Commento all’articolo “Il PD: la Rems di Pra’ doveva essere una struttura provvisoria”, La Repubblica, 22/7/2023
Il Capogruppo PD in Consiglio Regionale segnala che in Liguria l’assistenza a pazienti mentali autori di reato continua ad essere svolta dalla REMS di Pra anziché da quella di Calice Ligure. Emerge nell’articolo il disappunto perché la funzione richiesta è tuttora affidata a una struttura posta in contesto urbano anziché a una situata in un paesello all’estrema periferia della regione Liguria, dove ovviamente, qualunque sia la qualità dell’intervento terapeutico, la collocazione geografica decisamente infelice limita fortemente il legame del paziente con i suoi abituali contesti di vita: a partire dall’aspetto più banale, le visite dei parenti.
Torna quindi la nostalgia per l’isolamento del paziente, modalità che ha un effetto immediato “piacevole” e uno a lunga scadenza molto negativo.
Quello immediato è l’evitare alla collettività il rapporto con i pazienti, con connessi eventuali fastidi e timori. Quanto a quello negativo a breve e lunga scadenza, il prevederlo non richiede grossi sforzi di fantasia: lo abbiamo già visto in un passato non poi così lontano, con lo sviluppo dei manicomi.
Esso ha dimostrato che il recidere il legame del paziente con il suo ambiente vissuto non solo è per lui doloroso e demotivante, ma comporta peggioramento della prognosi, crescenti difficoltà o impossibilità di dimissione, aumento di quello che, con espressione fra suggestiva e cinica, veniva chiamato “caput mortuum” dei pazienti cronicizzati. Pertanto, lo divenivano pure persone che si sarebbero potute recuperare anche a una attività produttiva.
Questo è un danno anche per la collettività: ma se è evidente per gli esperti, non lo è per tutti. La strada per sensibilizzare l’uomo della strada e i politici è ancora lunga e faticosa. Inoltre, anche chi riconosce l’utilità di soluzioni non segreganti può reagire con un “not in my backyard”: reazione ben nota in tutti i possibili campi di attività.
Speriamo bene!
Il paziente, perché di questo si tratta, e lo sottolineo per chi cavalca in maniera pretestuosa l’equivoco pensando la REMS come struttura carceraria e gli ospiti come delinquenti, è rientrato ieri in struttura con un taxi, dimostrando capacità di relazione che altri non hanno.
L’intervento del rappresentante del Partito Democratico, che tale non è per argomentazioni che riportano a temi e desideri di esclusione e separazione (“devono essere strutture lontane dalle zone abitate, magari riapriamo i manicomi oppure che ne dite di riciclare l’isola di Ventotene o l’Asinara?”) ci lascia intravedere l’uso pretestuoso di narrazioni indirizzate non a chiarire legittime preoccupazioni ed interessi di persone che non conoscono i problemi legati alla sofferenza mentale e i rischi connessi.
L’informazione per essere tale deve svilupparsi in una narrazione chiara e corretta su basi scientifiche e con competenze chiare.
Villa Caterina nasce per curare pazienti psichiatrici che hanno anche commesso reati di vario genere di gravità e viene pensata e costruita ancor prima delle abitazioni circostanti, per tale scopo. Inaugurata con la presenza dell’allora Senatore Marino e dell’allora Assessore Regionale Montaldo (Partito Democratico) e poi rientra nel progetto di chiusura dei manicomi giudiziari e nella creazione della REMS con il Commissario Nazionale On. Franco Corleone.
Il caso Delfino fa notizia e riaccende passioni, emozioni ed interessi vari, non sempre accompagnati dal giusto raziocinio.
Le parole del Direttore Sanitario, Paolo Rossi, vanno in tal senso.
Il paziente è rientrato spontaneamente, vogliamo dare la notizia con la stessa enfasi dell’allontanamento e chiederci insieme del significato di tutto ciò?
Inoltre, incominciamo a fidarci di chi da molti anni svolge un lavoro importante e con caratteristiche specialistiche notevoli.
“Il paziente è rientrato spontaneamente, vogliamo dare la notizia con la stessa enfasi dell’allontanamento e chiederci insieme del significato di tutto ciò?”
Buongiorno, sono molti i giornali online che riportano questa notizia, ma il dovere di chiedersi il significato di ciò sta a chi fa questo lavoro, non ai cittadini. Il dovere di chi si occupa di questi pazienti dovrebbe anche essere quello di garantire delle strutture appropriate, sicure, quando invece molti video di pazienti che si allontanano scavalcando dimostrano il contrario. La fiducia verso i professionisti nasce anche da questo.
I cittadini sono spaventati non per lo stigma, ma per dei fatti. La storia di questi pazienti racconta la loro difficoltà ad integrarsi nella società, e la loro collocazione definisce la necessità di una cura continua ma con rigidi limiti nel rapporto con il mondo esterno. Si parla quindi di una necessità di un ambiente estremamente protetto e controllato. Non si può quindi fingere di non sapere che questi pazienti al di fuori di questo ambiente, strutturato sui loro bisogni di cura, possano essere pericolosi. Se vogliamo negare questo, neghiamo l’utilità delle Rems.
