Vaso di Pandora

AMOUL YAKAR

Incontrando gli operatori della Cooperativa Valbisagno che si occupano di garantire la sicurezza affiancando medici, psicologi, infermieri e tecnici della riabilitazione psichiatrica, all’interno della Rems “Villa Caterina”, mi sono imbattuto, con piacere, in persone umanamente capaci di comprendere la sofferenza, individuare il disagio e prendersi cura secondo il loro modello di riferimento .

Si tratta di di tre persone provenienti dal Senegal ed uno invece italiano.
Ciascuno ha potuto discutere con me brevemente della sua storia personale con riferimento alla sofferenza ed alla speranza .

Ho chiesto di scrivere nella loro lingua il termine DISPERATO: lo vedete nel titolo.
Questo mi ha permesso di definire gli ospiti della REMS come “persona senza speranza” ed indicare una via educativa e riabilitativa insieme ai direttori della struttura: alimentare la speranza cercando di riprendere dalla storia disastrata di ogni residente a Villa Caterina un possibile percorso che alimenti una questione vitale, elemento fondamentale nella riabilitazione, come spesso ho potuto affermare con Petrella.

Per questo motivo il lavoro in gruppo tra operatori “psi” e persone sensibili ed affettuose che spesso possono essere utilizzate meglio dai residenti/pazienti per confrontarsi (il famoso soggetto meno qualificato di Zapparoli) e confidarsi, è fondamentale. In tal senso si riduce la distanza e si può pensare di creare un clima meno improntato allo scontro. E’ nostro intento abbattere i muri che separano e creare attraverso i principi della comunità un ambiente che rispetti i diritti/doveri di tutti.


Il tempo da Kronos deve trasformarsi in Kairos: solo così vinceremo la battaglia contro l’esclusione e l’emarginazione di cui gli OPG sono stati i testimoni.

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Commenti su "AMOUL YAKAR"

  1. Alieno, alienato: ovvio l’accostamento. “Alienato” è chi è divenuto “alieno”. Dinamica perversa, che sottolinea (difensivamente) le differenze anzi che le molteplici aree di incontro. Ma esperienze come questa inducono a pensare e sperare che il messaggio, ormai classico, di Harry Stack Sullivan “siamo tutti più che altro umani” si faccia davvero strada, a partire anche e forse soprattutto da realtà difficili come questa, che non lasciano vie di fuga deresponsabilizzanti.

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