltrattanti necessariamente e quasi per definizione.

Il pensiero di Linares e Coll

In continuità con questa impostazione, Linares e Coll. definiscono l’istituzione (intesa in senso ampio, anche indipendente da una sede o struttura edilizia) come una organizzatrice della condotta dotata di grande riconoscimento; pertanto capace di imporre soluzioni socialmente accettate. Ciò, a parere degli AA, risparmia agli individui la fatica di pensare. Personalmente credo che se si lasciasse una posizione “rousseauiana” per seguire invece quella di Hobbes, al tipo di utilità indicato dagli AA. se ne dovrebbe aggiungere un altro, più decisivo: l’argine alla violenza. Le norme condivise possono limitare – non certo eliminare – scontri cruenti. Quella mega-istituzione che è lo Stato Leviatano – da cui traggono legittimità le istituzioni minori – non crea la violenza ma ne avoca a sé l’esercizio: realizza non certo una sua eliminazione ma una sua canalizzazione, e in questo compito si sporca le mani (vedi Sartre).

Al di là di queste posizioni di principio, Linares e i suoi elencano una serie di fattori che aggravano il maltrattamento istituzionale e l’inadeguatezza delle politiche, quella delle risorse, quella degli operatori.

Ma paradossalmente un maltrattamento istituzionale può verificarsi anche con le migliori intenzioni perseguite con adeguate risorse, se si offre un trattamento non ben mirato sulla situazione specifica: questo aspetto centrale è sviluppato da altri coautori. Altri elementi negativi sono: un atteggiamento giudicante nei confronti della famiglia, che al contrario ha a sua volta bisogno di aiuto; l’ostacolo che di conseguenza si può frapporre agli incontri genitori-figli; un’attribuzione di incurabilità che è fonte e conseguenza di nichilismo terapeutico; oppure il suo quasi – contrario, che gli AA chiamano perfezionismo narcisistico: con ragione, credo, perché legato a una preoccupazione dell’operatore per l’immagine di sé.

Inoltre, la c.d. indolenza gerarchica, che ostacola le decisioni per timore di responsabilità; carenza di empatia, per utenti spesso in condizioni svantaggiate. L’importanza di questo aspetto, su base razzistica o meno, fa parte della generale rilevanza di quella dimensione affettiva ampiamente evidenziata anche da Colapinto: è importante la capacità degli operatori di gestire le proprie implicazioni emotive. Se ciò non accade, ad esempio, può accadere che essi tendano a limitare gli incontri fra figli e genitori, a volte tempestosi, avendo riguardo non tanto alla difficoltà del minore di tollerare la tensione quanto alla propria

Ragazzo triste riflesso in un pezzo di specchio

Il conflitto tra necessità terapeutiche e provvedimenti amministrativi

Schlanger condivide la preoccupazione che si possa procurare danno con le migliori intenzioni: ciò può verificarsi con maggiori probabilità in Servizi che operano in realtà sociali disagiate, e nei quali fra l’altro operano non di rado operatori con esperienza limitata.

Approfondendo questo tema, Linares parla del conflitto – a volte chiaramente esplicitato – fra esigenze terapeutiche e provvedimenti amministrativi, presi fra l’altro da agenzie diverse non sempre collaboranti.

Quando una terapia familiare è in corso, procede su un binario parallelo a quello dei percorsi decisionali; ciò comporta elevati rischi di fallimento, e di quello che l’A. definisce maltrattamento istituzionale, costituito da provvedimenti non terapeuticamente orientati e non raramente nocivi: spesso perché una situazione conflittuale viene erroneamente affrontata separando coattivamente le parti in conflitto magari definendo i “buoni” e i “cattivi” invece di elaborare terapeuticamente la situazione.

Una forma di maltrattamento inapparente è quella su cui si sofferma Jorge Colapinto: la scarsa attenzione al mantenimento dei rapporti fra minore e famiglia, anche nei suoi aspetti conflittuali: anche gestire un conflitto (ovvio, entro certi limiti) può essere un fattore di consolidamento della relazione, mentre un intervento, attuato con le migliori intenzioni, di allontanamento protettivo del minore dal genitore può nocivamente allentare il rapporto, anche deteriorando l’immagine genitoriale agli occhi del minore. Anche per Colapinto è Importante in quest’ottica la condizione socioeconomico-culturale dei genitori: se è tale da porli in posizione di inferiorità e soggezione ai Servizi, ciò costituisce ulteriore complicazione. Ma certo può accadere che sia la stessa famiglia ad allentare o a cercare di rompere il legame con i minore: ricorderei i casi estremi del neonato lasciato in un cassonetto, o alla antica usanza della “ruota”.

