Esperienze infantili avverse
In un precedente articolo ho trattato le relazioni tra trauma, stress e psicosi, evidenziando come esperienze avverse e traumatiche dell’infanzia possano causare effetti permanenti sull’asse dello stress e scatenare una autoaggressione neuro-immunitaria cronica che danneggia neuroni e sinapsi, provocando alterazioni persistenti nella neurotrasmissione. Ho anche accennato al fatto che, non solo eventi traumatici, ma anche fattori genetici e tossici possono attivare questa autoaggressione immunitaria generando diversi tipi di sofferenza psicologica, tra cui disturbi psicotici, disturbi dell’umore, disturbi alimentari e abuso di sostanze.
Il rischio di sviluppare disturbi psicotici può variare dal 3 al 15% nei soggetti che hanno subito esperienze traumatiche durante l’infanzia, e dal 2% al 12% in coloro che hanno parenti con disturbi psicotici. Tuttavia, è importante sottolineare che la maggioranza degli individui con predisposizione genetica alla psicosi o esposti ad esperienze traumatiche infantili non sviluppano tali disturbi. Per questo motivo, la ricerca si concentra sempre di più sullo studio dei fattori di resilienza che possono proteggere dall’insorgenza di malattie mentali gravi come le psicosi.
Esperienze infantili protettive e adattative
Nel febbraio 2023, è stato pubblicato sulla rivista World Psychiatry, il giornale ufficiale della World Psychiatric Association, un articolo di Morris e Hays-Grudo riguardante le esperienze infantili capaci di compensare e proteggere dai traumi. Queste esperienze protettive sono state sintetizzate con l’acronimo PACEs (Protective and Adaptive Childhood Experiences) e includono: ricevere amore e cure dai genitori o dai caregivers, sentirsi parte di un gruppo, avere un amico/a del cuore, condurre esperienze di volontariato nella comunità e avere un mentore. L’elemento che accomuna le diverse PACEs è la stimolazione delle capacità empatiche dei bambini.
Le PACEs sono in grado di mitigare gli impatti dannosi delle esperienze infantili avverse (Adverse Childhood Experiences –ACEs) sulla salute mentale in età adulta. Da un lato, le ACEs possono provocare alterazioni dello sviluppo neurologico, disturbi della cognizione sociale, gravi disturbi psichici e mortalità prematura. D’altra parte, le PACEs contribuiscono allo sviluppo neurologico ottimale, alla regolare cognizione emotiva, ai comportamenti sani e alla longevità (Morris e Hays-Grudo, 2023).
Le ACEs possono rendere permanentemente iperattivo l’asse dello stress, provocando un’infiammazione neurologica cronica e alterazioni stabili della neurotrasmissione. Al contrario, le PACEs attivano l’asse antistress generando empatia, fiducia, legami sociali, benessere emotivo e regolarizzazione della neurotrasmissione.
L’asse antistress
L’asse antistress è un sistema fisiologico che interagisce con l’asse dello stress e aiuta a ripristinare l’equilibrio nell’organismo dopo una situazione stressante (Tops e coll, 2014). L’asse anti stress è attivato dal tatto affiliativo, una forma di contatto piacevole in grado di aumentare la produzione di ossitocina nell’ipotalamo e nell’ipofisi e di mitigare le risposte dell’organismo allo stress.
Diverse ricerche dimostrano che l’ossitocina inibisce i livelli di cortisolo provocati dall’attivazione dell’asse dello stress e favorisce il ritorno dei livelli di cortisolo ai valori normali dopo lo stress (Heinrichs e coll, 2009; Neumann, 2002).
L’asse dello stress e l’asse antistress operano in equilibrio per raggiungere uno stato di omeostasi (Tops e coll, 2007). Tuttavia, le esperienze avverse e traumatiche dell’infanzia possono alterare le capacità dell’ossitocina di bilanciare l’asse dello stress (Buisman-Pijlman e coll, 2014).
