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Amici mai: riflessioni sulla relazione tra professionisti della salute

Da tempo ho riflettuto, tramite vignette-esperienze personali, sul rapporto tra medici e relative relazioni amicali o di “colleganza”. Mi sono chiesta come mai facciamo così difficoltà a relazionarci tra simili, in particolare perché siamo spesso così “antipatici” nel rapportarci tra medici e se sia possibile una qualche forma di amicizia tra colleghi.


Penso sia significativo che la ricerca poco ortodossa su google riguardo l’amicizia tra medici porti all’apertura di finestre che parlino unicamente del rapporto medico-paziente. Nulla di più. Niente che possa aiutare a comprendere come spesso, nel relazionarci tra noi dottori della salute, si creino
delle situazioni comunicative piuttosto infelici.

Forse tra le più ovvie conclusioni è compreso il fatto che non siamo stati educati alla buona comunicazione e alla cura della relazione tra pari (oltreché con il paziente) nel nostro corso di studi. Vedremo se non ci siano motivazioni più profonde e radicate.

Mi si potrebbe obiettare e ben venga, che l’amicizia-colleganza-solidarietà tra medici non sia obbligatoria. Certo, in nessun luogo di lavoro essa lo è. Anche se è assodato che un “buon rapporto” migliori la vita sia sul lavoro che fuori. E ancor più nell’ambito della cura, una buona relazione tra professionisti della salute dovrebbe essere un imprescindibile valore.

Affrontiamo dunque il problema, o supposto dato di fatto: i medici fanno fatica ad essere solidali nel rapporto di “colleganza”. Ognuno di noi potrebbe credo riferire un esempio di come una relazione tra colleghi in ambito extralavorativo abbia lasciato una sorta di “amaro in bocca” o
increscioso imbarazzo.


Ricordo personalmente un collega che nell’atto di effettuare una ecografia dei linfonodi a mio figlio 11enne se ne usci con la frase: ”e mica stiamo parlando di leucemia!” (Sicuramente aveva centrato la mia paura!). Un’altra collega svalutò apertamente la guardia medica in mia presenza ben sapendo che in quel momento era la mia attività prevalente. Chiaramente la mia pretesa non è quella di generalizzare, ma di indagare quelle situazioni che non hanno funzionato da questo punto di vista, ovvero le volte in cui da medico-paziente la rivelazione del proprio status al collega abbia generato imbarazzo e distanza anziché solidarietà e comunione.


Ho fatto anche la prova contraria, ovvero quella di tacere sulla mia professione presentandomi come comune cittadino, ma ritengo che questa strada sia la meno praticabile od auspicabile poiché omette qualcosa che rimane comunque sullo sfondo della relazione ed agisce certamente in qualche senso nella stessa. E allora?


Laddove non ci viene in aiuto il concetto di colleganza (non troppo esplorato), si ricorre a quello più altisonante di amicizia. La Treccani la definisce come “ vivo e scambievole affetto fra due o più persone, ispirato in genere da affinità di sentimenti e da reciproca stima”. Viene introdotto un concetto fondamentale, la stima, che collega l’amicizia a ciò che Cicerone nel suo “prontuario” aveva prontamente identificato: la virtù.
“Ma la verità è un’altra! Infatti quanto più uno ha fiducia in sé, quanto più è armato di virtù e di saggezza, in modo da non avere bisogno di nessuno e da considerare ogni suo bene un fatto interiore, tanto più eccelle nel cercare e nel coltivare le amicizie.” (Ibid., IX, 29) Cicerone”.


Ed ecco allora che la possibilità di avere amici dipende da quanto sia ampio il nostro bene interiore, la nostra fiducia, saggezza e virtù. Qui cade l’asino. E rovinosamente, perché rimanda a qualcosa che ha a che fare con noi stessi, con quanto ci vogliamo bene in sostanza. Ci si rende conto allora di quanta strada si debba fare come persone e come professionisti per andare verso l’altro e conservare buoni rapporti. Privilegio del medico (forse uno dei pochi rimasti) è quello di conoscere le storie di molte persone, i loro più intimi e viscerali dolori. Un bene preziosissimo che dovrebbe unirci e renderci solidali e forti nella condivisione dei vissuti profondi relativi all’esistenza. Quale bene maggiore di questo!


Il codice deontologico, ovvero la Bibbia sulla quale giuriamo, così’ riassume il concetto:
Nell’Art. 57 sul rispetto reciproco si legge: “Il rapporto tra i medici deve ispirarsi ai principi del reciproco rispetto e della considerazione della rispettiva attività professionale.”
E ancora nel commento all’art. 1 si è visto che fra i principi cardine della deontologia professionale medica rientra il cosiddetto “spirito di colleganza”: solidarietà fra gli individui che fanno parte di uno stesso gruppo sociale.
E’ proprio l’appartenenza ad una stessa comunità che fa nascere o dovrebbe far nascere il sentimento di reciproca considerazione e di comune sentire. Sulla “reciproca stima” indicata dalla Treccani incidono evidentemente problemi di invidia o di gelosia riguardo il paziente, questioni narcisistiche che si possono riassumere nel:”come ti curo io non ti cura nessuno”.


Stare vicino al collega implica fornire un aiuto della peggior specie perché la richiesta proviene da un proprio simile: adeguatamente preparato ma sufficientemente spaesato a causa della sua personale condizione di paziente o di familiare di paziente.

Colleganza è in ultima analisi essere in contatto con l’altro essere umano, identificarsi e separarsi nella sofferenza, cercando di non difenderci troppo dietro la roccaforte dei nostri camici bianchi.

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Commenti su "Amici mai: riflessioni sulla relazione tra professionisti della salute"

  1. Mi trovo molto d’accordo con quello che dice Cicerone: l’amicizia dovrebbe partire da un desiderio e non da un bisogno, ovvero da una volontà di arricchimento.credo fermamente nell’amicizia tra colleghi, è capitato purtroppo molte volte di essere svalutati professionalmente e trovo che questo sia un atteggiamento estremamente sgradevole, specie se proviene da chi dovrebbe condividere le stesse passioni e le stesse motivazioni che hanno spinto a intraprendere una carriera di Cura. Fortunatamente, esistono molte realtà virtuose sulle quali vale la pena approfondire, trovo che l’articolo metta molto utilmente in luce il bisogno di riflettere anche sulla nostra relazione simmetrica e non su quella forzatamente a simmetrica con il paziente

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