Introduzione
Dopo la pandemia da Covid 19 siamo entrati in una fase “sindemica” nella quale le crisi sanitaria, sociale, economica, ambientale e della pace coesistono e si influenzano reciprocamente evidenziando problemi in larga parte antecedenti la pandemia che ha agito come uno stress, prima acuto e poi cronico, interessando tutti gli aspetti della vita delle persone.
In questo contributo proveremo a tracciare alcune linee di tendenza relative all’attuale situazione di adolescenti e giovani adulti e delle loro famiglie a fronte di un incremento delle richieste di consulenza e presa in cura presso la Neuropsichiatria dell‘Infanzia e Adolescenza (in 15 anni in Emilia Romagna la prevalenza dal 6% a circa il 10% dei minori). Alcuni temi come l’attenzione a determinati disturbi (Autismo e Disturbi Specifici di Apprendimento) e la tendenza alla diagnosi precoce da soli non spiegano pienamente l’attuale periodo.
Riferimenti
Il riferimento al modello del neurosviluppo indica che per la salute sono fondamentali i primi mille giorni di vita, la sintonizzazione e l’attaccamento, la qualità delle cure parentali e sociali, la prevenzione degli abusi, violenze, neglect che rappresentano Eventi traumatici gravemente sfavorevoli per lo sviluppo del bambino. Questo si realizza nella relazione interpersonale secondo il modello biopsicosociale mediante meccanismi genetico-epigenetici e si evidenzia una complessa interazione tra fattori biologici, neurologico, endocrino e immunitario e quelli relazionali, psicologici, familiari, culturali e socioambientali (alimentazione, povertà, educazione, qualità dell’abitazione e dell’aria).
Tutti elementi che possono avere una notevole importanza nel concorrere a porre le basi per fenomeni patologici che appariranno nell’adolescenza e confermano che l’area della prevenzione per la salute (compresa quella mentale) debba essere quella che va da 0-6 anni.
L’adolescenza, insieme agli aspetti tipici della pubertà, vede il riattivarsi di dinamiche di separazione-individuazione (la seconda) che mettono a prova la solidità della sintonia e dell’attaccamento.
Crisi delle famiglie e del legame sociale
In questo periodo si avverte una crisi delle famiglie, del legame sociale e più in generale del mondo adulto che sembra essere in difficoltà nell’esercitare funzioni di contenimento, rispecchiamento, riconoscimento dei giovani e quindi nel processo di costruire insieme un percorso caratterizzato da prospettive di un futuro che sia pensato e sognato. In diversi contesti si parla di povertà educativa (ma anche economica, culturale e relazionale).
Secondo Lancini[1] la crisi del mondo adulto si evidenzia in una crescita fondata su un messaggio tipo doppio legame “sì autonomo!” e aggiunge “a modo mio”. Ed è su questo quest’ultimo messaggio che vale la pena di soffermarsi. Non si tratta tanto della proposta di un superato modello autoritario incardinato su radicati valori e convinzioni, su tappe evolutive precise, riti di passaggio definiti quanto della precarietà e dell’instabilità che sembrano dominare i vissuti e le relazioni. Ciò compromette le sicurezze fino ai fenomeni di ritiro, abbandono scolastico, NEET, creazione di nicchie di protezione e isolamento, per preservare l’identità minima e talora la mera sopravvivenza. Al contempo si è passati dall’autodeterminazione come esito di un’accompagnata assunzione progressiva di responsabilità verso sé e gli altri a quello dell’autogenerazione (in tutto dal genere al lavoro) nella solitudine. Questo non determina alcuna autopoiesi delle funzioni mentali ma apre invece, la via a frustrazioni e fallimenti, ad arrangiamenti difensivi, a relazioni instabili. Nessuno si educa e cresce da solo.
La prevalenza di figli unici fa sì che non vi siano fratelli e così viene meno il loro ruolo nella modulazione della relazione fra pari, nella gestione di rivalità, dell’aggressività, delle competizioni e si hanno difficoltà a creare una solidale cooperazione, il reciproco sostegno ai processi partecipativi e alle sperimentazione delle autonomie. Quando i pari diventano i “fratelli immaginari” e i genitori “amici”, la gestione dell’aggressività e del rapporto con diversità (di genere, cultura ecc) e le debolezze se non accompagnate dall’adulto possono portare a rischi di sopraffazione, bullismo, violenze, umiliazioni.