Per esempio, lo stress causato dalla separazione precoce dai genitori può ridurre le capacità inibitorie dell’ossitocina sui livelli di cortisolo (Meinlschmidt & Heim, 2007). Inoltre, i bambini maltrattati presentano livelli urinari ridotti di ossitocina (Fries e coll, 2005), mentre le donne con una storia di abuso infantile mostrano concentrazioni ridotte di ossitocina nel liquido cerebrospinale (Heim e coll, 2009).
D’altra parte, le esperienze protettive basate sul tocco affiliativo materno possono aumentare la produzione di ossitocina e ridurre l’innalzamento del cortisolo nei neonati esposti sperimentalmente a stress sociali di breve durata (Feldman e coll, 2010). Numerose ricerche (Scatliffe e coll, 2019) hanno dimostrato che il contatto affiliativo pelle-pelle tra genitori e figli durante la prima infanzia è correlato con un aumento significativo e permanente dei livelli di ossitocina sia nei neonati che nei genitori. Inoltre, i genitori con livelli più alti di ossitocina possono essere più empatici e in sintonia con i loro figli, favorendo esperienze protettive e adattative (Feldman e coll, 2010; Scatliffe e coll, 2019).
Tatto affiliativo e legami sociali
Il tatto affiliativo oltre a ridurre lo stress, è coinvolto anche nella formazione e nel mantenimento dei legami affettivi sociali (Insel & Young, 2001; Kosfeld e coll, 2005) migliorando la connettività funzionale tra le aree cerebrali coinvolte nei legami empatici e nell’attaccamento (Riem e coll, 2011; Feldman e coll. 2007).
Il tatto affiliativo sembra facilitare i legami di attaccamento grazie a almeno tre fattori: in primo luogo, la sensazione soggettiva di piacere, collegata all’aumentata produzione di ossitocina, costituisce una forma di ricompensa che motiva il bambino a instaurare legami di appartenenza sociale con i caregivers (Cascio e coll, 2019).
In secondo luogo, il bambino in situazioni di dolore, pericolo, stress e angoscia, si avvicina ai genitori ricercando interazioni affettive tattili che attenuano queste sensazioni spiacevoli e rinforzano il legame di attaccamento ai genitori.
Infine, quando l’infante interagisce con il caregiver attraverso il tatto affiliativo si attivano le vie interocettive che portano a percepire il caregiver come appartenente al proprio Sé. Questo processo di riconoscimento dell’altro come parte integrante di sé contribuisce a stabilire e consolidare i legami di attaccamento e di appartenenza sociale
Origini del tatto affiliativo
Secondo alcuni ricercatori del Karolinska Institut, le oscillazioni del liquido amniotico generate dai movimenti fetali e materni vengono trasmesse alla lanugine. La lanugine è uno strato di peli lunghi circa 5 millimetri che copre la superficie cutanea del feto a partire dalla 18.ma settimana di vita intrauterina (Bystrova, 2009; McGlone e coll, 2014). La flessione dei peli della lanugo, provocata dalle onde del liquido amniotico, è registrata dai recettori C-tattili, sensori sensibili al movimento situati alla radice di ogni pelo della lanugine. La stimolazione dei recettori C tattili è trasmessa alla corteccia cerebrale dell’Insula posteriore e all’Ipotalamo che risponde aumentando la produzione di ossitocina. (Björnsdotter e coll, 2010; Craig, 2002; Olausson e coll, 2002). L’incremento di ossitocina motiverebbe il feto ad aumentare i propri movimenti, stimolando ulteriormente i recettori C tattili, contribuendo così allo sviluppo fetale del tatto affiliativo.
Carezze e tatto affiliativo
Nel periodo perinatale, la lanugine cade ed è sostituita dai peli del neonato, che essendo più corti hanno una lunghezza ottimale (1 mm) per trasmettere ai recettori C tattili le carezze ricevute dai genitori. Le carezze agiscono attraverso un meccanismo simile a quello del liquido amniotico: flettono i peli e attivano il tatto affiliativo, contribuendo a ridurre lo stress, facilitare l’attaccamento e il senso di appartenenza ad un gruppo sociale e definire i confini del sé. (Björnsdotter e coll, 2010; Craig, 2002; Olausson e coll, 2002).
