Commento all’articolo apparso su La Repubblica il 21 gennaio 2016
Mi pare opportuno cercar di chiarire qualche equivoco. Credo che la cosiddetta amicizia su Facebook sia parte di un alone che circonda quel ristretto nucleo che è l’amicizia nel vero senso del termine. Ma qual è questo vero senso? Permettiamoci un volo all’indietro di duemila anni e vediamo quel che ne dice Cicerone nel “De amicitia”.
La sua visione, molto idealizzante (falsamente, da aristocratico schiavista che ritiene l’amicizia un bene riservato ai “buoni” ?) non è certo interamente accettabile,ma tuttavia può funzionare da termine di confronto e riflessione, aiutarci a capire di che cosa stiamo parlando: “Tolto l’affetto, all’amicizia viene tolto il suo nome… L’amicizia è un accordo su tutte le cose divine e umane, con benevolenza e affetto… È avere una persona con la quale parlare come a te stesso. Può esser motivata dalla nostra debolezza e dal bisogno? No, sorge dalla nostra natura, perché siamo nati affinché vi sia fra tutti una sorta di vincolo, tanto maggiore quanto più uno si trova vicino… Base ne è la fiducia”.
Questa rigorosa impostazione implica problemi di etica: che cosa si può chiedere all’amico e che cosa no? Come gestire i problemi di eventuali disuguaglianze sociali e personali fra amici? Ma va aggiunto che Cicerone modera questo esigentissimo profilo-modello, precisando che parla dell’amicizia vera e perfetta, e ammettendo l’esistenza di varietà inferiori o meno complete.
È di queste varietà che, credo, parlano l’autore dell’articolo e l’autorevole commentatore Maurizio Ferraris. Lo psicologo Robin Dunbar, citato da Elena Dusi, parla di persone che sentiamo emotivamente vicine, ma occorre intendersi su questo termine quando si parla di 150 persone. Certo, vicinanza emotiva si verifica addirittura per numeri molto maggiori negli esempi citati da Ferraris, o come nella partita di calcio, ma è un coinvolgimento circoscritto nello spazio, nel tempo e nell’oggetto: prescinde totalmente da ogni conoscenza dell’altro, e dunque che razza di amicizia è? Qualcosa di più significativo è probabilmente accaduto nell’altro esempio, quello dei 10.000 di Senofonte che hanno condiviso a lungo disagi e rischi col verosimile – e anzi statisticamente sicuro – svilupparsi di rapporti amicali: ma è impossibile che ciò sia accaduto per ciascuno di loro con tutti gli altri. Può verificarsi un coinvolgimento emotivo durevole e importante in gruppi anche estesi volti a un progetto comune, politico o meno; siamo comunque nel campo della psicologia delle masse o dei grossi gruppi, e pare una forzatura parlare di amicizia.
Tornando a Facebook: in ogni relazione c’è un angolo di dolore, e il surrogato a buon mercato offerto da questa rete può esser utile a controllarlo, circoscriverlo, neutralizzarlo.
Ben venga dunque questo surrogato: ma forse sarebbe meglio “non nominare il nome di amicizia invano”.