Non si tratta solo di una dinamica tra cooperazione e competizione, dove questa finisce per prevalere comportando frustrazioni, precarietà e instabilità quanto della difficoltà di vivere il piacere del gioco, nel quale il partecipare prevale sul vincere. In questo quadro il rispetto delle regole è garanzia e sicurezza che rifiuta il tentativo di modificarle (anche legalmente) pur di vincere. La vittoria non deve essere l’umiliazione dell’altro ma l’onore del vinto è parte del successo del vincitore. Quindi non occorre demonizzare la competizione, la ricerca di eccellenze ma va fatto con regole chiare e condivise e con meccanismi di protezione e sicurezza, strumenti che allenino con equilibrio e preparino alle prestazioni. Queste sono migliori nei contesti inclusivi, solidali, rispettosi delle diversità, dove si sviluppa il lavoro gruppale e la creatività.
Aspetti psicologici
Sul piano sociale siamo passati dall’uomo novecentesco dominato dal senso di colpa rispetto a precetti sociali, religiosi o statuali (superegoici) all’individualismo fino alle forme di narcisismo e alle sue declinazioni come il narcisismo maligno e la psicopatia. In questa prevalgono l’insensibilità, la freddezza e la pretesa che tutto sia dovuto, andando oltre ad ogni norma di legge o etica. Dove l’individualismo, l’egoismo prevalgono rispetto ad ogni idea di reciprocità, di comunità e di pubblico non esistono e da spazio di tutti diventano terra di nessuno, “non luoghi”, deserto relazionale.
La prospettiva post narcisista sembra delineare uno stato di anomia, afania, assenza di senso e prospettive. Se l’altro non è degno di presenza, ciò porta ad una forma di non esistenza, ad un vuoto interiore e relazionale. La struttura di personalità è frammentata, instabile, povera di istanze interne capaci di autoregolazione e di provare senso di colpa e altri vissuti (e persino di denominarli, alessitimia). Si avverte il bisogno di adulti autorevoli in grado di essere solidi punti di riferimento e di valido esempio per i giovani affinché possano sentirsi accolti, riconosciuti, valorizzati nella loro presenza, ascoltati e compresi (nel senso della decodifica dei linguaggi) e lentamente aiutati a strutturarsi. In questo compito certamente non facile i genitori e le famiglie hanno bisogno di molteplici sostegni (sociali, reddito, psicologici, abitativi).
Altrimenti vi è il rischio di avere giovani senza storia, senza memoria, senza esempi stimolanti, senza ideali, utopie, con uno scarso sapere critico. Non resta loro che il presente anestetizzato o disperato, spesso isolato e solitario. Un’identità fragile è incline ad adattarsi ad ogni conformismo rassicurante o ad ogni idea “forte” che dia protezione. Il presente intollerabile e l’assenza di vie di uscita struttura il dolore mentale che unito alla perdita di speranza porta ai suicidi.
Isolamento, distacco dall’ambiente e nuove tecnologie
Nella pandemia si è accentuato un cambiamento già in atto del rapporto tra condizioni di vita, lo stato dei corpi, il reale, i vissuti e le dimensioni simbolica e immaginaria.
L’isolamento ha accentuato l’aggressività intrafamiliare e al contempo il distacco dall’ambiente, facilitando, come scrive Morelli[2], la tendenza alla colonizzazione immaginaria del simbolico e del reale. “Se per paesaggio non si intende solo il lato esteriore dei mondi in cui viviamo, bensì uno spazio-forma di vita che emerge al punto di connessione tra mondo interno e mondo esterno, con la mediazione dei principi di movimento e immaginazione, allora il paesaggio siamo noi, con la nostra storia, le nostre scelte, e l’elaborazione dei vincoli e delle possibilità con cui elaboriamo la nostra vivibilità” e il nostro futuro come ci ricordano i giovani di Friday for Future.
