Evento svolto presso Outlet Piombo (Varazze), Sabato 27 maggio 2017
Bello, meraviglioso, sublime: espressioni che usiamo per indicare qualcosa che ci piace. In diverse epoche si è posta poi una relazione diretta tra bello e buono.
Umberto Eco, nel suo saggio sulla bellezza, ritiene che tendiamo a definire “buono” qualcosa che vorremmo avere per noi: un piatto prelibato, “un amore ricambiato, il rispetto, un onesto benessere, un’azione virtuosa”, ma anche un vestito. Peraltro definiamo buono anche qualcosa di Ideale, “la nostra fatica, impegno, sacrificio”, per raggiungere una meta per noi importante.
Ecco allora che l’Etico e l’Estetico dialogano tra di loro.
Nella Grecia Classica, dalla quale proviene la nostra cultura occidentale, κaλòς più che bello è ciò che piace che attrae lo sguardo, che appaga i nostri sensi, ma talvolta anche il nostro spirito ed intelletto.
Per questo per i Greci e per il filosofo Platone , che conia il termine Kalogathia , è naturale associare Kalón e Agathon in una visione di bellezza psicofisica che armonizzi idealmente anima e corpo, bellezza delle forme e bontà dell’animo.
Per l’oracolo di Delfi: “Il più giusto è il più bello”: vengono quindi enfatizzati armonia, serenità, ordine, simmetria.
In realtà forse parliamo di bellezza quando godiamo di qualcosa per quello che è , indipendentemente dal fatto che sia nostro, che sia utile, forse anche che sia buono. Ancora per Umberto Eco è bello qualcosa che, se fosse nostro , ci rallegrerebbe, ma che rimane bello, anche se non ci appartiene: un dipinto, Marilyn Monroe, una musica, una villa di Henry Wright, un chiaro di luna, un abito, il panorama dal Faro di Portofino, le impunture, i revers di un abito/giacca di Piombo, il riflesso di un papillon sul collo morbido di una camicia di seta.
Il bello qui non è legato al possesso, al vantaggio economico, al prestigio.
Per Baumgarten , nel suo testo sull’estetica del 1750, essa è dottrina della conoscenza sensibile e della sua realizzazione nella Bellezza!
Ed infatti per Emanuel Kant – ricorda Ermanno Bencivenga in “Il bene e il bello”- un oggetto è bello se è tale:
1. Disinteressatamente
2. In modo universale
3. Se si percepisce intuitivamente e non si esaurisce in una spiegazione intellettuale.
Egli poi afferma, nella Critica del Giudizio, che il bello è simbolo del bene; l’imperativo sarebbe “agi sci in modo che la massima del tuo comportamento possa fungere da legge universale, ovvero “desidera per l’altro quello che vorresti di più bello e buono per te”.
A questo punto propongo alcune domande:
1. Esiste un’idea “preconcetta” di bellezza (e forse
anche di bene)?
2. Quello che riteniamo bello/buono è legato ad
un’epoca, una cultura, un territorio?
3. Forse, al di là di diverse visioni della bellezza , vi sono alcune regole uniche ed universali che attraversano popoli ed epoche?
Le neuroscienze ricordano che ogni osservatore ha una personale immagine, in parte pre-figurata ancora prima di guardare, dell’oggetto guardato.
Attraverso l’organizzazione corticale della percezione, (corteccia motoria, corteccia orbitofrontale ed aree degli stimoli di ricompensa ed aree dei Neuroni Mirror) in realtà confrontiamo
continuamente le immagini , guardate ed elaborate dal cervello, con immagini già prima memorizzate.
