Vaso di Pandora

Come la qualità della relazione precoce genitore-bambino può influenzare il futuro rapporto con i figli

Come la qualità della relazione precoce genitore-bambino può influenzare il futuro rapporto con i figli

di Cinzia Zaccaro

Riassunto
Questo lavoro analizza in che modo la qualità della relazione precoce mamma-bambino possa influenzare quello che sarà il futuro ruolo genitoriale del figlio. Ripercorrendo la teoria dell’attaccamento di John Bowlby si si può evidenziare quanto sia necessaria per il bambino, per un buon inizio di relazione con l’ambiente, una figura di riferimento come “base sicura”.

Al contrario si osserva quanto il percorso di crescita del neonato sia più sfavorevole se ciò viene a mancare. I sentimenti e i comportamenti di una madre nei confronti del figlio sono profondamente influenzati anche dalle sue precedenti esperienze personali, specialmente quelle che ha avuto e che può ancora avere con i propri genitori. Una madre rifiutante può essere la ripetizione di una problematica esperienza infantile vissuta.

Summary
This job analyses the way the quality of a precocious relationship mother-child can influence the future parenthood of the child.
Going back to the theory of the attachment of John Bowlby  we can show how much necessary is to a child, for a good start of the relation with the environment, a reference point as ‘ safe basis’.
On the contrary, it can be observed that the growth of a child is much more unfavourable when the ‘safe basis’ is missing.
Feelings and behaviours of a mother to her child are deeply influenced also by her former personal experiences, mainly those she had and still has with her parents.
A refusing mother can be the repeating of a problematic experience in her childhood.

 

