Di chi sono i figli ?
Fatti di cronaca ricorrenti e raccapriccianti
di Giovanni Giusto
Io direi solo alcune cose di commento e per semplicità le enumero in ordine sparso.
1) Difficile è giudicare senza far danni, spesso chi si propone di farlo si trova inconsapevolmente schiavo di se stesso: sia che si tratti di magistrato di psichiatra, psicologo o assistente sociale deve aver fatto i conti con il proprio modo di sentire (letterale), di valutare i sentimenti e le emozioni; il rischio è quello di “fare” senza riuscire a pensare e soprattutto senza ascoltare l’intimo bisogno di chi ci è di fronte, in questo caso un bambino “conteso” da due adulti che lo hanno occasionalmente biologicamente generato, ma che forse non sono riusciti a “generarlo” mentalmente riconoscendogli una individualità al di la di quello che ciascuno di loro gli ha trasferito dentro con rabbia in un vortice che si autoalimenta inglobando anche le istituzioni come un tornado che cresce e distrugge quello che incontra.
2) l’esempio è utile per riflettere sul limite delle diagnosi in un momento in cui si inaugura il nuovo DSM5 che rappresenta il tentativo di ribadire il potere classificatorio della norma aprioristicamente definita da interessi anche particolare, piuttosto che la necessità di riflettere con onestà sul limite che inevitabilmente caratterizza chi fa la professione nostra (psichiatri).
Il nostro è un bel lavoro, sicuramente creativo che rischia di banalizzarsi in una dimensione prevalentemente classificatoria e biologicamente orientata: allora assistiamo alla discesa in campo dei “dotti, medici e sapienti” per dirla con una canzonetta di Edoardo Bennato che spesso parlano di cose che non conoscono per non essere stati padri o aver dimenticato le emozioni dei figli, rinunciano alla curiosità della scoperta dell’altro e descrivono i fenomeni come per loro devono essere, di fatto distorcendo la realtà un poco come fanno alcuni critici d’arte che vogliono spiegare a tutti i costi un artista perché non tollerano la forza dell’idea e la devono ingabbiare in noiosissime trattazioni, o come a volte fanno i sacerdoti che devono garantore che la “dottrina” non evolva pericolosamente .
3) Allora forse in questi casi è bene riflettere, ascoltare, tollerare una relativa impotenza e non accettare deleghe onnipotenti e come tali molto rischiose: il problema dei ruoli e delle competenze che derivano da una opportuna formazione diviene quindi fondamentale per garantire interventi opportuni, come lo è la buona comunicazione tra rappresentanti di istituzioni scarsamente portate al dialogo……………………………….. ma ci addentiamo in campi minati.