I tempi del bambino e i tempi giuridici

Un elemento di criticità è la (inevitabile?) discrepanza fra i tempi del bambino e quelli giuridici, burocratici, amministrativi relativi alle varie procedure e decisioni, definitive o transitorie… Un altro è il non raro atteggiamento di Servizi che si facciano guidare da una valutazione delle capacità, dei diritti e delle responsabilità individuali, a scapito del contesto e dei vincoli interpersonali. Particolarmente delicata la gestione del rapporto fra la famiglia biologica e l’eventuale famiglia affidataria. Problematica anche la tempistica: i tempi del bambino non sono quelli dei tempi tecnici, organizzativi, giuridici. Un principio base raccomandato da Colapinto è che nei casi di temporaneo affido extrafamiliare si garantisca il più possibile una continuità di rapporto con la famiglia biologica.

Utile a capire in concreto di cosa si parla l’intervento di Subirat e collaboratori, che offrono un puntuale resoconto del sistema di protezione dei minori operante in Catalogna.

Leggi anche “Bullismo e paura di crescere

Semboloni affronta il problema delle tossicodipendenze

Il contributo di Semboloni estende il discorso al problema delle tossicodipendenze. Esso trova con il tema del libro quel terreno comune che è la centralità del contesto umano e sociale, con particolare riferimento alla famiglia. E credo che il tossicodipendente ( a volte egli stesso anagraficamente minore) mantenga di fatto una protratta dipendenza – conflittuale fin che si vuole – dalla famiglia di origine; ciò che può avvicinare la sua condizione a quella del minore. Ricordo due situazioni istruttive: due ragazzi che ho conosciuto facevano protratto e sistematico uso di eroina, in un contesto di pesante conflittualità con i genitori ammantata anche di contestazioni pseudo-politiche. Dopo un’odissea di molti anni, sono riusciti a smettere e hanno preso a lavorare regolarmente: entrambi alle dipendenze del padre!

Credo però che una differenza importante fra il TD e il minore “sano” stia nella minor capacità del primo di ispirare simpatia e compassione.

Semboloni prosegue il discorso: con l’aiuto di due specifiche situazioni cliniche, ci racconta di quello che chiama, con serena spregiudicatezza, “pregiudizio sistemico” proprio della scuola di pensiero cui appartiene. Esso, ispirato alla circolarità e alla complessità, deve confrontarsi con decisioni, giudiziarie o meno, non omogenee a tale visione, poiché ispirate alla linearità e al “sic sic, non non”. Le diverse parti in gioco – Servizi tecnicamente qualificati, Autorità amministrative come Comuni, Distretti e quant’altro, Autorità Giudiziaria – dovrebbero giovarsi di un “case manager” dotato di cultura sistemica (questa dunque mantiene una egemonia culturale). Ciò non è accaduto nei due casi esemplari che egli presenta, in cui le differenti visioni nei Servizi hanno comportato iniziative e decisioni unilaterali dei singoli agenti coinvolti nel caso: non sempre fra loro coerenti in quanto spesso ispirate a una prevalente logica lineare rispetto a una complessiva.

Segue una descrizione di un proprio gruppo di lavoro operante nella Asl 3, dove quasi sempre il mandato di intervento veniva dal tribunale con i conseguenti vincoli. Si è reso necessario anticipare il confronto fra la regia del Distretto sociale, e l’operato dei i tecnici consulenti, rivolto fondamentalmente ai genitori, a cura di mini équipes dedicate.

Vuol essere una risposta alla possibile incoerenza di un intervento attuato da agenzie diverse e l’iniziativa presa dai Servizi di Tenerife: il Tavolo Tecnico di valutazione, alle cui riunioni partecipano operatori dei vari Servizi insieme ai familiari, con la finalità di attivare un progetto coerente. Esse hanno un senso non solo operativo – decisionale ma anche terapeutico, poiché favoriscono anche l’espressione di sentimenti associati alla spinta emotiva coinvolgente i vari partecipanti. Varie le fasi: puntualizzazione sulla realtà di partenza, confronto fra le varie fasi di essa, ascolto attivo soprattutto dei familiari, proiezione verso il futuro, presa di decisioni. Segue la compilazione di questionari di valutazione.

Mi sembra una proposta dotata di senso; come lo è il progetto del volume, che aiuta a chiarirci le idee su questo campo così delicato e importante: al di là della cura umanitaria, i minori sono il futuro.

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