Una signora scrive una lettera al direttore sulle aggressioni ai sanitari. Giustamente ricorda il ruolo dei medici e degli infermieri durante il Covid ed invoca la politica. Il direttore prepara la sua ricetta: più vigilanza, sicurezza, filtri all’ingresso, pene severe. Fa un cenno alla formazione per rendere familiari e pazienti più tolleranti, pur rendendosi conto della difficoltà, ed infine invoca la politica per ridurre il sovraffollamento nei Pronto Soccorso.
Mi spiace ma questa è una ricetta destinata a rendere la malattia sempre più grave.
Il problema a mio parere sta nella disperazione.
Disperati i malati in cerca di cure, disperati i sanitari, stanchi, pochi, rassegnati.
La ricetta per sanare la rabbia e prevenire le aggressioni ai sanitari sta in una seria politica di investimento sulla sanità pubblica. A cominciare dai medici di base. Poche ore di lavoro per mille, mille e cinquecento pazienti. E montagne di burocrazia. Il mio medico è andato in pensione e non ho neppure ricevuto un messaggio, un invito a cambiare medico.
I pazienti non si sentono visti fino a che non hanno problemi seri, e allora comprendono che il medico è sovraccarico, evitante. Perché bastano cento pazienti in crisi per mandare in crisi il medico, e farlo arroccare sulla medicina difensiva.
Dobbiamo ripartire dalla base. Una compartecipazione dei pazienti, anche fino al 30% alla francese, una medicina preventiva, almeno una visita all’anno con relative analisi mediche in funzione dell’età dei pazienti, e il riassorbimento dei medici di base nel sistema pubblico.
Forse così i pazienti arriveranno meno inferociti ai pronto soccorso e ai presidi sanitari del SSN.