Vaso di Pandora

I problemi dell’adolescenza e le relazioni tra persone

Al giorno d’oggi, sembra che l’adolescenza riesca a rappresentare i problemi di cui soffriamo tutti. Sono d’accordo con Matteo Lancini quando parla del fatto che i problemi dell’adolescenza non stanno dentro una persona ma nelle relazioni tra le persone. E, quindi, tra un genitore e un figlio per esempio.

La tesi di Lancini è che il genitore cerchi di entrare nel ruolo di quello che ascolta e capisce il figlio, ma che poi non è così. Il figlio si sente solo, disperato e incompreso proprio perché non è come il genitore gli aveva fatto capire che lui, il figlio, avrebbe dovuto essere e lui, il ragazzo, non c’era riuscito.

Allora inizia a cercare di recuperare nel rapporto con i coetanei, ma non ci riesce. E i coetanei se ne accorgono e lui diventa sempre più disperato finché tenta il tutto per tutto, come in “Adolescence”.

Dove scoppia la tragedia

Il padre non riesce ad accettare che il figlio abbia ucciso e si gira per non vedere il filmato delle telecamere di sorveglianza, come si era già girato dall’altra parte per non vedere gli “insuccessi” del figlio negli sport. Per non dovere prendere atto di come era fatto il figlio, che non era venuto come lui, il padre, avrebbe voluto.

Dopo aver visto un film del genere, viene da pensare: “Ma non sarebbe proprio possibile costruire delle situazioni in cui fosse possibile parlare delle incomprensioni tra genitori e figli prima che il figlio giunga a compiere qualcosa di irreparabile, come nel film, nei confronti di qualcun altro oppure verso sé stesso?

Oppure impari a preoccuparsi della sofferenza presente nel genitore, di cui lo stesso genitore non si era curato, fino ad anteporre la necessità di sostenere il genitore piuttosto che concentrarsi sulle difficili prove che lo aspettano per portare avanti la sua crescita. Che è, viceversa, il destino che attende chi non riesce a rimanere intero e, ad un certo punto, “si rompe”, diviene psicotico, rimarrà con il genitore per sempre, assicurandogli, così, la possibilità di occuparsi di lui e di non doversi nemmeno porre il problema che, forse, per il figlio, la cosa migliore avrebbe potuto essere costituita dal tentativo di arrivare a pensare ad una vita propria.

Matteo Lancini parla dei problemi dell’adolescenza sul Corriere della Sera

Come dice Matteo Lancini in una intervista a “La lettura”, supplemento domenicale del Corriere della Sera, il genitore pensa di essere in grado di ascoltare e di dimostrare, quindi, di esserci al figlio, ma poi così non accade.

A me viene, a questo punto, la domanda: perché il genitore ritiene di poter essere un buon genitore ma, al contrario, non è in grado di ascoltare e di sforzarsi di capire che ha a che fare con una persona che non è una parte di lui, che non si comporterà come lui si aspetta, ma che non è strano, per questo: si tratta soltanto di un’altra persona, non di una parte di sé.

La serie “Adolescence”

“Adolescence”, poco prima della conclusione, lascia intravedere che ci sarebbero delle possibili risposte e, soprattutto, una strada da percorrere per superare le difficoltà attuali della famiglia.

Il padre ricorda che il proprio padre lo picchiava sempre e che lui si era ripromesso di non fare lo stesso con i suoi figli. Ma ricorda anche di averlo portato a giocare al calcio, che il figlio era stato messo in porta perché era una “sega”, che gli altri genitori ridevano di lui e che lui si girava dall’altra parte. Per non vedere quanto fosse diverso da come lui, il genitore, si era aspettato che il figlio fosse riuscito ad essere, anche perché lui, il genitore, lo aveva trattato bene, al contrario del nonno nei suoi confronti.

Alla fine il padre sembra aver capito, nel suo dolore immenso, che il figlio era diverso da come lui si era aspettato e che lui, il genitore, avrebbe dovuto accettarlo lo stesso e amarlo per quello che era: che avrebbe potuto essere l’unico modo, per il figlio, di cominciare ad accettare sé stesso, anche se sapeva che il padre non era contento di lui.

Per capire un ragazzo ci vogliono tre generazioni

Insomma, per capire un ragazzo ci vogliono tre generazioni: non possiamo fare a meno di ricostruire come è andata al genitore quando è stato figlio dei suoi genitori, i nonni del ragazzo.

Perché i genitori sono gli “snodi fondamentali” attraverso cui passano, da un lato, quello che proviene dalla generazione/i precedenti e, dall’altro, quello che viene inviato alla generazione successiva.

