Vaso di Pandora

Comunità Aperta

Credo che un conto sia perseguire un discorso di comunità aperta, in rete con le risorse, rispondente ai bisogni del territorio sociale a cui appartiene, pronta a portare ad autonomia e responsabilità , un conto è perseguire una comunità come  luogo di affiliazione, di scambi affettivi, di ricostruzione, di riparazione.

Credo che la comunità terapeutica debba essere entrambe le due cose, che si debba tener conto delle due cose e che questo non sia affatto facile. Che passi attraverso una costante attenzione agli errori piuttosto che alle soddisfazioni, alle critiche piuttosto che alla gratitudine.

Mi viene in mente De Martis che non so quando mi diceva che se lavoravo bene non dovevo aspettarmi gratitudine che il successo con il paziente era la sua ingratitudine, la sua libertà, il suo andare avanti. Che passi attraverso il vedere oltre il proprio giardino, la propria competenza, riconoscere il valore dell’altro, avere curiosità ed interesse fuori, sentire la responsabilità sociale, farne parte cioè  nel senso migliore dell’ essere cittadini di una democrazia. Che passi attraverso l’analisi dei risultati, la coerenza con il proprio dovere di cura. E quindi tutto questo richieda un continuo cambiamento , scossone a quello che si fa, insicurezza e ricerca. Ed anche una certa solitudine per tentare vie nuove.

Detto questo oggi ho sentito parlare due REMS. Mi ha interessato il discorso di Genova, non perché io sia ormai genovese ma perché vedo nella funzione di filtro che svolge, di restituzione alle risorse del territorio, o a luoghi comunitari più adatti quel dannato lavoro che ho fatto anche nei reparti psichiatrici e andando  indietro anche nell’osservazione maschile dell’ O.P. di Voghera. Era un veloce lavoro di smistamento di chiamare mogli di matti a riprendersi il marito magari alcolista inconsapevole precipitato nel delirium tremens a causa del suo lavoro di mungitore, di allertare genitori, o figli, certo non facevo la terapia multifamiliare, nemmeno psicoterapie ma  cercavo di organizzare una risposta ai bisogni di quella gente lì precipitata. E ci stavo attenta, il timore, la paura  dell’insuccesso o piuttosto del pericolo che avrei fatto correre dimettendo male mi era costantemente accanto. E quello che la REMS genovese fa in questo maledetto e difficile compito (francamente mi pare difficile trovarlo gratificante in termini di gratitudine espressa dagli ospiti), mi risulta in sintonia. Che poi le altre comunità in rete facciano un lavoro buono, beh è compito loro, ma anche nostro, nostro nella nostra capacità di continuare a confrontarci e vedere, criticare chiedere interrogare, noi della psichiatria, noi persone responsabili, non solo professionisti. Noi con responsabilità sociali.

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Commenti su "Comunità Aperta"

  1. Come sempre puntuale e incisiva Roberta.
    Il limite della psichiatria è, tra gli altri, quello di non fare tesoro della storia e del tempo trascorso.
    L’enfasi sulla Comunità Terapeutica è tanto dovuto quanto anacronistico perché lo stesso Basaglia, che già al tempo della lotta anti-istituzionale lo aveva accennato, concorderebbe sulla necessità di passare oltre.
    Intendo dire che molte delle belle cose sentite ieri, sono scontate, trite e ritrite, almeno per noi che trent’anni fa, con Roberta già le facevamo.
    Ora il punto centrale è, a partire da questi valori di contesto, individuare il problema del paziente (perché di questo si tratta), nostro ospite, analizzare i bisogni che provocano dolore e angoscia e individuare i mezzi e le terapie che possono farlo soffrire di meno e uscire, seppur parzialmente, dal blocco delle sue risorse emotive.
    Appunto, i mezzi e gli strumenti: impossibile pensare che un unico strumento possa da solo risolvere il problema complesso della malattia mentale grave.
    Solo sapendo usare strumenti adeguati, in tempi successivi, avremo la possibilità di avere risultati duraturi.
    La Psicoanalisi Multifamiliare è uno di questi ed in più rappresenta uno stile molto coincidente con lo spirito che ha animato il Gruppo Redancia sin dall’inizio; ad esempio, valorizzando le differenze, il dialogo e l’ascolto.
    Il Webinar organizzato insieme ai colleghi di Caltagirone ha evidenziato limiti e pregi della fede e dell’ideologia e rappresenta un valido terreno di scambio e confronto con una realtà che ha a disposizione meno mezzi e strumenti in ambito residenziale; mentre la REMS “Villa Caterina” risente dell’esperienza umana e professionale del suo Direttore che ha lavorato prevalentemente in Spdc e che molto intelligentemente ha evidenziato come il confronto con l’esperienza comunitaria e lo stile conseguente del gruppo, lo abbia aiutato ad essere il leader delle dimissioni dalla REMS.
    Prima si dimettono i pazienti dalla REMS, meglio è; finché la REMS esiste ed è normata da leggi nazionali che la definiscono, inevitabilmente lo è anche Caltagirone, nonostante il condivisibile tentativo di qualificarsi diversamente.
    Il rischio è che ci si appassioni troppo alle REMS ed all’eventuale lotta a loro come si fece col manicomio che alla fine vedeva prevalere la lotta alla terapia e alla capacità di curare.
    Le REMS non mi hanno mai appassionato, seppur riconosco che probabilmente sono state il compromesso utile per uscire dall’Ospedale Psichiatrico Giudiziario in modo definitivo.
    La Dr. ssa Carnovale ha detto, onestamente, una grande verità in modo chiaro e intelligente, seppur poco ascoltata: le REMS (Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) non sono, ed è utile che non siano, confuse con le Comunità Terapeutiche Riabilitative; quelle le abbiamo già. Che poi lo stile di lavoro debba essere caratterizzato dallo stile umano, di rapporti condivisi da democrazia interna e partecipazione… cose per noi scontate e che dovrebbero essere per tutti i professionisti della Salute Mentale.
    Allora confrontiamoci coi risultati e lavoriamo per andare oltre le REMS e le Comunità Terapeutiche.