Quello che vediamo – ricorda il premio Nobel per la Medicina (2000) Eric Kandel in “L’Età dell’Inconscio” – quello che vediamo è unione, equilibrio adattativo del mondo esterno e di quello interno: penso alla memoria sensoriale affettiva di Proust quando intinge nel latte la Madeleine, dolce della sua infanzia a Combray dalla zia, e quella mia di fronte ad un vestito…..e ricordo quando andavamo con la mia grande mamma da Campana ,nel suo magico negozio a Marostica(Vicenza) a vedere, e magari comprare, cose belle, giacche inglesi, maglioni norvegesi, camice, colori, forme….odori di tessuti…
Siamo allora influenzati dai nostri modelli “a priori” genetici, culturali, razziali, storici e dobbiamo comprendere che l’esperienza estetica è dissimile, è fortemente individuale…..
Ma è ancora così in una cultura dell’immagine massificata e globalizzata fin dalla nostra nascita ormai?
Sempre per Eric Kandel l’arte – e io dico forse anche l’Arte della Moda ma non i Mass-Media della Moda – ci offre la possibilità di esplorare e provare nel nostro immaginario un’esperienza emozionale del tutto peculiare.
La Bellezza non sarebbe qualcosa di assoluto e di immutabile, ma assumerebbe continuamente volti e forme diverse.
Mi piace ricordare che per Marcel Proust “Il bello è soprattutto negli occhi di chi lo contempla”.
Ognuno di noi potrebbe allora avere una sua immagine della bellezza.
In realtà forse questa è una visione bella ma ormai molto elittaria perché le immagini prefigurate del bello/buono – come ho già espresso prima – sono invece oggi sempre più, immagini di gruppi sociali/culturali/ideologici, etnici o addirittura di massa.
Il bello e il buono dei mass-media, delle riviste di moda, della vita dell'”alta società , le pubblicità della globalizzazione, soprattutto via internet, aprono a gruppi sempre più estesi, a masse planetarie con immagini dei belli/brutti buoni/cattivi sempre più eguali.
Ricordo che questo è già avvenuto in passato ad esempio con le Estetiche nazista , staliniana , fascista e della Cina Maoista.
Oggi forse, come ricorda Zygmun Baumann – scrivendo della nostra società come di una società “liquida” – tutto è ormai diffuso, fluidificato, magari senza consapevolezza, nell ’ epoca della
globalizzazione/massificazione.
Tornando al bello, ricordo che l’atto creativo modifica il SNC dell’artista e dell’osservatore – fruitore.
Si tratta di esperienze individuali , ma vi sono alla base alcuni tratti di universalità – ricorda ancora Kandel- legati alla capacità del cervello di cogliere l’essenza dell’oggetto attraverso poche linee che permettono di ricostruire l’immagine anche con l’aiuto dei propri ricordi individuali e collettivi: qui il pensiero va ai concetti di Inconscio individuale (Freud) e collettivo (Jung).
Per Kandel l’artista, e noi qui diremo anche il valente stilista, l’architetto, il fotografo, hanno la capacità , al di là delle tecniche usate e degli stili sempre transitori , di stimolare drammaticamente gli schemi neurali in noi , stimolando le aree cerebrali che sottendono il senso e la percezione del piacere e della ricompensa . Questi schemi neurali trovano fondamento nei neuroni dopaminergici, gli stessi legati agli oppioidi naturali, le endorfine, soprattutto delle aree sottocorticali dell’insula e dell’amigdala.
L’artista, anche senza essere il più delle volte di questo consapevole, sa, soprattutto intuitivamente, stimolare i nostri schemi neurali, radicati epigeneticamente in noi.
Vorrei ricordare che questa visione della bellezza è basata su caratteristiche di: simmetria (il bello visibile) e armonia (il bello udibile).
Simmetria e armonia dei tratti, degli oggetti, dei suoni, basate su di una bellezza ideale, in parte costruita come Media dei percepiti.
Questa visione apollinea, propria della classicità greca, della bellezza è tuttavia sovvertita profondamente dalla visione dionisiaca della bellezza, come ripropone in modo sorprendente e
per allora scandaloso da F. Nietzche in “La nascita della Tragedia” del 1876.
La bellezza dionisiaca fa irrompere il caos, l’irregolare, l’imprevisto, l’eccessivo, nell’armonia, nella simmetria,nell’ idealizzazione delle forme fisiche e spirituali proprie della bellezza apollinea.