Il ruolo cruciale dell’ambiente per la nostra identità e vita si confronta con la crescente influenza delle nuove tecnologie sul funzionamento mentale e sul senso dell’esistenza. Le caratteristiche dell’Io (i sentimenti di unità (della mente e di questa insieme al corpo, delimitazione, identità, unicità, attività) nel web vengono fortemente modificate: l’unità viene perduta e l’Io è separato in parti sia a livello psichico che tra mente e corpo fino a forme di frammentazione diffusa; la delimitazione, il confine della mente viene perduto, non si hanno riferimenti, lo spazio “raggiungibile” non è tanto infinito quanto senza limiti percepibili e questo fa sì che anche i percorsi siano molteplici e potenzialmente coesistenti; l’identità può essere multipla (l’Avatar), segreta, l‘immagine è modificabile nel genere, età, etnia, residenza, lavoro.
Anche l’identità riflessa è rimandata da una pluralità indefinita di soggetti (e non solo da coloro con i quali si ha una relazione reale e di fiducia) e deriva dal numero dei follower e dai “like” ai quali si può essere molto sensibili, perché la carente delimitazione porta a ridurre la funzione di filtro e di difesa. Il sentimento di attività, nel momento in cui diviene reale attraverso il mezzo del web, vede utilizzi definiti (fare acquisti ecc.) ma spesso la navigazione ha mete indefinite e percorsi da noi non memorizzati (dall’algoritmo, invece, si), le sue potenzialità hanno esiti imprevedibili facendo venire meno la linearità dei processi e delle condizioni delle nostre azioni, ovvero la possibilità di programmarle e di valutarne le conseguenze.
Questo può determinare molte difficoltà nell’apprendere dalle esperienze, nel loro mix tra virtuale e concreto, ma comunque entrambi reali. Si rischia così di compromettere una funzione delicata quale l’esame di realtà, cioè la capacità di distinguere tra mondo interno ed esterno. In sostanza si creano mondi allargati, terzi o multipli, mai pienamente conosciuti e posseduti, immaginari e onnipotenti ma fragili ed effimeri.
Abitare in modo incerto e insicuro il mondo fa sì che il corpo venga ad essere parte di una realtà a-corporale, dove il corpo è altrove e idealizzato mentre quello presente inquieta, perché è brutto, o un peso, o addirittura un nemico. Questo contribuisce a comprendere come alla pandemia siano aumentati i disturbi della nutrizione e alimentazione, le autolesioni e i tentativi di suicidio.
La memoria del web è poco affidabile, variabile, dipendente da algoritmi. La memoria del web è quella di lavoro, ma non di lungo termine. La memoria è sempre anche rimodellamento, ripetizione, rielaborazione e quindi fortemente connessa con affetti e pensieri, ovvero una funzione riflessiva sulla propria esperienza mentale. Nel web il percorso di navigazione può essere erratico, guidato in parte da altri (Google) e non oggetto di una propria ricerca (da un libro ad un altro). Questo influisce sull’attenzione e sulla capacità di restare concentrati su un compito.
Che fare?
Educare a stili di vita sani e ad usare il web limitandone l’accesso specie nelle fasi evolutive. Per utilizzare positivamente le sue tante risorse (banche dati, intelligenza artificiale et al.), la vita del web ha bisogno di confronto e dialogo interpersonale reale, deve essere sempre soggetta all’umano, alla sua capacità di mediazione, di riflessione sui propri vissuti e calata nella relazione con altri esseri umani, con la bellezza e la meraviglia del mondo. Non solo ricostruito in 3D ma sperimentato all’interno di una vita esperita direttamente. Non può crescere l’intelligenza artificiale e al contempo declinare quella umana che vi si assoggetta. La mente umana è capace di funzione riflessiva e affettiva e di tessere relazioni interpersonali sociali, ed è in questo ambito culturale che si strutturano le menti dei giovani ed apprendono come coesistere, gestire i conflitti ed emanciparsi.