    Rispondi
  2. Grazie Roberta e Gianni per quello che avete scritto.
    Mi conforta,dopo un incontro in cui ho pensato di non essere in grado, di non sapere tenere i pazienti,d’i non sapere curarli.
    Io li chiamo pazienti perché di questo si tratta.
    Se abbiamo il coraggio di dare un nome a ciò che è,abbiamo già fatto tanto a favore dell’onestà.
    …ieri una giornata infernale
    Come tante,come altre.
    Con troppi pazienti che non vogliono,si oppongono,non accettano,non riconoscono.
    Non è certo la Comunità Terapeutica questa.
    Eppure i pazienti tutto sommato sono gli stessi,noi operatori siamo gli stessi.
    Cosa cambia?
    La Rems è una realtà diversa,unica ,insostituibile nel suo maledetto ruolo.
    Diversi,come ho già detto,sono i tempi ed i modi rispetto alla Comunità..
    Adesso poi,da quasi un anno ormai,siamo chiusi nella chiusura.
    Nessuna Licenza,se non per stretta necessità.
    Tutto più difficile,tutto da giocarsi dentro.
    Si,perché noi le uscite le chiamiamo Licenze,come tutte leRems,le attività le facciamo come tutte le Comunità,magari anche meglio,perché alcuni che sono lì dentro sono più evoluti psichicamente, meno compromessi,più vivaci e più vivi,più capaci ;ma sono licenze di cui rendiamo conto al Magistrato, a cui spieghiamo cosa servono e perché.
    Stiamo bene insieme….direi no e si,dipende dai giorni,dipende da come è cotta la pastasciutta che ci arriva,dipende da come si sveglia quello lì che fa il bullo stamattina,dipende dal tempo e dagli umori.
    Di uno,di alcuni,del gruppo.
    Ed allora si balla,o si canta,si impreca o si maledice sto posto.
    Ma sto posto cida qualcosa,ci da una forza che ci spinge ad uscire,a tentare di cambiare,alla Comunità.
    Andare in Comunità vuol dire essere preparati,riconoscere il bisogno, accettare una cura,mettere da parte la nostra prepotenza ed ascoltare.
    Magari chi arriva in Rems è già stato in Comunità,ma non era pronto ad ascoltare.
    La gratitudine arriva molto dopo
    Arriva anche in Rems.
    Ed è una gratitudine che ti fa fare pace con il mondo
    Ma quanto è costata,a tutti.
    Sono orgogliosa di dirlo.
    Sono convinta che la Rems sia una realtà unica,forse un mostro creato per essere tale.
    Forse non serve,non so.
    So solo che quello che si gioca qua dentro permette alla Comunità Terapeutica che eredita e prosegue,di lavorare su di un terreno preparato e quasi sempre fertile.

    Rispondi
  3. Le équipe impegnate nelle REMS stanno facendo un lavoro importante e molto positivo.
    Ma nasce una riflessione.
    Credo di riscontrare un’aumentata tendenza dei Periti – me incluso – a orientarsi, nei casi dubbi, per la piena capacità di intendere e volere: con la comprensibile finalità di non aggravare troppo le REMS e di non mettere in imbarazzo il Giudice.
    Ciò potrebbe aumentare il ricorso alla carcerazione di persone disturbate, ciò che di per sé non può farci piacere.
    E’ solo un’impressione: varrebbe la pena sentire i Colleghi impegnati nelle carceri (e magari raccogliere statistiche)?

    Rispondi
  4. Eviterei enfasi
    Mi limito a sottolineare la necessità di ribadire il primato della cura sulla custodia o la rieducazione.
    Propongo di lavorare per dimettere e cambiare atteggiamento per limitare di opersre sempre sotto pressione eccessiva.
    In prospettiva le Rems devono diventare REMT ovvero residenza per l’esecuzione di misure terapeutiche

    Rispondi

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