L’espressione “alimentazione emotiva” indica una tendenza a mangiare non per motivi legati alla fame fisica, bensì per soddisfare un particolare stato emotivo o psicologico indotto da stress, ansia, tristezza, solitudine o altre forti emozioni. Le persone che praticano l’alimentazione emotiva cercano di placare le proprie emozioni attraverso il cibo.
Le cause che determinano il passaggio da un’alimentazione equilibrata a un’alimentazione emotiva possono essere diverse e includono fattori ambientali – come la disponibilità di cibo ad alta densità calorica e basso valore nutrizionale – e fattori psicologici, come la difficoltà a gestire lo stress o le emozioni negative. In alcuni casi, l’alimentazione emotiva può anche essere legata a disturbi alimentari come la bulimia o il disturbo da alimentazione incontrollata.
«Non quindi un bisogno fisico quanto uno emotivo, impellente e improvviso, chiamato tecnicamente craying. La fame emotiva è attivata da emozioni, solitamente disturbanti, che portano alla ricerca e all’ingestione di “cibo consolatorio”, in maniera poco controllata. È la soluzione efficace e veloce a sedare il malessere sperimentato. Infatti non è legato al classico “vuoto allo stomaco” che si prova quando si ha una fame fisica». Queste le parole della dott.ssa Michela Francia, psicoterapeuta e responsabile del Servizio di Psicologia Ospedaliera di Città di Lecce Hospital.
I segnali che annunciano la fame emotiva
Come capire se ci si trova di fronte a una fame di tipo emotivo e non fisiologico? È possibile capirlo attraverso diversi segnali, tra i quali:
- fame improvvisa: la fame emotiva non scatta gradualmente come quella fisiologica e richiede una soddisfazione immediata. Inoltre, risulta più intensa a livello psicologico (come una sorta di pensiero fisso) e meno intensa a livello fisico (lo stomaco non “brontola”);
- voglia di cibo calorico e zuccherino: i comfort food, in tal senso, sono i cibi più gettonati in quanto riescono più facilmente a placare le voglie improvvise;
- scarso senso di sazietà: quando si pratica l’alimentazione emotiva si tende a non percepire il senso di sazietà e a volere sempre più cibo per compensare il vuoto psicologico;
- possibile sensazione di vergogna: dopo essersi rimpinzati, spesso compaiono sensi di colpa e vergogna per aver mangiato troppo. Ciò alimenta lo stato di stress formando un circolo vizioso che può sfociare in disturbi quali bulimia e obesità.
Il circolo vizioso: un pericolo per la salute
La creazione del cosiddetto “circolo vizioso” dovuto al continuo mangiare per poi pentirsene e riprendere a mangiare ancora rappresenta un grave pericolo per la salute. Le sensazioni negative connesse alla vergogna e al pentimento non fanno che incentivare lo stress e l’angoscia.
I due comportamenti si autoincentivano e si rafforzano a vicenda, generando nella persona un senso di smarrimento e di malessere diffuso. Da questo loop diventa particolarmente difficile uscire senza un supporto adeguato.
Cosa fare in caso di alimentazione emotiva
Dato che la fame emotiva non nasce da un bisogno fisiologico, bensì da una necessità psicologica e da una difficoltà di gestione delle emozioni, è fondamentale imparare a riconoscerla, capirla e accettarla. Questo rappresenta il primo passo verso una reale consapevolezza del problema.
Il percorso dev’essere voluto prima di tutto dal soggetto interessato: una buona autovalutazione può risultare utile per comprendere al meglio sé stessi e le proprie sensazioni connesse al cibo. Qui entra in gioco il secondo step: la richiesta di un aiuto esterno.
Secondo la dott.ssa Francia, «la fame emotiva si controlla innanzitutto cercando di capire quali sono state le cause scatenanti, imparando ad osservarsi e mettendosi in ascolto, chiedendosi quali siano le emozioni provate prima di sentire la “fame” e dopo aver mangiato cibo in modo incontrollato. Inoltre, fondamentale è anche accettare che le emozioni non sono “pericolose” ma anzi aiutano a capirsi meglio, aiutandosi ad esempio anche con la respirazione o esercizi di rilassamento, riportandole in uno spazio “più tollerabile”. Infine imparando a trovare strategie alternative: ad esempio allontanandosi dai posti dove il cibo è più accessibile e fare un’attività piacevole e calmante. Una strategia “preventiva” è quella di evitare di avere in dispensa cibi “consolatori”. Se questi tentativi volti a modificare emozioni, pensieri, comportamenti in maniera più adattiva, falliscono è importante chiedere aiuto a uno specialista psicoterapeuta».
Il supporto psicologico
Al fine di affrontare e superare positivamente le problematiche legate all’alimentazione emotiva, richiedere un supporto psicologico può essere quindi molto utile. Con l’ausilio della psicoterapia è possibile comprendere le dinamiche che si celano dietro la fame emotiva, le cause scatenanti e il rapporto instabile che si ha col cibo. Un percorso ad hoc può aiutare a gestire le emozioni in maniera equilibrata, ritornando a un tipo di alimentazione più controllata e fisiologica.
Più in dettaglio, i percorsi terapici consigliati sono la terapia cognitivo-comportamentale (TCC), la terapia psicodinamica, la terapia familiare e la terapia interpersonale. La TCC si concentra sull’aiutare le persone a identificare i loro schemi di pensiero negativi e a sviluppare abilità di coping alternative per gestire lo stress e le emozioni negative senza ricorrere al cibo. Altre strategie possono includere la pratica di tecniche di rilassamento, come lo yoga o la meditazione, e l’adozione di uno stile di vita più sano e attivo, che può contribuire a ridurre lo stress e migliorare il benessere generale.