La bellezza dionisiaca è furiosa, pericolosa, imprevedibile, antitetica al razionale, vicina al non conosciuto, all’inconscio, al desiderio che può divenire addirittura follia!
Essa è conturbante e perturbante, è una bellezza che si può celare addirittura dietro alla bruttezza (Dioniso ed Arianna), una bellezza che non si vede immediatamente, che addirittura si esprime attraverso un’apparente bruttezza: penso al Trittico delle Tentazioni di S. Antonio di Hieronymus Bosch a Lisbona, ai Dannati nel Giudizio Universale di Luca Signorelli nel Duomo di Orvieto.
Dioniso, reso silenzioso da Apollo per secoli, torna alla vita, anche con modalità tumultuose nell’espressione delle arti, anche le arti popolari come moda, fotografia, design, moda del vestire… torna alla vita nella contemporaneità, nella modernità, anche dei movimenti “marginali” del XIX e soprattutto XX secolo.
Credo che tra queste due forme di bellezza vi possa essere, in realtà, un contatto dialettico.
Mi piace ricordare infine Luigi Zoia in “Giustizia e Bellezza” del 2001, quando scrive “Ora privatizzazione, razionalizzazione e ancor più massificazione della vita…eliminano la dimensione
della piazza, la piazza rinascimentale e dei Comuni Italiani del Trecento e Quattrocento .
È la piazza di cui scrivo con Giovanni Jervis nel libro “La Bottega della Psichiatria” del 1999 quando ci riferiamo a quella Comunità condivisa e condivisibile che si animava nella vita della ” piazza ” dove si godeva del l a Bel l ezza “grati s e insieme dialetticamente ” – scrive ancora Zoia -.
Oggi Il rischio è che noi ci si abitui alla bruttezza, ad una cosiddetta bellezza massificata imposta, volgare, legata al possedere, all’avere, piuttosto che all’essere: il riferimento è ad Eric Fromm di “Avere ed Essere”.
Abituarsi all’estetica del volgare, della bruttezza, come fossero condizioni normali – scrive Zoia– può favorire il CINISMO ETICO dove il contrario di Kalokagathia (Platone) prevale come prassi del nostro vivere quotidiano.
MODA: l’Etimologia è il femminile da Modus. Modus sta per foggia, maniera ma anche misura, regola, norma, cosa giusta. Ancora è qualità variabile dell’essere, del sentire, dell’operare; è anche abitudine, usanza, stile, comportamento di cui si danno qualità e regole.
Modi di dire: c’è modo e modo, in buon / cattivo modo, in ogni/ nessun/qualche modo.
Moda allora nasce come femminile di modo ed è originariamente relegata all’abbigliamento femminile, poi in realtà si approprierà di campi dell’umano ben più ampi e diverrà parola più usata
di modo.
Per lo Zanichelli etimologico: modo, foggia, correnti del vestire e dell’acconciarsi, in relazione al gusto di una determinata società ed in un dato periodo storico. Inizialmente definisce l’abbigliamento femminile, poi anche quello maschile.
Modi di dire: all’ultima moda, uscire di moda, tornare di moda, ma poi anche località di moda, ballo alla moda, vini alla moda. Il termine si è sempre più allargato nell’uso fino a significare modo/modalità di vivere, di essere e di comportarsi.
Modalità: maniera di essere. Modulare: variare con regolarità ed armonia.
Modella/o: indossatrice/indossatore, donna/uomo/che posano da modelli.
Modista: donna che confeziona cappelli per donna.
Modano: sagoma in grandezza naturale usata per costruire ornamenti ma anche cilindro in legno per fare reti da pesca ed ancora antica trina dai ricami disegnati su di un fondo a rete .
Modulo: parte di un complesso organico, concepito come funzionalmente completo ma collegabile ad altri elementi/moduli: ad es. giacca, pantaloni gonna, camicia/camicetta, scarpe, cravatta/sciarpa/foulard come insieme di moduli “completi” che si integrano in molteplici modi nel costituire diversi e mutevoli abbigliamenti .
