I meccanismi di difesa psicologica sono armi piuttosto appuntite, a nostra disposizione, per affrontare esperienze angoscianti e dolorose. Come dice il nome stesso, servono a difenderci e tutelarci da situazioni di pericolo. Rappresentano una sorta di scudo psicologico per il nostro fragile io. La psicoanalisi ha portato avanti uno studio approfondito di queste difese e ne fa uso per spiegare dinamiche psichiche generali. Questi meccanismi hanno grande importanza. Ci danno infatti modo di rispondere al meglio agli stimoli esterni, in maniera dinamica e reattiva. Presentano però considerevoli effetti collaterali. Possono infatti dare origine a condizioni patologiche, nel caso in cui si faccia affidamento su di loro in maniera scorretta.
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Come funzionano i meccanismi di difesa psicologica
I meccanismi di difesa psicologica appartengono alla nostra individualità. Ognuno di noi ne è dotato. Essi ci caratterizzano e ci danno modo di rapportarci con il mondo. Sono il risultato di diversi fattori, tra cui, per esempio, elementi culturali ed ereditari, condizionamenti contestuali oppure relazionali. Le esperienze che viviamo nella vita plasmano i nostri meccanismi difensivi, ci fanno le ossa, come recita un noto proverbio. Li possiamo considerare come forme di reazione che operano al di fuori della sfera della coscienza e sono messi in atto dall’io per intervenire davanti a situazioni angoscianti o ritenute minacciose per la salute mentale. Il loro utilizzo è responsabile dell’adattamento di un bambino alla realtà. L’esistenza e la messa in opera dei meccanismi di difesa psicologica è perfettamente naturale. In taluni casi, però, potrebbero essere rivelatori di un disturbo patologico. Se messi in azione in maniera disadattiva, infatti, possono divenire essi stessi una minaccia.
I comportamenti innescati da questi meccanismi sono studiati da tempo, soprattutto da chi si occupi di psicoanalisi. Il fine è da sempre quello di spiegare come esperienze soggettive, personalità e psicopatologia possano mischiarsi. Si desidera infatti classificare con accuratezza questi meccanismi di difesa dell’io. La mente concede via libera a tali automatismi appresi nel tempo, per proteggerci non solo dalle nostre pulsioni, ma anche da tutto quello che ci può ferire o provocare angoscia. I meccanismi di difesa, in psicologia, si definiscono come espedienti auto-conservativi e ci aiutano a superare ostacoli e difficoltà.
I più comuni meccanismi di difesa psicologica
Esistono svariati tipi di meccanismi di difesa. Essi vengono definiti immaturi o maturi, a seconda del periodo in cui si sviluppano. Quelli primari, o immaturi, lo fanno durante l’infanzia. Generalmente, sono più potenti e difficili da gestire. I maturi o secondari, invece, vengono sviluppati in seguito e coinvolgono alcune aree più evolute come il pensiero, i sentimenti o una combinazione di essi. Alcuni sono più adattivi di altri. Le difese mature sono, di solito, più sostenibili. La psicoterapia riesce a smontare, per così dire, i meccanismi immaturi, o meno produttivi, verso quelli più maturi e sostenibili all’interno di un iter terapeutico volto a fronteggiare ansia o altre situazioni negative che si possono presentare.
Fatta chiarezza su che cosa siano i meccanismi di difesa psicologica, vediamone qualcuno tra i più diffusi.
La negazione
Quello della negazione è forse il più diffuso tra i meccanismi di difesa psicologica. Esso riguarda la sfera di non accettazione della realtà. Nei casi più semplici si tendono a negare, generalmente, gli affetti più profondi di una persona o i comportamenti tenuti in passato. In quelli più complessi (definiti diniego) si negano invece porzioni rilevanti della realtà, se non la sua interezza, e si ha a che fare con una psicosi che deve essere affrontata. Il diniego può infatti sfociare in delirio e danneggiare, anche seriamente, la salute mentale dell’individuo. In questi casi, non abbiamo più a che fare con una difesa, bensì con una minaccia.
La repressione
Questo meccanismo reprime tutti quei sentimenti che potrebbero spaventarci o farci soffrire. Nascondere ricordi dolorosi, traumi e brutti pensieri ci fa sperare che essi non saltino più fuori. In realtà, però, non sigilliamo mai nulla. Tutto quello che reprimiano non finisce in un buco nero, ma continua a influenzarci. Non solo. A un certo punto potrebbe risalire l’abisso ove lo abbiamo confinato e ritornare fuori, magari con rinnovata forza.
La proiezione
Il meccanismo di difesa psicologico della proiezione si suddivide in proiezione in sé e identificazione proiettiva. Quando proiettiamo in noi tendiamo a leggere alcune nostre caratteristiche negli altri. È un comportamento paranoico, che può diventare lesivo. Attribuiamo infatti agli altri aspetti che non hanno e sono figli della nostra fantasia, o di un’analisi del nostro carattere. Ciò ci impedisce di imbastire una relazione positiva con loro. Vediamo infatti subito i difetti, anche se sono soltanto frutto della nostra mente, e innalziamo una barriera che ci mantenga lontani.
L’identificazione proiettiva agisce in modo simile. In questo caso, però, i difetti sono tutti i nostri. La nostra psiche li scinde, separandoli dai nostri pregi, e poi li allontana da noi. Così facendo li avvicina alle persone con cui instauriamo delle relazioni e ci forza a leggere in loro difetti che possono non avere affatto, o possedere soltanto in lieve misura.
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