Malati dimenticati è il titolo dell’articolo di Massimo Ammaniti pubblicato da La Repubblica 14 gennaio 2023, pag. 28 ed è riferito ai pazienti psichiatrici. La sua lettura crea disagio non tanto per la presa d’atto delle carenze e le critiche quanto per il rischio che si diffonda una rappresentazione “agonica”, un vissuto di disperata impotenza dei servizi sottovalutandone, nonostante tutto, la persistente vitalità e ricchezza. Al tempo stesso possa facilitare una deriva giudiziaria penale dei problemi relazionali, di disagio, psichiatrici o dipendenze, a dire il vero citata ma subito negata dallo stesso Autore.
A forza di dire che il bicchiere è mezzo vuoto, è evaporato tutto il vino?
Sono note le difficoltà della psichiatria a fronte di un aumento di domanda legata anche alla pandemia, alla carenza di psichiatri e infermieri che pur essendo diffuse in tutto il Paese, vedono significative differenze regionali. Lo stesso per quanto attiene il livello di finanziamento che non raggiunge il 5% della spesa sanitaria come previsto dall’Accordo Stato Regioni ma si ferma al 3%.
Da sempre il divario tra domanda e offerta pubblica è strutturale tenendo conto che la prevalenza dei disturbi mentali nella popolazione è stimata in circa 4 milioni di persone e i servizi pubblici arrivano a seguire circa 800mila cittadini.
Per affrontare questa situazione, per prevenire i disturbi e i suicidi (quasi 4.000 anno), prendere in cura precocemente, comporre conflitti e contraddizioni, sono necessari approcci olistici (One Health, planetary health) affinché la salute mentale diventi una componente essenziale della salute. Quindi una competenza di tutti, in primis i medici e gli operatori sanitari e sociali che riguarda l’intera comunità, politica inclusa. A tal fine è necessaria un’azione culturale e un’ampia alleanza politica e sociale che sappia cogliere la rilevanza e l’interazione reciproca di fattori biologici, psicologici, sociali, culturali e ambientali. La salute mentale è un diritto, una componente essenziale della salute, è un investimento indispensabile per il funzionamento sociale ed economico, è un bene comune al fine del benessere sociale di una comunità sempre più multiculturale.
Un cambio culturale e di approccio che certamente prende atto di quanto la salute mentale sia stata trascurata da PNRR e DM 77/2022. Pochi e tardivi gli interventi compreso un discutibile e insufficiente il “bonus psicologi”.
Quale è oggi la situazione?
Essa andrebbe analizzata a livello di ogni singola Regione.
Dai dati del Rapporto salute mentale[1] a livello nazionale emerge che è attiva una rete di servizi radicati nel territorio, costituita da dipendenti pubblici (29.785), operatori degli Enti del Terzo Settore e del privato imprenditoriale convenzionato/accreditato (11.949) spesso con alte competenze professionali, motivazione e etica.
Una psichiatria di comunità, senza Ospedali psichiatrici civili e giudiziari, è complessa e difficile. Richiede una forte attenzione ai determinanti sociali della salute mentale ed un forte radicamento nel territorio, collaborazioni interistituzionali e integrazione sociale e ambientale.
Questo consente di attivare le risorse informali, il vicinato, le relazioni di prossimità che supportano nella reciprocità le persone e le famiglie. Un tessuto che in diversi contesti si è indebolito e lacerato ma è ancora molto presente, da proteggere, rinforzare e riattivare. Va sottolineata l’importanza dei fattori di budget non economici.[2]
Nel 2021 la psichiatria di comunità ha seguito circa 778.737 persone (manca la regione Calabria) pari al 1,58% della popolazione adulta. Ben 274.804 persone hanno avuto il primo contatto con i servizi.
Le 1983 Residenze psichiatriche hanno ospitato 27.813 persone con una durata media del trattamento di 1.124 giorni. Un trattamento che nel 2016 durava 673,9 giorni. Un prolungamento della permanenza che da un lato testimonia difficoltà di dimissione e inclusione sociale e dall’altro evidenzia come le Residenze siano ormai la sede di riferimento per i percorsi giudiziari post OPG e alternativi alla REMS.