Per la salute mentale è fondamentale il corpo (riapparso, dopo la pandemia, sulla scena pubblica dalla quale è largamente scomparsa la morte), la manualità, scrivere con la penna, disegnare, dipingere, fare attività artigianali, contadine, pratiche, leggere, sentire la voce umana dell’altro, canto, teatro, arte, gioco, contatto con il vivente e l’ambiente (immersione nel verde, all’appartenere, all’abitare il mondo e la casa). La pluralità e la contemporaneità dei bisogni deve partire dalla concretezza dell’oggetto, dell’esperire e della motricità ridando importanza alla propriocezione e alle distanze interpersonali (prossemica) e alla loro modulazione/regolazione e autoregolazione.
Le facoltà mentali devono essere sostenute e sviluppate sia nella componente cognitiva che affettiva. Con Bion[3] sappiamo quanto sia importante apprendere dall’esperienza per costruire un apparato per pensare i pensieri, per elaborare gli elementi della percezione, e che questo processo avvenga in una relazione interpersonale capace di reverie. Elementi rimarcati anche dalle neuroscienze che pongono in primo piano anche la questione del corpo ma anche dei tempi e dei modi di sviluppo del cervello[4]. La strutturazione della memoria e i processi di elaborazione sono lenti, richiedono tempo e pazienza piuttosto che la velocità, il tempo reale del web. Per lo sviluppo di pensieri e di un sentire collettivo è essenziale la partecipazione a microcomunità attraverso la cultura, lo sport, il volontariato, il teatro, esperienze democratiche, il dialogo, la formazione, il lavoro. Questo vale anche per i servizi sanitari che devono prevedere forme strutturate di partecipazione che favoriscano il protagonismo e l’aiuto fra pari.
In certi casi registriamo profonde regressioni, come se crollasse ogni base sicura, nelle quali le strutture psichiche sprofondano e perdono la capacità di funzionare. Restare accanto a queste situazioni a rischio vita richiede di partire dalla ripresa di un essere nel mondo che sia presenza reciprocamente vissuta prima ancora che dotata di senso. Un processo difficile per tutti, adolescenti, famiglie e operatori. In queste situazioni non sono tanto gli approcci biologici ad essere essenziali quanto quelli relazionali individuali che lentamente creano fiducia e quelli gruppali come il “dialogo aperto” e i “gruppi psicoanalitici multifamiliari”. E’ fondamentale sostenere le famiglie mediante interventi pedagogici, educativi (forme di automutuaiuto), ma anche sociali sulle condizioni di vita della famiglia che tengano conto degli aspetti culturali e religiosi/spirituali. Dopo la pandemia e l’isolamento, con fiducia e speranza occorre ricostruire le relazioni sociali, essenziali per riattivare i meccanismi di regolazione reciproca e di autoregolazione sostenendo ascolto e responsabilità del minore e, al contempo l’esercizio delle funzioni genitoriali ed educative della comunità di riferimento.
Per comprendere meglio i fenomeni ed evitare la psichiatrizzazione del disagio, vanno studiati i dati di accesso ai servizi e al Pronto Soccorso ma anche di abbandono scolastico, povertà, NEET, e le condizioni delle famiglie. Bisognerebbe costruire in ogni territorio microcomunità capaci di accoglienza e di creare speranza e futuro mediante formazione, lavoro, cultura, sport, attività che diano senso. Un percorso crescita del minore e al contempo delle funzioni genitoriali e del welfare di comunità attraverso interventi in grado di educare e allenare alla socialità, all’incontro e al riconoscimento dell’altro, come modo per entrare in contatto con sé, il corpo, con i vissuti, in modo artigiano (far vedere come si fa) e creativo. sperienze, mediante il lavoro e la partecipazione alla vita sociale.
[1] Lancini M. Sì autonomo a modo mio. Cortina Ed. 2023
[2] Morelli U. I paesaggi della nostra vita. Silvana ed., 2020
[3] Bion WR (1962) Apprendere dall’esperienza Astrolabio Ubaldini, Ed 2019
[4] Ammaniti M. Ferrari P.F. Il corpo non dimentica. L’io motorio e lo sviluppo della relazionalità, Raffaello Cortina Ed 2020i