Il termine prosocialità è uno di quelli che va maggiormente di moda, recentemente, all’interno della comunità scientifica. Ciò si deve al fatto che potrebbe racchiudere al suo interno la risposta a una delle domande cui si sta cercando di dare risposta da tempo immemore: l’essere umano, per sua natura, è buono o cattivo? La risposta che si è sempre data a questa questione è dipende. Sociologi e psicologi sono stati convinti, per decenni, che questa caratteristica, come tutte le altre, fosse legata prevalentemente alle condizioni ambientali in cui l’individuo cresceva. Gli studi sulla prosocialità rimettono in discussione questo assioma, almeno parzialmente. Se resta infatti chiaro che chi viene esposto a violenza e soprusi durante lo sviluppo difficilmente crescerà buono e gentile, potrebbe anche esistere una naturale predisposizione alla bontà o alla malvagità. Scopriamo che cosa sia il comportamento prosociale.
Le origini del dibattito sul comportamento prosociale
I bambini sarebbero portati, per natura, a tenere comportamenti cooperativi, indirizzati a favorire e agevolare il benessere degli altri. Secondo le ultime ricerche, i più piccoli sono attori sociali fin dalla nascita. Non tutti, però. Chi nasce con livelli di empatia bassi, o addirittura nulli, difficilmente terrà atteggiamenti improntati alla collaborazione. Niccolò Machiavelli, nel suo trattato di dottrina politica Il Principe, ha scritto che l’essere umano è naturalmente crudele. Jean-Jacques Rousseau, filosofo svizzero e sostenitore del mito del buon selvaggio, aveva una posizione diametralmente opposta. Riteneva infatti che in ogni bambino esistesse un’originaria disposizione alla bontà. Anche Voltaire si riallacciò a questa concezione, sostenendo che la natura dell’uomo non fosse malvagia, ma lo diventasse col tempo. Lo spirito, nella sua visione, si comporta esattamente come il corpo e può dunque ammalarsi.
Probabilmente, ambedue le posizioni sono errate. L’uomo non nasce buono o cattivo ma, al massimo, con una predisposizione alla bontà o alla cattiveria. Questa controversia ha generato un lungo dibattito, prolungatosi instancabile nel corso dei secoli e giunto fino ai giorni nostri. Da trent’anni a questa parte, la psicologia dello sviluppo ha investito tempo e risorse per cercare di risolvere la questione, ma non ha ancora trovato una risposta all’annosa questione. Non siamo in grado di dire se bontà e malvagità siano attribuite alla nascita.
Che cos’è la prosocialità?
Per rispondere alla domanda che intitola il paragrafo è necessario, innanzitutto, precisare quello che intendiamo quando usiamo l’espressione essere buoni. In psicologia, il termine prosocialità è sinonimo quasi perfetto di comportarsi con bontà, laddove con queste parole si intende la tendenza ad agire allo scopo di provocare un beneficio a vantaggio di qualcun altro. Il comportamento prosociale comprende tutte le azioni che permettono di dare, mantenere o accrescere il benessere delle altre persone. Senza alcuna aspettativa di ricompensa esterna. Ma attenzione: prosocialità non è necessariamente sinonimo di altruismo. È importante specificarlo perché molti autori, anche noti psicologi, utilizzano i due termini come se fossero sinonimi, ma commettono un errore. Come precisò Nancy Eisenberg nel 1985, è opportuno distinguere i due concetti.
L’altruismo caratterizza chi desidera il bene degli altri, anche a discapito del proprio, ma prevede comunque un costo per il beneficiario di questo atteggiamento. Si badi bene, spesso sono sufficienti la riconoscenza o il contraccambio, non si tratta di ricompense di altro tipo. La prosocialità è libera da questo meccanismo. Chi agisce per portare un vantaggio a un’altra persona in nome di questo atteggiamento prova già una soddisfazione personale: la prosocialità è già di per se una ricompensa, dal momento che è parte intrinseca della persona, la quale sta bene comportandosi in questa maniera, poiché resta fedele a sé stessa. Non ha bisogno di nient’altro.
Le competenze prosociali
Le competenze prosociali sono conosciute anche come abilità sociali o competenze sociali. Queste denominazioni si riferiscono tutte all’insieme di comportamenti, attitudini e capacità che permettono alle persone di interagire e relazionarsi efficacemente con gli altri in modo positivo, cooperativo ed empatico. Va da sè che queste capacità consentano agli individui di intessere relazioni sane e armoniose gli uni con gli altri, favorendo un clima sociale positivo. Questo è essenziale per contribuire al benessere, tanto individuale quanto collettivo. Le competenze alla base del comportamento prosociale includono:
- empatia. Si tratta della capacità di mettersi nei panni degli altri, comprendendo le loro prospettive ed emozioni nonché interagendo con loro facendo impiego di sensibilità e compassione;
- comunicazione efficace. Saper esprimere pensieri, emozioni e bisogni in modo chiaro e rispettoso significa anche saper ascoltare gli altri in maniera attiva;
- cooperazione. Per intessere un buon rapporto con il prossimo è necessario saperci collaborare. Ricerchiamo soluzioni sempre condivise e facciamo in modo di raggiungere obiettivi comuni;
- condivisione e generosità. Due diversi atteggiamenti che vanno a braccetto. Dobbiamo essere disposti a condividere tempo, risorse e attenzione con le altre persone, anche senza attenderci nulla in cambio. Il principio del celebre modo di dire, l’unione fa la forza, poggia proprio su queste basi, uno spirito generoso e una predisposizione a condividere la vita ci consentiranno di superare molto più agilmente ogni ostacolo che la vita sceglierà di metterci di fronte;
- rispetto e tolleranza. Qui siamo proprio all’abc della vita sociale ma troppe persone fanno ancora fatica a rispettare gli altri come loro pari, accettando differenze e diversità culturali;
- controllo delle emozioni. Questa abilità non è compatibile con ogni carattere, ma chiunque può allenarsi a svilupparla. Impariamo a evitare reazioni impulsive e/o aggressive e gestiamo sempre bene i nostri stati d’animo;
- gestione dei conflitti. Skill ancor più difficile da padroneggiare della precedente. Conflitti e divergenze andrebbero sempre affrontati in maniera costruttiva, cercando soluzioni pacifiche e diplomatiche. In pressoché ogni contesa non è mai necessario giungere alla violenza;
- compassione e aiuto. Offriamo supporto ogni volta che ci rendiamo conto sia necessario, anche se non ci viene richiesto. Non è difficile e ci verrà naturale se svilupperemo un comportamento prosociale tale che ci farà avere sempre a cuore il benessere di chi ci troviamo accanto;
- autocontrollo. Similmente a quanto già scritto per altre competenze, possiamo imparare ad agire in modo appropriato anche sotto pressione o in situazioni particolarmente stressanti;
- comportamento sociale. Se rispetteremo tutte le abilità elencate, svilupperemo una sorta di sesto senso per le norme e sociali accettate in svariate situazioni.