I 742 servizi semiresidenziali hanno avuto 21.352 utenti.
E’ quindi possibile attuare percorsi di lungo termine. Non è necessario ricorrere al provvedimento giudiziario penale che, come scrive Ammaniti, “sarebbe una soluzione estrema e poco accettabile anche perché creerebbe un clima familiare incandescente che peserebbe sullo stesso percorso di cura”. Questo deve basarsi su consenso, motivazione, partecipazione e responsabilità. Deve essere precoce, in grado di aumentare le possibilità di guarigione anche attraverso le funzioni educanti e curanti di famiglie e contesti scolastici e sociali. Sappiamo quanto sia difficile e delicato “l’aggancio”. La sofferenza dei giovani è indice di una crisi multilivello, di una perdita di speranza[3] e di un’assenza di un futuro pensabile della propria vita.
Nel 2021 negli SPDC si sono avuti 78,959 ricoveri di cui il 7% (5.538 in TSO) e una degenza media di 12,8 giorni; le consulenze psichiatriche in Pronto Soccorso sono state 479.276 pari al 3,3% degli accessi, e sono esitate in oltre il 72% dei casi con il rientro a domicilio.
Mancano le strutture?
Secondo la Società Italiana Epidemiologia Psichiatrica (SIEP), per 100mila residenti i posti ospedalieri sono 9,7 e quelli residenziali 51,2, in totale 60,9. La stessa dotazione del Regno Unito con la differenza che, in quel Paese la quota di ospedaliera per 100mila è 50,63, gli Ospedali Psichiatrici 7,99 mentre i posti residenziali sono 2,28. In USA i posti complessivi sono 56,09 di cui 22,29 residenziali.
I dati sembrano indicare un’efficacia del nostro sistema di comunità anche in riferimento al numero complessivo di detenuti: per 100mila abitanti in Italia abbiamo 100 detenuti, nel Regno Unito 125, negli USA 666. Numeri che per quanto attiene l’Italia potrebbe essere decisamente migliori con una riforma della legge sulle droghe. Le strutture ci sono e come si diceva può essere migliorato il turnover.
Mancano gli operatori?
Si. I dati forniti dal Ministero Salute segnalano che la “dotazione complessiva del personale all’interno delle unità operative psichiatriche pubbliche, nel 2021, risulta pari a 29.785 unità” e “applicando lo standard di 6,7 operatori per 10.000[4] si ottiene un organico su base nazionale corrispondente a 33.423 operatori“[5] ai quali, per raggiungere gli standard dell’Accordo Stato Regioni del 21 dic.2022 andrebbero aggiunti anche i circa 6000 operatori dedicati ai SPDC e nei Rapporti conteggiati come “territoriali”. Sono i circa 10mila di cui parla Ammaniti.
Al 31 dicembre 2015 gli operatori erano 31.586 quindi rispetto ai 29.785 del 2021. Sono venuti a mancare 1801 operatori. Quindi è necessario procedere ad un piano di assunzioni come delineato dal recente Accordo Stato Regioni.
La spesa?
Nel 2016 la spesa complessiva era 3.605.794.000 Euro passati a 3.217.015.000 nel 2021. Una diminuzione di 388.779.000 che ha riguardato in larga misura servizi territoriali.
La spesa media procapite (residenti adulti) nel 2016 era 75,5 Euro è scesa a 67,5 Euro. Una differenza di 8 Euro. Questo è accaduto in una fase nella quale la psichiatria italiana si è fatta carico anche della chiusura degli OPG.
Narrare la memoria e investire sulle persone
Bisogna investire per assicurare l’accessibilità dei servizi. Questa è molto diversa ma un presidio di territorio è presente. Collegandolo a cure primarie e servizi sociali, alle Case della Comunità, è possibile un significativo miglioramento fornendo ascolto, prevenzione, interventi precoci e appoggio ai malati e sostegno alle loro famiglie. Questo passa anche per il pieno riconoscimento dei diritti di cittadinanza (formazione, lavoro, reddito, casa) e di doveri e responsabilità. Occorre dare futuro professionale a tanti giovani, anche nella salute mentale.