Mo(n)dano: del mondo come materialità …i piaceri mondani. Anche per persona ” di mondo “.
Modaiolo: troppo alla moda, persona frivola e gaudente ed anche elegante, brillante, che ama la vita agiata. Vivere alla moda …mondanamente, à la page.
Il Dandy/ il Dandismo: L’etimologia sembra derivare dalla forma vezzeggiativa di Andrew/Andrea. “Jack-a-dandy: elegantone , damerino.
Il nome “nasce” nei primi decenni del XIX secolo con George Bryan Brummel( 1778/1840), conosciuto anche come Beau Brummel . In lui l’amore per il bello si manifesta come costume, sia in quanto abbigliamento, sia in quanto pratica di vita . In lui eleganza , semplicità , bizzarria , si uniscono al gesto provocatorio come espressione di una noia aristocratica per i “sentimenti
comuni”. Il Dandismo verrà praticato come stile di vita da molti epigoni e ricordo, tra i più famosi, Oskar Wilde, Baudelaire, lo stesso Fogazzaro; il Dandismo può essere anche collegato a movimenti come il Decadentismo ed il Crepuscolarismo.
Il Dandy intende questo ideale come culto della propria vita, pubblica e privata che diviene così la sua “opera d’arte”. Il Dandismo resta tuttavia una manifestazione marginale, non rivoluzionaria, della società borghese, anche se talvolta il Dandy non solo stupisce e provoca i “ben pensanti” ma si oppone a pregiudizi sociali, pagando di persona come successe ad esempio ad Oscar Wilde quando finì in carcere per la sua dichiarata omosessualità.
Torna di tanto in tanto a manifestarsi come Neodandismo, ad es. negli anni 60/70 del secolo scorso (teddy boys, mods, neo punk, figli dei fiori, tra i tanti ) che condivide con il Dandismo classico la vanità, l’esibizionismo ma anche il mascheramento dei sentimenti attraverso apparenze esteriori.
Lo Snob.
L’etimologia non è certa: forse da “sine nobilitate” , forse da Nobs (filius nobili) con S di negazione, forse parola che in dialetto inglese sta per ciabattino inteso come cittadino di basso ceto.
È una persona che, negli atteggiamenti e/o nei comportamenti ostenta una presunta aristocratica, in realtà eccentrica e spesso ridicola, distinzione e raffinatezza nel tentativo di identificarsi con una categoria sociale superiore. In realtà resta estraneo all’ambiente al quale vorrebbe appartenere, ambiente sociale che il più delle volte finisce per “snobbarlo”, ritenendolo troppo plebeo.
LA MODA
Roland Barthes ne ” Il senso della Moda”(1993)scrive che il significato antropologico della Moda per molti si caratterizza per privilegiare l’apparenza, soprattutto nell’abbigliamento, associandola così ad aspetti fragili/frivoli delll’essere umano e/o a forme perverse del lusso.
Altri -scrive- ne vedono la radice sessuale e sociale e la collegano ad:
a)Apparire, distinguersi fino agli estremi dei dandy, snob, nerds, punk, coatti;
b) arrivismo sociale;
c)Desiderio di attirare l’attenzione sessuale;
d) Altri collegano invece la moda al dinamismo giovanile, ad una società in rapida evoluzione dove i cambiamenti nella moda testimoniano simbolicamente il movimento, la dinamicità
della società stessa: espressioni quindi “popolari” ma non frivoli e banali della modernità.
Essi mettono in rilievo anche gli aspetti economici della moda: i suoi cambiamenti fin dal 500 favoriscono la crescita economica e possono esserlo in modo diffuso.
