Alessia si è presentata in punta di piedi. Ho dovuto chiederle di alzare un poco la voce, altrimenti non l’avrei sentita. Si vergognava. Era rossa in viso.
Io e mio marito non ci sentivamo ancora pronti a prenderci cura di un figlio. Temevamo di non essere in grado. E forse, tra le pieghe delle nostre insicurezze, c’era la paura di fare spazio. E di perderne, di spazio.
Lei è arrivata perché lo sentivamo necessario. E da subito ci ha fatto capire che quel prenderci cura, era una cosa seria. Ma era solo un cane.
E di lei ci siamo dovuti occupare, in ogni momento. Perché non ce la faceva a stare da sola. Oggi mi dico, che è stata responsabilità mia. Che dentro di lei ho messo quell’enorme bisogno di dipendenza che non mi sono mai concessa. Ma era solo un cane.
Con lei, ci siamo sentiti una famiglia. Per la prima volta. Abbiamo iniziato a discutere, se farla salire o meno sul divano. Se potesse dormire con noi, in camera. Su chi dovesse scendere la sera, chi la mattina. Ci sentivamo in colpa, a lasciarla troppo sola, anche se era dai miei suoceri. Gliela portavo, come faccio oggi con mio figlio. Ma era solo un cane.
Correva con me. Rimaneva in bagno, mentre mi lavavo. Sotto il tavolo, mentre mangiavo. Sul divano, quando guardavo la tv. Ancora oggi, quando mi alzo dal letto, all’alba, la sento scodinzolare. Lo faceva, anche se aveva ancora gli occhi chiusi. Lei c’era. Ma era solo un cane.
È stata male durante la notte, respirava con affanno e non era quel respiro affaticato per il caldo a cui eravamo abituati. Era altro. Non abbiamo chiuso occhio, dandoci il cambio per esserle accanto, per farle sentire che a quel punto c’eravamo noi, per lei.
Aveva un tumore, nascosto, dentro, per questo non ci siamo accorti. Era cresciuto e aveva occupato ogni spazio, il maledetto. Per questo lei non aveva più fiato. Non c’era più niente da fare. Ma era solo un cane.
Quando ho avuto mio figlio, per la prima volta, ho avuto paura di lei. Temevo gli potesse fare male, avevo gli incubi di notte, che lo sbranasse. Quando non dormivo ed ero stanca, esausta, e lei voleva scendere per il solito giro, o ricevere attenzioni, e io non ne potevo più, volevo che non ci fosse più. E mi guardava, e con i suoi occhi mi perdonava. Mi ha sempre perdonata. Non volevo che morisse così.
Sopprimerla. Non lo potevo decidere. Non chiedetelo a me! Perché quando ero stanca, sfinita, avrei voluto che lei sparisse. E in quel momento, quella domanda, sopprimerla, mi costringeva a risentire quel pensiero. Scuotevo la testa, per non udirlo, perché mi faceva sentire colpevole. Che sparisca, l’avevo già detto.
Non volevo che finisse così. Ero solo stanca.
Tutto quello che prima era così faticoso, oggi mi manca. E non so cosa darei per poter provare di nuovo quell’ingombro, quel fastidio, quella fatica.
Oggi mio figlio di due anni, guarda il cielo e quando vede un aereo pensa sia lei a guidarlo.
Non voleva chiedere aiuto, Alessia, per lei era difficile spiegare che sentiva il bisogno di parlare con uno psicologo per la morte del suo amato cane: ho scritto per lei, e per chiunque viva questo dolore. Perché senta di poterne parlare, senza vergognarsi, senza pensare di essere sbagliata. È una sofferenza che merita comprensione e accoglienza e uno spazio di ascolto e di elaborazione.
No, Giuditta non era solo un cane.
Sono creature nate per guidare ed essere guidate. Spesso ti fanno divertire e spesso le devi far divertire. Quando mancano è una tristezza. Ciao Giuditta.
Ho pianto disperata dallo psicologo per lui. No Paco non era solo un cane.
Complimenti bellissimo questo articolo.
Axe e Tilde non erano solo cani. Erano Famiglia e sono state lacrime e struggimenti. Ora abbiamo Bora è impetuosa come il vento di Trieste, adorabile canaglia, è giovane e non voglio proprio pensare a quando accadrà. Grazie per queste parole Silvia❤️
No Trippy non era solo un cane e non lo dimenticherò mai come non ho mi dimenticato Carlotta. Non sono solo cani fanno parte della famiglia e sono speciali ognuno a modo suo proprio come i figli! Non sono figli ma non sono neanche solo un cane!