I dati discriminano le opinioni più o meno libere e indicano nei fatti la realtà dell’ambito indagato: nel nostro caso l’assistenza psichiatrica.
Emotivamente scossi dall’omicidio della collega di Pisa e sollecitati dal protagonismo di alcuni colleghi (?) affetti da quello che amiamo definire “narcisismo pernicioso” che evidentemente influenza tutti gli individui, ci siamo trovati a riflettere sui limiti del nostro agire.
Il rischio: riguarda tutte le professioni, nel nostro caso è legato principalmente all’auto ed eteroaggressività.
Non vi è alcun dato che evidenzi un aumento della violenza perpetrata da pazienti psichiatrici gravi dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici, compresi quelli giudiziari; semmai sono percentualmente diminuiti là dove i dipartimenti di salute mentale hanno interpretato correttamente il senso della riforma introdotta dalla legge 180 – che impropriamente viene chiamata legge BASAGLIA – visto che è stata il risultato di un compromesso sulla spinta del partito radicale, il cui relatore in parlamento fu, l’amico collega, Bruno Orsini (Il vaso di Pandora ha pubblicato, in occasione del ventesimo anniversario, gli atti della discussione in parlamento per gentile concessione di Bruno).
Ciclicamente qualche psichiatra affetto da narcisismo pernicioso deve, per scrollarsi di dosso la responsabilità del peccato capitale di accidia, tirarla in ballo come responsabile di tutte le contraddizioni che contribuiamo a realizzare sia come tecnici che come opinionisti più o meno indirizzati politicamente.
Dobbiamo richiamare ciascuno alla propria responsabilità.
In un precedente articolo Pellegrini , come al solito lucidamente, analizza alcuni problemi fondamentali per poter lavorare bene in psichiatria.
Ne ricordiamo alcuni.
Il primo la competenza: ovvero, la capacità piena e consapevole di orientarsi nel campo che ci appartiene.
Ne deriva il secondo: la formazione, ovvero la scuola che ci insegna ad operare con competenza.
Ne deriva il terzo: il numero di operatori formati, disponibili a lavorare nel campo specifico.
Ci troviamo secondo i dati a nostra disposizione, nel momento attuale, a disporre di poche persone competenti, scarsamente formate.
Le scuole di specialità in psichiatria non forniscono un numero sufficiente di psichiatri giovani che possano sostituire coloro che abbandonano il campo per raggiunti limiti di età; i corsi di laurea in tecnico della riabilitazione psichiatrica e quelli in scienze dell’educazione a indirizzo sociosanitario non sfornano abbastanza operatori, per non parlare dei corsi di laurea in scienze infermieristiche che sono cronicamente in crisi di numeri.
Abbiamo inventati gli Oss (operatori sociosanitari ), paragonabili agli infermieri generici di una volta e nel nostro caso agli infermieri psichiatrici con una formazione carente ed un’istruzione raffazzonata ed insufficiente che rende conseguente il calo dell’offerta professionale con i rischi connessi ad interventi superficiali e scoordinati. Ciò non è imputabile alla figura dell’Oss in sé, ma alle mansioni e alle responsabilità che le sono state impropriamente attribuite.
D’altra parte, la risposta politico-amministrativa alla mancanza di personale qualificato, e cioè l’inserimento di figure poco o per nulla qualificate nei minutaggi, appare una soluzione che può essere tollerata solo per coprire l’emergenza nel breve periodo, ma per nulla praticabile e auspicabile a medio-lungo termine.
Siamo costretti a cercare infermieri all’estero che costituiscono ormai una componente importante degli infermieri in Italia. Questo fenomeno di immigrazione infermieristica, seppur abbia e possa favorire un approccio transculturale ai bisogni socioassistenziali emergenti, genera ulteriori problemi legati alla lingua e alle tradizioni di ciascuna etnia.
In un ambito di cura dove la relazione è lo strumento cardine, quando la comunicazione viene a mancare o è fortemente limitata da una scarsa dimestichezza con la lingua, viene compromessa la capacità di un intervento efficace.
È auspicabile, evidentemente, la capacità di programmare la forza lavoro togliendo i numeri chiusi nelle università e pubblicizzando bene le necessità e le opportunità lavorative. D’altro canto sarebbe doveroso un diverso riconoscimento non solo culturale e politico ma anche economico per quelli che sono ormai percorsi universitari prima e professionali poi, impegnativi e caratterizzati da un’assunzione di responsabilità.
In attesa che si realizzino le condizioni auspicate da Zanalda e Pellegrini, chi lavora giornalmente a contatto o la disperazione e la sofferenza mentale deve avere chiari i limiti del nostro intervento ed i rischi che nascono dall’accettare di sanare delle contraddizioni e accettare deleghe impossibili.
Per quanto riguarda i reati pensiamo che tutti debbano poter essere imputabili e tutti abbiano il diritto se necessario di essere curati in luoghi adatti, il che prevede una riforma sostanziale del codice Rocco e una modernizzazione concreta dei luoghi di pena che devono essere ben distinti da quelli di cura.
Nel frattempo non ci resta che resistere per esistere.
Perfetto! Nulla da aggiungere.
Sottoscrivo quanto espresso dai colleghi Giusto e Meistro, soprattutto per quanto riguarda la chiarezza con cui sottolineano che. non andrebbe messa in discussione la Legge 180, ma i vari modi che vengono attuati per renderne difficile l’attuazione, come quelli descritti nell’articolo.
Credo che ci sarebbe bisogno di maggiore chiarezza all’interno delle forze politiche in merito alle scelte da fare: come è possibile che lo stesso psichiatra sia stato scelto come punto di riferimento sia dalla Giunta Regionale del Lazio a guida PD, governatore Zingaretti, assessore alla Sanità D’Amato, sia dal Governo attuale a guida Meloni, Ministro della Sanità Schillaci? Il problema non è la persona, ma le idee che porta avanti: come è possibile che vanno bene sia al PD che all’attuale governo a guida FDL? Forse il PD dovrebbe farsi delle domande che non è in grado di farsi: Da che parte sto? dalla parte di una Psichiatria che punta tutto sui farmaci e sulle strutture di ricovero o di una Psichiatria che punta tutto sulla relazione terapeutica e sui Servizi Territoriali?