Va ora ricordato l’aspetto ambivalente della moda/mode: da un lato di potenziale trasgressione (il dionisiaco rispetto all’apollineo) espressione del cambiamento sociale e culturale di una società a rapida evoluzione; a questo proposito ricordo che per Roland Barthes la moda è anche originalità, rottura, follia, trasgressione di norme precedenti, come avviene in altre forme dell’arte dall’altro, al di là delle apparenti trasgressioni sociali che sembra proporre, la moda è struttura portante del sistema sociale costituito, dove tutto può cambiare purchè in realtà nulla di sostanziale debba cambiare. Il mutamento, il potenziale aspetto innovativo della moda si riducono così a “maniera”, “essere modaioli”, “essere alla moda”.
Per R. Barthes vi può essere anche qui una continua dialettica tra L’Arte della Moda e l’Essere di Moda.
Ricordo che, quando Moda diviene arte popolare, essa deborda verso altre arti, conoscenze, tecniche e sviluppo scientifico, costume, politica, religione, alla ricerca di un significato, a partire da quei particolari significanti che per l’autore costituiscono i “tratti della moda”. Egli si riferisce anche a peculiari supporti come un’asola di un bottone, un revers , un cappellino, un’impuntura, uno scollo, che subiscono varianti, fratture, destrutturazioni molteplici che vanno a costituire i nuovi Tratti della Moda.
Oggi un esempio di arte della moda come cambiamento “rivoluzionario” lo danno tre stilisti giapponesi ,Yohji Yamamoto ,Issey Miyake e soprattutto Rei Kawabuto che” hanno smantellato
codici di assonanze e certezze “della moda europea contemporanea rimescolando e reimpostando “secondo poetiche a noi del tutto ignote ” i tratti di moda ormai istituzionalizzati ( riprendo in parte qui Quirino Conti da Repubblica del 29/4/2017). Ricordo che il Met di New York dedica a Rei Kawabuto una mostra in questi mesi.
Quando la moda diviene arte popolare,in realtà, fa sobbalzare la società (esempio la minigonna negli anni 60, la giacca maoista, il chiodo, l’eskimo, il basco di Che Guevara, la giacca con i jeans, almeno al loro apparire).
Il tratto di moda – scrive R.B. sempre nel Senso della Moda del 1993 – è un simbolo espressivo che si anima e si “mostra” diffusamente nella vita sociale: la trasgressione espressiva si confronta con la technè, attraverso forme, strutture, volumi, colori, ornamenti, che sostengono la trasgressione rendendola accettabile e condivisibile, anche attraverso un giudizio di gusto….mi piace….non mi piace…..mi sta bene…. non mi sta bene.
Il divenire poi “di moda”, il divenire mito attraverso i mass media e le riviste patinate, subire l’usura del carattere iniziale di provocazione , trasformano il Tratto di Moda da audace prestigioso in modaiolo/demodé.
Ancora l’autore ci ricorda che il sistema sociale della moda è controcorrente rispetto ad un modello precedente e cerca di sostituirsi ad esso; esso stesso tenderà poi a stabilizzarsi ed istituzionalizzarsi. La moda così diviene “norma” con tratti formali ormai consolidati, quasi santificati- come sopra scritto- dai linguaggi patinati delle riviste di moda e dei giornali
“per le donne”.
Per R.B. infatti l’abbondanza delle forme/stili può essere un’illusione sulla quale edificare la “mitologia della moda”: essa può perdere così un po’ per volta il vitale confronto con particolari stili di vita e fenomeni sociali, come avviene invece quando la moda “incontra” movimenti sociali innovativi , cambiamenti culturali che mettono in discussione stili di vita consolidati.Cosí avviene, con una assonanza sorprendente con le “arti popolari”, nella nostra disciplina, la psichiatria , che trae anch’essa linfa vitale dall’ incontro con movimenti di rinnovamento sociale,scientifico e di interesse u m a n i s t i c o , m e n t r e s i b a n a l i z z a nell’istituzionalzzazione quando trascura questo incontro. In realtà arte della moda,come “arte popolare”, e psichiatria sono discipline apparentemente fragili, “minori” ,mentre sono di grande rilievo quando sanno cogliere la loro affascinante e vitale peculiarità di trovarsi al confine, all’incrocio , di molteplici Saperi.