Holding e confini del Sé
L’Holding comprende una serie di azioni materne quali: sostenere, dondolare, massaggiare, abbracciare, accarezzare che coinvolgono le vie interocettive ed il tatto affiliativo.
“L’holding crea una membrana limitante equiparabile alla superficie della pelle. Così il neonato viene ad avere un dentro e un fuori, e uno schema corporeo” (Winnicott, 1960, p. 592).
Le attuali conoscenze neurobiologiche sull’Holding confermano esattamente le intuizioni di Winnicott.
L’holding implica infatti un’alternanza ritmica di unione e separazione tra la superficie del corpo dell’infante e del caregiver. Il ritmo unione-separazione tra le superfici corporee è il primo ritmo che il feto acquisisce a partire dal secondo trimestre di vita intrauterina (Zoja e coll, 2007) ed ha un ruolo importante nella definizione dei confini del sé (Peciccia e coll, 2022).
Le interazioni affettive tipiche dell’Holding, come la carezza, vengono trasmesse al cervello attraverso la corteccia posteriore dell’insula, contribuendo insieme ad altre informazioni provenienti dagli organi interni, alla percezione del mondo interno, alla sensazione di proprietà del proprio corpo (ownership) e all’embodiment ovvero alla sensazione di abitare il proprio corpo (Tsakiris e coll, 2011; Crucianelli & Filippetti, 2020).
Nell’insula posteriore avviene uno scambio di informazioni tra le informazioni interocettive provenienti dall’interno del corpo e le informazioni esterocettive provenienti dall’esterno del corpo (Craig, 2009). Questo scambio di informazioni ha un ruolo primario nella differenziazione tra l’ambiente interno ed esterno, definendo i confini del sé (Field e coll, 2010) e contribuendo alla percezione e alla protezione del Sé (Craig, 2009).
Fattori protettivi del Sé
I recettori C-tattili contribuiscono alla definizione e alla protezione dell’identità del sé perché registrano stimoli tattili affettivi provenienti dall’esterno della superficie corporea ma li elaborano come se provenissero dall’interno, utilizzando vie e centri nervosi interocettivi. Grazie a questo meccanismo, unico nella fisiologia umana, i movimenti protettivi del liquido amniotico e i gesti affettivi dell’Holding sono interiorizzati e diventano parte della mappa interna del corpo. Questo supporta l’idea di alcuni psicoanalisti, come Winnicott, secondo cui il contenimento protettivo delle prime fasi della vita viene interiorizzato e crea una sorta di scudo, un sistema difensivo innato denominato “Io-pelle” (Anzieu, 1985), che protegge dagli eventi traumatici della vita. L’assenza o l’insufficienza di questo scudo protettivo rende più vulnerabile chi, nell’infanzia, è stato esposto ad eventi avversi e traumatici, provocando nell’età adulta gravi forme di sofferenza psichica, tra cui le psicosi.
Questo articolo di Maurizio Peciccia segna un ulteriore passaggio evolutivo sulla strada di sottolineare l’importanza delle “cure” a cui un bambino può essere sottoposto o di cui può, ingiustamente, essere privato. Per molto tempo ho lavorato come psichiatra in tutti i tipi di Servizio che un DSM ha al suo interno e questo concetto non era presente come avrebbe dovuto nella mente degli operatori: non perché fosse importante averlo in mente per dare delle colpe, ma per costituire un insieme di cure che si ispirasse alla centralità di questo concetto. Si tratta, anche, di parlare di quello che è accaduto o che non è accaduto ma, soprattutto, di pensare a come non farlo riaccadere e consentire finalmente a qualcuno che non ha avuto il privilegio di poter “contare” su qualcun altro, di poterlo fare e di trovare sostegno al proprio diritto di essere riconosciuto come “persona umana” in un contesto che sia in grado di accoglierlo.
This article, including the article from march 2023, about the influences of the immune system on psychosis, is a very important message to all psychiatrists, therapists, hospital and social workers, and to all politicians, to change our health system and medical/clinical health interventions in people struggling with symptoms of posttraumatic stress disorders and psychosis. Affiliative touch, emotionally and physically, shouldn’t be taboo any longer in medical research and treatment. Thank you for these rich and pointed articles!