Per poter scrivere esaurientemente sulla qualità della relazione precoce genitore-bambino, e come questa si ripercuoterà sul futuro ruolo genitoriale, è utile illustrare le origini della teoria dell’attaccamento.
La teoria dell’attaccamento è frutto della collaborazione tra John Bowlby e Mary Ainsworth. Nel tracciare le basi teoriche del suo pensiero, John Bowlby prese spunto dall’etologia, dalla cibernetica, dall’informatica, dalla psicologia dello sviluppo e dalla psicoanalisi. Egli rivoluziona il modo di concepire sia il legame che si stabilisce fra la  madre e il bambino, sia il suo disgregarsi in situazioni di separazione, deprivazione e perdita. La metodologia innovativa di Mary Ainsworth non solo rese possibile verificare empiricamente alcune delle intuizioni di Bowlby, ma contribuì anche ad arricchire la teoria e a suggerirne le attuali linee di sviluppo.
Alla Ainsworth si deve l’idea di figura di attaccamento come “ base sicura “ dalla quale il bambino esplora il mondo. Essa, inoltre, formulò il concetto di sensibilità materna ai segnali del bambino, mettendo in risalto il ruolo che tale componente gioca nello sviluppo dei pattern di attaccamento che si stabiliscono tra i due.
Le idee che attualmente guidano la teoria dell’attaccamento hanno una lunga storia. Sebbene inizialmente John Bowlby e Mary Ainsworth abbiano lavorato in modo indipendente l’uno dall’altra, entrambi sono stati influenzati da Freud e da esponenti  del pensiero psicoanalitico.
John Bowlby si laurea nel 1928  presso l’Università di Cambridge, dove riceve una rigorosa formazione scientifica e frequenta corsi della disciplina oggi chiamata Psicologia dello Sviluppo.
Lavora come volontario in una scuola per bambini con problemi psicologici,  maturando nello stesso periodo  le scelte fondamentali della sua vita professionale.
Convintosi che le esperienze familiari precoci determinano lo sviluppo della personalità,  decide di esercitare la professione di psichiatra infantile.
Durante gli studi in medicina e psichiatria, inizia il tirocinio presso il British Psychoanalytic Institute. In quel periodo l’influenza di Melanie Klein all’interno dell’istituto è dominante.  Nonostante ci sia un importante gruppo di lavoro con Anna Freud,  Bowlby viene in contatto con le idee della Klein tramite la propria analista, Joan Rivière, una collega della Klein che ne condivideva il pensiero, e, da ultimo, attraverso la supervisione della stessa Melanie Klein. Pur riconoscendo alla Rivière e alla Klein il merito di averlo introdotto all’indirizzo psicoanalitico focalizzato sulle relazioni oggettuali, che sottolinea l’importanza delle prime relazioni e il potenziale patologico della perdita, Bowlby esprime fin dall’inizio  riserve su alcuni aspetti dell’approccio kleiniano alla psicoanalisi infantile. La Klein sosteneva che i problemi emotivi del bambino sono quasi interamente attribuibili, più che agli eventi del mondo esterno, alle fantasie generate dai conflitti interni che sorgono fra pulsioni aggressive e pulsioni libidiche. Per tale motivo vietò a Bowlby di parlare con la madre di un bambino di tre anni da lui seguito in analisi sotto la sua supervisione. Questo a Bowlby sembrò un controsenso, giacché, nel corso del suo tirocinio post-laurea alla Child Guidance Clinic di Londra, aveva maturato la convinzione che le esperienze familiari vissute sono importantissime, e forse addirittura la causa prima di ogni disturbo emotivo.
L’intenzione di Bowlby di controbattere le idee della Klein attraverso la ricerca empirica è chiara fin dal suo lavoro teorico (1940), in cui sostiene che gli psicoanalisti dovrebbero studiare, come i vivaisti, la natura delle piante, le caratteristiche del terreno e la loro azione reciproca. Più precisamente egli afferma che, per le madri in difficoltà, si era dimostrata in alcuni casi veramente efficace un’intervista settimanale che affrontava i loro problemi da un punto di vista psicoanalitico, riportandoli all’epoca della fanciullezza. La madre, dopo essere stata aiutata a ritrovare e a riconoscere i sentimenti da lei provati quando era bambina, e a scoprire che essi erano accettati con tolleranza e comprensione, si mostrava più comprensiva e tollerante verso il proprio bambino che presentava gli stessi problemi.
Questa citazione rivela il precoce interesse teoretico e clinico di Bowlby per la trasmissione intergenerazionale delle relazioni di attaccamento, e la sua convinzione di poter aiutare i bambini offrendo aiuto ai genitori. Prova ne è che quando alla fine della Seconda guerra mondiale, Bowlby fu invitato a dirigere il reparto infantile della Tavistock Clinic, in linea con le sue vecchie idee sull’importanza delle relazioni familiari nella terapia infantile, egli modificò immediatamente il nome ribattezzandolo Reparto per bambini e genitori. In quello che è considerato il primo lavoro pubblicato sulla terapia familiare, Bowlby racconta come riuscisse spesso a ottenere miglioramenti sul piano clinico intervistando i genitori, in presenza degli stessi bambini, a proposito delle loro esperienze infantili.