Oltretutto la Rems di Prà è l’unica in Italia inserita in un centro abitato. Sarebbe interessante capire perchè.
Psichiatri, psicologi, operatori, OSS, infermieri, che per loro SCELTA lavorano a contatto con questi pazienti, possono accettare il rischio che ne deriva, spinti/e, per tornare al suo discorso, dal significato del proprio lavoro e dal significato di ogni piccolo progresso dei pazienti. Non può essere richiesto lo stesso ai cittadini e a chi li rappresenta.
provo un certo disgusto verso le semplificazioni politiche rivolte solo ad un consenso che provocano un ancora maggiore ignoranza e stigma su persone certo non brillantemente ‘riuscite’ sopravissute a vicende personali e sociali devastanti ammalate e sofferenti per i più vari motivi non solo genetici e che hanno commesso reati. E’ talmente complesso, difficile il lavoro con loro, per loro e tutti noi, che il sentirci e sentirli attaccati deprime profondamente oltre a provocare rabbia. Certo siamo in un mondo assolutamente imperfetto difficile e complesso ma se il lavoro di chi ci vuole governare è uguale al lavoro dei giornalisti che inseguono l’audience siamo proprio messi male. Ogni giorno più incapaci di assumerci la voglia di riflettere e sopportare contraddizioni e difficoltà e risolvere i problemi con deleghe ad altri come se noi non c’entrassimo. E come vagheggiare soppressioni eliminazioni come in un tragico passato.
“La Rems di Prà è l’unica in Italia inserita in un centro abitato“. La signora Francesca dovrebbe informarsi meglio…
Leggendo Francesca mi domandavo chi fosse questa persona disinformata, spaventata, in difficoltà ad affrontare la complessità del lavoro psichiatrico.
Ho pensato fosse uno dei vicini della Rems che filmano i pazienti buttando benzina sul fuoco, cercando di mistificare una realtà che comprensibilmente li disturba.
La possibilità di costruire le case vicine alla Rems è stata favorita urbanisticamente dalla presenza di Villa Caterina e dalle opere di urbanizzazione della stessa.
Ho scoperto con stupore che invece si tratta di una terapista della riabilitazione che ha anche collaborato con il nostro gruppo pur con difficoltà.
Allora le sono grato perché spontaneamente ci dice che per fare il nostro lavoro non bisogna aver paura del folle, del diverso; non si può non fare i conti con le proprie angosce; è una caratteristica che spesso appartiene a chi sceglie di fare un lavoro Psi.
Non tutti sono portati a fare bene un lavoro difficile nel quale bisogna trovare la distanza ottimale tra noi e i nostri pazienti senza essere troppo coinvolti, ma soprattutto senza escludere, separare, non riconoscere.
Zapparoli, uno dei nostri maestri, ha scritto un libro che si intitola “La paura e la noia”; la invito a leggerlo.
Rabbia, confusione, generano reazioni a cortocircuito che poi vengono strumentalizzate da persone di basso livello etico culturale e professionale.
Buongiorno. Grazie della sua risposta, che mi porta a pormi delle domande su di me e sul mio lavoro. Non volevo però essere io il tema del dibattito. In realtà non penso di aver avuto delle difficoltà particolari, l’esperienza in Redancia mi ha arricchito tantissimo, tanto da farmi capire che questo è e sarà il Mio lavoro, che continuerò a migliorare con studio ed esperienza. Credo comunque che l’argomento ‘Rems’ sia più importante e interessante. L’intento del mio commento, nè spaventato nè confuso, era quello di sollecitare a riflettere in modo più ampio, senza ricercare necessariamente il cattivo (che sia per alcuni il paziente Rems, per altri il vicino che fa i video), su una situazione che ha criticità evidenti e che è più complessa di come è stata affrontata finora. Riteniamo utile farlo? Chi lavora come noi in questo ambito deve “fare i conti con le proprie angosce”, e deve cercare di superare le “difficoltà ad affrontare le complessità del mondo psichiatrico”; chi abita affianco alla Rems non deve essere costretto a farlo.
Cordialmente, Francesca
Infatti, sono contento che lo sottolinei .
Il dialogo è fondamentale nel nostro lavoro e non bisogna trascurare il contesto e le ansie legittime dei vicini purché accettino un rapporto fatto di disponibilità all’ascolto e al confronto.
Per farlo bisogna evitare conflitti e mi pare che gli operatori altamente qualificati della Rems si siano sempre resi disponibili, certo, non ad accettare insulti o distorsioni della realtà che d’ora in poi perseguiremo legalmente.
Mi fa piacere che continui a lavorare, diventerai sempre più brava.