Concludendo, richiamo, sempre attraverso R.B. ,come ” l’abito sia un fenomeno completo e complesso”, il cui studio richiama un’economia, una storia, un’etimologia, una tecnologia, una
grammatica-sintassi di “quel particolare linguaggio che è il Linguaggio della Moda”.
L’abito diviene allora trait-union tra individui e società (psicologia sociale e degli affetti); l’abito non è quindi “oggetto banale” come può apparire a prima vista.
Egli propone una semiologia storica ed una semiologia psicologica, individuale, di gruppo e anche d i massa , presupponendo che l’abbigliamento esprima sempre qualcosa della
persona, del gruppo e anche di particolari masse oggi sempre più ampie per effetto della globalizzazione.
Va ricordato infine che vi è una psicologia di ordine psicoanalitico del vestito e di come si può “adornare” e/o “trasformare” , “comporre” il corpo: ecco la Body Art, i tatuaggi, i piercing fino ai tagli, le mutilazioni, le trasformazioni del corpo, a guisa di un vestito che si può mutare nelle sue forme a nostro piacere.
Nel capitolo ” Il corpo testimonia la nostra relazione con i l mondo” d e l l i b r o ” Cibo e Corpo negati: anoressia e bulimia oggi ” , curato da me e Giovanni Giusto ,riprendendo Alessandra Lemma , “nomino alcuni fenomeni sociali e culturali ,legati a modifiche corporee che si pongono come modelli culturali alternativi”.Qui li elenco solamente, rinviando poi alla lettura del capitolo del libro.
I movimenti di Body Modifiers, della Body Art, i Cyber punk , i Transgender, esponenti Queer, “che reinventano il corpo per adeguarlo al Sè .
Il vestito è poi sempre compromesso tra paura e desiderio di nudità, tra manifestazione e mascheramento: ecco la natura dialettica e relazionale dell’abito.
L’abito, può così essere visto, come segno del conflitto tra libertà e controllo sociale ,come i sintomi nevrotici: per il semiologo francese il vestito è quindi sempre significato e linguaggio.
In fondo, quando indossiamo un vestito, possiamo, sogniamo di estrarre da un sistema istituzionale – la moda, lo stile che va di moda – il nostro particolare abbigliamento: possiamo così creare qualcosa di personale che “ci racconti” , che testimoni anch’esso, almeno un po’, il nostro essere nel mondo attraverso questo peculiare, privato atto creativo, atto quasi artistico, di attraversare e vivere la moda… vestendoci.
Questa è, a mio avviso, l’arte del vestire!!!
BIBLIOGRAFIA
Roland Barthes, Il senso della Moda. Einaudi, Torino 2006 (1993)
E r m a n n o B e n c i v e n g a , I l b e n e e i l bello.Saggiatore ,Milano 2015
Zygmun Bauman, L’Arte della vita. Laterza ,Bari 2008 Umberto Eco, Storia della Bellezza. Bompiani . Milano 2004
H e n r i F. E l l e n b e r g e r, L a S c o p e r t a dell’Inconscio,Boringhieri .Torino 1972
Antonio Maria Ferro e Giovanni Jervis, La Bottega della Psichiatria . Bollati Boringhieri Ed. Torino 1999
Antonio Maria Ferro e Giovanni Giusto,Cibo e Corpo negati: anoressia e bulimia oggi. Bruno Mondadori Milano 2016
Erich Fromm, Avere o essere.Oscar Mondadori Milano 1986(1976)
Alessandra Lemma , Sotto la pelle:psicoanalisi delle modificazioni corporee. Cortina ,Milano 2005
Eric R. Kandel ,L’Età dell’Inconscio .Cortina , Milano 2012
Antonio Spinosa L’ABC dello Snobismo, Piombo Comunicazione Varazze 1995
Luigi Zoja, Giust i zia e Bellezza. Bollati Boringhieri ,Torino 2007