Egli decise quindi di creare un proprio gruppo di ricerca centrato sulla separazione madre-bambino. Poiché la separazione è un evento ben identificabile e innegabile, i suoi effetti sul bambino e sulla relazione col genitore sembravano più facilmente documentabili rispetto alle più sottili influenze delle interazioni con i genitori e con i familiari.
L’incontro con Mary Salter Ainsworth tramite un’inserzione sul London Times, che annunciava una ricerca  di John Bowlby sugli effetti che la separazione dalla madre esercita sullo sviluppo della personalità nella prima infanzia, segna l’inizio di  una collaborazione che  li trova uniti fino alla riformulazione della teoria dell’attaccamento pubblicata da Bowlby nel 1969.
Nel 1951 Bowlby aveva pubblicato per la World Health Organization una monografia: “Maternal care and mental health”, sui bisogni dei bambini senza famiglia, dove passava in rassegna le prove dell’influenza sfavorevole esercitata, sullo sviluppo della personalità, dall’inadeguatezza delle cure materne durante la prima infanzia.
Occorreva elaborare una teoria più coerente con i dati osservati, che sostenesse l’idea di un comportamento di attaccamento con una dinamica propria, distinta dal cibo e dal sesso. Le teorie correnti si basavano sul concetto che il legame  mamma bambino si fonda sul cibo. Sia che si parli di pulsioni primarie (la fame) e di pulsioni secondarie (la relazione personale) sia che si parli di relazioni oggettuali, e quindi il seno come proprio oggetto, l’accento è sul cibo e sull’oralità, nonché sulla natura infantile della dipendenza.
L’incontro con le ricerche di Lorenz sulla risposta del seguire la madre manifestata dai paperotti fu di fondamentale interesse per Bowlby. Dimostrava che in alcune specie animali poteva svilupparsi un forte legame nei confronti della figura materna senza l’intermediazione del cibo. Bowlby introduce allora la funzione biologica della protezione, e l’attaccamento viene visto come schema fondamentale di comportamento con una propria motivazione interna, distinta dal comportamento alimentare o sessuale, quindi altrettanto importante per la sopravvivenza.
A questo punto si doveva fare una chiara distinzione tra comportamento di attaccamento e attaccamento. Mentre il comportamento di attaccamento può essere manifestato in circostanze differenti nei confronti di diversi individui per mantenere od ottenere una prossimità che si desidera, l’attaccamento duraturo, o legame d’attaccamento è riservato solo a pochissimi individui, è un attributo della persona che si è attaccata, che non è influenzato dalla situazione momentanea e che persiste, cambiando solo lentamente nel tempo.
In questa teoria il concetto chiave è quello di schema comportamentale, concepito come un’organizzazione psicologica interna, in analogia con un sistema fisiologico organizzato in modo omeostatico, i cui limiti stabiliti riguardano la relazione con persone chiaramente identificate con un certo numero di caratteristiche altamente specifiche, che comprendono schemi di rappresentazione di sé e della figura/e di attaccamento.
La teoria dell’attaccamento si è sviluppata come variante della teoria delle relazioni oggettuali e il suo schema concettuale è progettato per contenere tutti quei fenomeni su cui Freud ha puntato l’attenzione: le relazioni d’amore, l’angoscia di separazione, il lutto, la difesa, la collera, la colpa, la depressione, il trauma, il distacco emotivo, i periodi sensibili dei primi anni di vita.
Per quanto riguarda l’angoscia di separazione, intesa come angoscia di perdere o essere separati da qualcuno che si ama, in situazioni che non presentano tale eventualità, nell’approccio etologico si è osservato come sia l’uomo sia gli altri animali rispondono con la paura a certe situazioni, non perché queste presentino un alto rischio di dolore o di pericolo, ma perché segnalano un aumento del rischio. Se l’angoscia di separazione viene considerata sotto questa luce è evidente perché le minacce di abbandono, così spesso usate come mezzo di controllo, siano per il bambino così terrificanti. Le minacce di abbandono creano un’intensa angoscia, ma anche collera, la cui funzione è dissuadere la figura d’attaccamento dal mettere in atto la minaccia, ma che può facilmente diventare disfunzionale.
Se l’angoscia di separazione è la risposta ad una minaccia di perdita, il lutto è la risposta alla perdita verificatasi.
Uno studio sulle risposte al lutto di adulti e di bambini evidenziò le somiglianze: la collera, diretta contro terzi, contro se stessi e talvolta contro la persona scomparsa; il rifiuto di credere che la perdita sia avvenuta; una tendenza, spesso inconscia, a cercare la persona scomparsa, nella speranza di un ricongiungimento.