E se loro, i genitori, hanno incamerato della sofferenza ed hanno messo in atto dei meccanismi difensivi inconsapevoli per difendersene che, però, sono risultati così intensi da fare dimenticare loro non soltanto in quale “cassetto del mobile” li avevano messi, ma anche che c’è ancora, da qualche parte, quel mobile in casa, perché, invece, loro non se lo ricordano, non è che quella sofferenza è sparita.

Quella sofferenza rimane dentro di loro e un figlio può sentire che c’è, anche se il genitore è convinto che non sia così.

I problemi dell’adolescenza: il rapporto genitore-figlio

Genitore e figlio non stanno nella stessa posizione: il genitore ha vissuto il suo sviluppo e si è stabilizzato, il figlio lo sta vivendo e, per crescere, ha bisogno di mettere in discussione le opinioni del genitore, altrimenti come fa a capire quello che è del genitore e quello che è suo. Poi fa lo stesso con tutti gli altri.

Invece il figlio si distrae dai suoi compiti di concentrarsi sul suo sviluppo e comincia ad occuparsi di qualcosa che non va nel genitore e dentro di lui. E si deconcentra dal compito di occuparsi primariamente di sé.

Finisce per essere quello che il genitore gli fa capire che sarebbe stato opportuno che lui divenisse.

E lo fa per corrispondere alle aspettative del genitore.

Ma poi basta che incontra qualcuno che gli permette di entrare in contatto con qualcosa di sé che è suo, che non aveva mai avuto la ventura di conoscere e la situazione, che si viene a determinare, lo destabilizza e lui, il ragazzo, non sa più chi essere: quello che è sempre stato, per compiacere il genitore o quello di cui ha sperimentato aspetti, seppure parzialmente ma, al contempo, spaventosamente coerenti con il suo modo di essere?

I problemi dell’adolescenza non sono il segno della superficialità

La crisi non è il segno della superficialità di questi ragazzi, che vivono la realtà dopo aver superato il filtro dei “media”, che si frappone tra loro e la realtà. Un filtro così potente e potenzialmente devastante che alcuni finiscono per affogarci dentro, i cosiddetti hikikomori. La maggior parte ci convivono, seppure a caro prezzo, dato che i “media” disabituano al confronto e rendono difficile riuscire a sentirsi parte di un “noi”, di far parte di una comunità.

Viceversa, sono nel pieno di una guerra dove cadono bombe e granate, come quelle che cadono normalmente nei due luoghi in cui c’è la guerra, nel mondo, in questo momento. 

E se, per caso, non mantengono l’attenzione al massimo concentrata su quello che li riguarda, possono ritrovarsi a mal partito, come nel film.

Ripeto: non è che possiamo immaginare delle situazioni in cui risulti possibile che genitori e figli seguitino a incontrarsi reciprocamente e a scambiarsi quello che pensano l’uno dell’altro, prima che si stabilisca, tra loro, l’impossibilità che questo avvenga?

L’importanza del gruppo di psicoanalisi multifamiliare

Per molti anni ho sperimentato l’importanza di poter avere a disposizione un gruppo di psicoanalisi multifamiliare (gruppi di PM), in cui i componenti di vari nuclei familiari, compresi i figli considerati patologici, i cosiddetti pazienti, provano a ricostruire la storia delle incomprensioni che erano trascorse tra di loro e dei fraintendimenti a cui avevano dato luogo, fino a renderli come degli estranei impegnati entrambi, ognuno a suo modo, a cercare di prevalere nei confronti dell’altro, che non viene più ascoltato. 

Poiché, prima, ma anche dopo, che si instauri il meccanismo che porta due persone a non essere in grado di scambiare più messaggi di contenuto e a cui, viceversa, rimane solo la possibilità di cercare di prevalere sull’altro, la cui opinione non è più degna di ascolto e, perciò, non si ascolta, attraverso i messaggi di relazione, è ancora possibile tornare a comunicare con l’aiuto di un gruppo e di qualcuno che li aiuti a farlo. Propongo, perciò, di utilizzarli per tutti, i gruppi di PM, non soltanto per quelli che stanno già male.

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Commenti su "I problemi dell’adolescenza e le relazioni tra persone"

  1. l’idea di utilizzare i gruppi multifamiliari per tutti e non solo per chi sta male penso anch’io che sarebbe un’ottima proposta. Spesso parlando con altri amici o familiari di figli “normali” mi rendo conto che basterebbe poco per aiutarli a comunicare e la partecipazione a dei gruppi li aiuterebbe certamente. Penso che nei nostri gruppi ritroviamo slatentizzate le stesse problematiche di ogni famiglia.

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