Buongiorno, ho letto il suo articolo, per completezza le pubblico qui il mio intervento completo, visto che sul tema l’elemento della semplificazione e dello scandalo rischia di offuscare una seria riflessione sulla vicenda in se’.
“Nei giorni scorsi sono stato a Prà, per parlare con gli abitanti vicini ad una delle due REMS, (acronimo di residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza), presenti in Liguria. Nei prossimi giorni visiterò la struttura per un confronto con i gestori.
Cosa sono le Rems? Sono strutture sanitarie di accoglienza per gli autori di reato ritenuti infermi o seminfermi di mente, deputate alla riabilitazione dei soggetti ospitati, mediante l’attuazione di progetti individuali.
Sono nate per cancellare una volta per tutte l’esperienza ignobile degli Ospedali Psichiatrici Giudiziali, i manicomi criminali in cui i soggetti infermi di mente e non punibili venivano reclusi, in condizioni disumane dal punto di vista sanitario, dimenticati in una sorta di “ergastolo bianco”.
Il passaggio da strutture carcerarie enormi e degradanti a piccole comunità terapeutiche – al massimo di 20 pazienti – è stato un salto di civiltà, trent’anni dopo la legge Basaglia e la chiusura dei manicomi. Ma si tratta di una sfida ancora tutta da affrontare, in un difficile equilibrio tra cura e custodia, per la complessità e la delicatezza della situazione, per forme di stigma sulla malattia mentale molto presenti ancora e legittime preoccupazioni sulla sicurezza.
A Prà la struttura è molto vicina alle abitazioni e diverse volte alcuni ospiti si sono allontanati dalla Rems: elemento che ha creato preoccupazioni diffuse rispetto alle forme di vigilanza esterna previste dalla legge e in carico alla Prefettura.
I consiglieri della Lega in questi giorni hanno richiesto di dotare gli ospiti di braccialetti elettronici: una soluzione sbagliata culturalmente e piuttosto sbrigativa.
Ho presentato una interrogazione alla Regione perché si faccia carico di convocare un tavolo di confronto con Prefettura, Asl e Ministero per gestire al meglio la situazione, visto che si tratta di comunità delicate, in cui bisogna trovare dialogo, equilibrio e comunicazione, soprattutto in un contesto di estrema prossimità tra struttura e abitazioni come quella di Prà, una REMS che doveva essere una soluzione transitoria ma poi si è trasformata in definitiva, senza un confronto istituzionale serio e approfondito da parte della Regione che ha lasciato molte questioni irrisolte e che meritano ascolto e risposta.”
Il detto dal fatto è discriminato dal dato.
Su questa base abbiamo sempre improntato le nostre riflessioni soprattutto in un campo, come quello psichiatrico, in cui chiunque abbia qualche problema personale si sente legittimato a dire la sua con sfoggio di false competenze.
Penso che tutti dobbiamo adoperarci per far convivere esigenze di cura che sono prevalenti in quanto i nostri ospiti sono persone disperate, emarginate e comprensibilmente frustrate con esigenze di custodia che tengano conto che le Rems non sono luoghi di detenzione e rieducazione in senso stretto per cui la convivenza con l’ambiente circostante e l’inserimento in un contesto abitato, come fa notare Pisseri, è utile e proficua purché sia possibile un dialogo collaborativo .
Il riferimento a Basaglia va fatto con rispetto del pensiero di una persona geniale e fortemente indirizzata a far rispettare il diritto degli ultimi; è stato un nostro maestro per la psichiatria sociale.
Quindi ascoltiamo tutti ma non accettiamo che le proteste di pochi vengano a turbare il lavoro intenso di specialisti altamente qualificati.
Veniamo brevemente ai dati.
Una percentuale del 50% dei pazienti autori di reato è affetta da un grave disturbo di personalità che spesso genera stati di tensione e momenti di confronto serrato con la possibilità di tentativi di allontanamento che si sono verificati in un periodo con una certa insistenza da parte di quattro individui che peraltro una volta usciti non hanno compiuto nessun atto aggressivo e sono sempre ritornati, compreso l’ultimo sul quale si è accentrata l’attenzione per preparare il caso Delfino e che è tornato il giorno dopo in taxi pagandoselo; lo ritengo un buon risultato ed il segno comunque di attaccamento.
La Rems di Pra’ è stata quella in Italia che ha dimesso nel tempo più pazienti indirizzandoli ad un percorso riabilitativo in comunità.
Il 75% è andato buon fine, in altri casi si è ritornati indietro e rivalutato il progetto terapeutico individuale.
La struttura è stata visitata è apprezzata dal garante nazionale, dott. Mauro Palma, per i diritti dei detenuti.
Visitata da membri del governo regionale e dell’opposizione nella massima disponibilità nell’intento di aiutare persone inesperte a capire che tipo di intervento si fa.
Non servono i protagonismi da Facebook e tantomeno le velate minacce di persone che poco si distinguono in tal senso dai nostri pazienti.