 

Un successivo passo nella formulazione della teoria fu compiuto da Bowlby nella concettualizzazione dei processi difensivi, in particolare per quanto riguarda i bambini piccoli nelle situazioni di forzata separazione dalla madre.
Un bambino piccolo, temporaneamente separato dalla madre, mostra al suo ritorno un comportamento distaccato, come se tutti i suoi comportamenti e sentimenti nei riguardi della figura materna, che comunemente diamo per scontati, fossero scomparsi: Questo distacco è la conseguenza della disattivazione, temporanea o permanente, del sistema di controllo dell’attaccamento, che quindi non è più in grado di attivare il comportamento di attaccamento e con esso i sentimenti e i desideri che normalmente l’accompagnano; così i segnali che normalmente farebbero attivare il comportamento di attaccamento mancano di farlo.
Nel bambino che presenta un distacco emotivo e negli adulti che hanno sviluppato un “falso sé” o una personalità “narcisistica”, vengono esclusi quei segnali, provenienti dall’interno o dall’esterno, che attiverebbero il comportamento di attaccamento e gli permetterebbero sia di amare sia di essere amato. Viene attivata un’esclusione selettiva routinaria, che Bowlby battezza esclusione difensiva (“è solo un altro modo di descrivere la rimozione”) e considera, come la rimozione, il processo chiave di ogni forma di difesa.

 

In sostanza le esperienze negative infantili hanno almeno due tipi di effetti:

•    Rendono l’individuo più vulnerabile ad esperienze avverse successive
•    Aumentano la possibilità che vada incontro ad ulteriori esperienze del genere

 

Mentre è più probabile che le prime esperienze sfavorevoli siano indipendenti dall’agire del soggetto, è possibile che le più tardive siano conseguenti delle azioni della persona stessa, azioni che nascono dai disturbi della personalità originatesi dalle esperienze primitive.
La teoria dell’attaccamento differisce dalle teorie psicoanalitiche tradizionali sostituendo il modello di sviluppo studiale, con fissazioni e regressioni, in favore di un modello per percorsi di sviluppo.
Tale modello afferma che alla nascita il soggetto ha davanti a sé una gamma di possibili percorsi e quello su cui procederà è determinato ogni istante dall’interazione con l’ambiente. I cambiamenti nel modo in cui il bambino è trattato possono far deviare il suo percorso in una direzione più favorevole o in una più sfavorevole.
Perché una mamma può essere rifiutante? Può essere la ripetizione di un’esperienza vissuta, oppure ci sono delle proiezioni di parti interiorizzate.

 

Lo schema di attaccamento che un individuo sviluppa è influenzato dai modi con cui i genitori lo trattano.
Tre modelli principali, identificati per la prima volta dalla Ainsworth nel 1971, sono oggi identificati con sicurezza.

1. L’attaccamento sicuro, in cui l’individuo ha fiducia nella disponibilità, nell’aiuto e nella comprensione che il genitore gli da in caso di situazioni avverse o terrorizzanti.
2. Attaccamento di resistenza angosciosa, in cui l’individuo non ha la certezza che il genitore sia disponibile o pronto a rispondere o a dare aiuto se chiamato in causa. Per questi motivi il bambino è incline all’angoscia di separazione, tende ad aggrapparsi e l’esplorazione gli crea ansietà. Questo schema è favorito da un genitore non sempre disponibile, da separazioni o da minacce usate come sistema di controllo.
3. Evitamento angoscioso: l’individuo non ha fiducia nella possibilità di avere risposta quando richiederà cure, anzi si aspetta un rifiuto; quindi tenta di essere autosufficiente sul piano emotivo (falso sé o personalità narcisistica).

Dalle osservazioni effettuate dalla Ainsworth (strange situation) certi bambini sono apparsi disorientati e/o disorganizzati, con reazioni sconcertanti… Queste particolari forme di comportamento, che non rientrano nello schema precedente, si manifestano nei bambini che presentano una versione disorganizzata di uno dei tre schemi tipici, e più frequentemente si tratta di attaccamento di resistenza angosciosa.
Conoscere l’origine di questi schemi conferma l’influenza esercitata dalle modalità genitoriali sullo schema di attaccamento del bambino. Bisogna quindi tenere in considerazione che cosa ha indotto la madre ad adottare quel particolare stile. Un’influenza importante a questo proposito è la qualità di sostegno emotivo, o la sua mancanza, che lei stessa sta ricevendo in questo momento; un’altra è il tipo di cure materne che ha ricevuto da piccola.

Ogni schema di attaccamento, una volta sviluppato, tende a persistere. Un motivo è che il modo in cui i genitori trattano il figlio, in bene o in male, tende a rimanere immutato, un altro è che ogni schema tende ad autoperpetuarsi. Un bambino ansiosamente ambivalente tenderà a piagnucolare, mentre quello con evitamento ansioso tenderà a mantenere le distanze e ad essere prepotente con gli altri bambini; è probabile che tali comportamenti suscitino una risposta sfavorevole da parte dei genitori, sviluppando così un circolo vizioso.
Nei primi due o tre anni di vita lo schema di attaccamento è una proprietà della relazione, quindi se varia il trattamento lo schema varierà di conseguenza. Quando il bambino cresce, lo schema diventa sempre più di proprietà del bambino stesso, cioè egli tende ad imporlo nelle nuove relazioni che intreccia.
Nel modello stesso che ciascun bambino si costruisce, si riflette l’immagine che i suoi genitori hanno di lui, derivata da ciò che fanno e da ciò che dicono. Una volta costruiti,  questi modelli tendono a persistere e ad essere introiettati . Man mano che il bambino con attaccamento sicuro cresce, i comportamenti dei genitori nei suoi confronti cambiano, aggiornando così il modello. Nel bambino con attaccamento angoscioso questo graduale aggiornamento del modello è impedito dall’esclusione difensiva di esperienze ed informazioni discrepanti. La chiave per la comprensione di queste differenze nel grado di aggiornamento dei modelli si trova nelle profonde differenze, nel grado di libertà, nella comunicazione tra madre e figlio.

Perché una relazione tra due individui proceda armoniosamente, ciascuno deve essere consapevole del punto di vista dell’altro, delle sue mete, dei suoi sentimenti, delle sue intenzioni, e ciascuno deve adattarsi all’altrui comportamento, in modo che possa venire negoziata una certa unificazione degli obbiettivi. Per questo è necessario che ciascuno abbia dei modelli ragionevolmente accurati del sé e dell’altro, modelli che siano regolarmente aggiornati attraverso una comunicazione libera tra i due.
L’impedimento della comunicazione tra differenti parti o sistemi all’interno di una personalità,  è il riflesso di differenti comunicazioni e risposte dalla madre verso il figlio.
Quando una madre risponde positivamente solo a certe comunicazioni del figlio e non risponde o ne scoraggia altre, si viene a formare uno schema in cui il bimbo fonda la sua identità sulla base delle risposte favorevoli e disconosce altre parti di sé; qualunque aspetto di lui la madre non riconosca, anch’egli probabilmente non lo riconoscerà in se stesso.
La conclusione raggiunta riguardo al ruolo di una comunicazione libera, emotiva e cognitiva nella salute mentale, è confermata dalle ricerche: mentre la madre di un bambino sicuro è capace di parlare con libertà e con emotività della propria infanzia, la madre di un bambino insicuro non è in grado di farlo.

Un modo tipico delle madri di bimbi con attaccamento di resistenza angosciosa di descrivere la propria infanzia, è una relazione difficile ed infelice con la propria madre, mentre la mamme di bambini con attaccamento di evitamento dichiarano in modo distaccato e generico di avere avuto un’infanzia felice, senza peraltro riferire particolari o dicendo di non ricordare nulla. Le madri che, pur dichiarando un’infanzia infelice, sembrano essere venute a patti con la propria esperienza, hanno bambini che mostrano un attaccamento sicuro nei loro confronti; nella capacità di equilibrio tali madri, in effetti, assomigliano alle altre madri dei bambini sicuri, le esperienze negative sembrano essere integrate con quelle positive e il racconto è fluido e coerente.
Tutte queste correlazioni sono valide anche per i padri.

H. Klaus ( 1996 ) descrive i bisogni di aiuto di un padre collegati alla sua esperienza precedente: “Un padre ci raccontò come non sentisse alcuna vicinanza con il suo bambino e pensasse di non essere capace di allevarlo. Rivelò che non aveva mai conosciuto suo padre e che era stato dato in affidamento dopo un periodo trascorso in istituto. Non aveva avuto modo di interiorizzare un modello di comportamento paterno, e aveva bisogno di essere aiutato e incoraggiato per poter trovare aspetti genitoriali di se stesso da offrire a suo figlio. Quando ciò accadde, già corrispondeva amorevolmente col bimbo, in modo spontaneo ed inconsapevole… I sentimenti di vuoto che aveva vissuto nella sua infanzia cominciarono ad essere colmati e guariti nella delicata e gratificante interazione che si era creata tra lui e suo figlio” (pag.114).

Peraltro i problemi psicologici che non vengono individuati ed affrontati durante la gravidanza spesso si ripresentano dopo la nascita del bambino. L’interazione tra i genitori e il bambino segue un complesso copione che dipende da ogni coppia di genitori, dalla storia di ciascuno, dalle esperienze passate e dall’attuale situazione di vita. Dopo il parto, nelle donne che si sentono  preparate ad avere un bambino  vengono attivati o stimolati ricordi o sentimenti relativi alla loro infanzia, ben diversi dai pensieri e sentimenti consci precedenti. Solitamente l’annuncio di una gravidanza provoca un’esplosione di emozioni e i nuovi genitori cominciano a porsi molti interrogativi che si originano da molti fattori: la coscienza che ognuno ha di se stesso, l’esperienza che la coppia ha accumulato, la situazione economica della famiglia, le attese e i progetti fatti, la sanità fisica di uno dei due genitori, le ansie e le preoccupazioni verso il nascituro, ecc.

Le esperienze passate, poi, rappresentano uno degli elementi più importanti nel modellare il ruolo delle figure genitoriali, tanto che, afferma Klaus ( 1996 ), si possono trovare esempi di neonate che, nutrite tramite sondino senza mai essere tenute in braccio, a causa di certe prerogative legate alla nascita, si presentano dapprima come bambine che non tengono mai in braccio le bambole, e in seguito come madri che, allo stesso modo, non tengono mai in braccio le proprie figlie e le alimentano tenendole di fronte a sé, sedute sulle ginocchia. E addirittura, poi, tale modello di relazione passa alla generazione successiva.
Perché, molto tempo prima di diventare madre, ogni donna ha preso un repertorio di comportamenti materni legati a com’è stata accudita dalla propria madre, dall’osservazione, dal gioco e dalla pratica.
Il caso di Debra ne è un esempio (“Dove comincia l’amore” pag. 32).

Romana Negri nel 1994 aveva nel suo libro “Il neonato in terapia intensiva” affrontato il delicato momento della gravidanza affermando che nel processo psicologico che accompagna la nascita di un figlio (dal progetto e dalle fantasie di concepimento e di gravidanza fino al rapporto con il neonato) i giorni post partum rappresentano per la madre un momento di crisi. La donna, infatti, vive una particolare condizione di fragilità: le parti infantili del Sé abbisognano di essere contenute e confortate.
Nel corso della gestazione avviene un progressivo passaggio dal narcisismo e dai meccanismi iniziali d’idealizzazione e d’identificazione proiettiva (il prodotto del concepimento confuso con parti del corpo della donna e con le aspettative del Sé narcisistico) al progressivo congiungersi, nella madre, di parti mature e infantili del Sé e all’accettazione della separazione dal figlio (parto e nuovo rapporto con il neonato).
Questo processo può riproporre conflitti antichi con oggetti interni; tutte le angosce e delusioni della perdita della fusione e dell’onnipotenza; le ansie e le sofferenze della separazione e della depressione.

Durante il parto la donna sperimenta una regressione psicologica al momento della sua nascita, alla sua essenziale vulnerabilità. Se ha ricevuto cure materne insufficienti, l’assistenza che riceve in questo momento irripetibile della sua vita può contribuire a fornirle nuove cure materne e in un certo senso a guarirla delle sue remote esperienze eventualmente non positive. Perché ci sia questo effetto, la persona che assiste una donna in travaglio deve essere particolarmente abile e intuitiva, “far da madre alla madre”, sempre accettante e mai giudicante.
Il principale compito di un’ assistente al travaglio è di creare un ambiente di “sostegno” che dando sicurezza può far scaturire quelle forze interne che permettono alla partoriente di affrontare in modo competente tutta la situazione.
Bowlby (Una base sicura-1989) afferma come l’influenza delle esperienze infantili dell’accudimento sia evidenziata in uno studio di Frommer e O. Shea .

“…In una donna l’esperienza del parto può far riemergere le sue reazioni collegate al dolore non risolto per la morte di sua madre o per una relazione insoddisfacente  per lei, o per la separazione in giovine età da uno o entrambi i genitori…
Una donna ci raccontò quanto si fosse sentita inaspettatamente triste quando per la prima volta aveva osservato il volto del bambino e lo aveva guardato negli occhi. Poco dopo disse che aveva avuto l’intenzione di tentare di far sì che sua madre guardasse lei. Come ricordò, le avevano detto che sua madre si era ammalata di depressione nel periodo della sua nascita, e per un bel po’ di tempo non l’aveva nemmeno guardata. Quando fu in grado di distinguere la sua situazione precedente dall’esperienza che aveva avuto con sua madre, riuscì a provare piacere nella vita col suo bambino”.(Pag.15).

E ancora Bowlby (Una base sicura-1989)
“Le donne incinte che raccontano di essere state separate da uno o da entrambi i genitori prima degli undici anni di età, sono particolarmente esposte al rischio di avere difficoltà coniugali e psicologiche dopo la nascita del figlio, ed è anche probabile che sorgano dei problemi riguardo all’alimentazione e al sonno dei loro bambini”.  Pag.15 )

Un altro dei molti schemi di comportamento parentale disturbato che possono essere ascritti, almeno in parte, alle esperienze dell’infanzia,  è la tendenza delle madri ad aspettarsi cure e attenzioni dai propri figli, invertendo la relazione.
Durante i colloqui le madri descrivono regolarmente come da bambine, anche loro avessero avuto la responsabilità di doversi prendere cura dei propri genitori, invece del contrario.
La maggior parte dei genitori che si aspettano che i propri bambini abbiano cura di loro ha sperimentato a sua volta delle cure parentali molto inadeguate.
 L’importanza dell’influenza delle esperienze infantili dei genitori è a questo punto innegabile e molto è stato scritto negli ultimi decenni su questo argomento.
Spitz, Bowlby, Winnicott, Selma Fraiberg, la stessa Mary Ainsworth e altri, sono tutti concordi nell’affermare quanto il bambino piccolo abbia assoluta necessità di una madre sensibile e presente che costituisca una “base sicura” per la sua crescita.
Il modo in cui il bambino formerà le sue relazioni di attaccamento e reagirà  alle separazioni dipenderà dalle cure ricevute nei primi mesi di vita.

Bibliografia:
Bowlby, J. “Attaccamento e perdita”, Boringhieri, Torino, 1975, Cap.IV             

Bowlby, J. “Una Base Sicura”, R. Cortina, Milano, 1989, Cap. II-VII

Klauss, M.H. et al “Bonding Building the foundation of secure attachment and Indipendence”. London, Cedar Press, 1996. ( Esiste trad.italiana )

Negri,R. e al “Correlazione tra vita prenatale e formazione della personalità”, in Quaderni di Psicoterapia Infantile, N.22, p.148.

Negri, R. “Il neonato in terapia intensiva”, Cortina, Milano,1994, Cap.1,2,3, Appendice di Meg Harris Williams

Piontelli, A. “From fetus to child”, Routiedge, London/New York, 199, Cap.I

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