I percorsi di cura visti in modo unitario, strutturati per Percorsi Diagnostico Terapeutico Assistenziali (PDTA) e per intensità di cura possono essere migliorati, prestando maggiore attenzione ai giovani.
Infine pur riconoscendo la rilevanza dell’analisi di Eugenio Borgna e raccogliendo il suo accorato messaggio, credo che l’agonia culturale di una psichiatria riduzionista e oggettivante, incentrata sul modello biologico e farmacologico, sia contrastata da approcci ben più complessi, fondati sul modello biopsicosociale, culturale e ambientale, una diffusa rete di competenze, di diversi orientamenti (fenomenologici, psicodinamici, sistemici, multifamiliari, psicosociali ed al.) che hanno fortemente arricchito le pratiche, le relazioni e le dinamiche istituzionali. Queste vedono sempre più presenti gli utenti tramite iniziative di automutuoaiuto, Utenti esperti, le associazioni, la società civile, la politica. Stimoli importanti per mantenere alto il livello culturale, tecnico e scientifico, onde evitare un appiattimento su Manuali diagnostici e Linee Guida, assai poco utilizzabili nei contesti e nelle pratiche reali.
Vi sono difficoltà che ho cercato di rappresentare in modo sommario e incompleto. Non siamo in agonia, ma attivi e vitali. Il mondo della salute mentale è abituato alle crisi, al disconoscimento, all’ingratitudine.
La consapevolezza della forza e del valore del sistema di salute mentale di comunità implica una sua difesa multilivello a partire dalle pratiche più fragili, colte e di prossimità al fine di mantenere approcci che vadano verso le persone, le accolgano nel nostro mondo interno e nell’immaginario resistendo ad ogni linea che porti all’abbandono e a neo-istituzionalizzazioni. Dal passato[6] vengono pensieri e sogni che attendono vecchi e nuovi pensatori e sognatori.
[1] Ministero della Salute Rapporto 2021 Analisi dei dati del Sistema Informativo per la Salute Mentale (SISM), Ottobre 2022
[2] Pellegrini P., I budget per la salute mentale Sestante 08, dicembre 2019, 19-25
[3] Giusto G. Amuol Yakar, Vaso di Pandora 13 gennaio 2023, https://vasodipandora.online/amoul-yakar/
[4] Intesa Stato-Regioni 21.12.22, Metodo per la determinazione del fabbisogno di personale del SSN
[5] Starace F. Salute mentale: organizzazione, strutture e personale. Cosa prevede il decreto con i fabbisogni approvato dalla Stato-Regioni, Quotidiano Sanità 13 gennaio 2023,
[6] Peloso P. Ritornare a Basaglia? La deistituzionalizzazione nella psichiatria di ogni giorno. Erga Edizioni, 2022
Tutti i familiari in concerto con gli operatori, i responsabili ed i direttori dei Dipartimenti di salute mentale per poter esplicare al meglio le attenzioni per le cure dei pazienti psichiatrici, sia esordienti, sia cronici, auspicano ad un pronto intervento per l’inserimento di curanti psichiatrici, di educatori e tecnici specificatamente formati alla riabilitazione, di psicologi, al fine di procedere con maggiore efficienza alle cure farmacologiche, che richiedono particolari attenzioni personalizzate (ogni paziente presenta problemi diversi per l’assunzione dei farmaci sia per gli effetti collaterali, sia per mancanza di compliance per problemi psicologici). Altro lavoro importante è la riabilitazione alle attività individuali della cura del sè, all’espressione di propri desideri, alle attività di gruppo, per rafforzarli al fine di intraprendere inserimenti sociali nel lavoro (non lavoro per i disabili, ma i disabili nel lavoro) e nell’abitare attraverso progetti di cohausing, o abitazioni in case famiglia, o abitazioni per singoli, o abitazioni nello stesso posto di lavoro (cooperative, piccole aziende di vario genere, familiari e artigiane in vari settori) coadiuvati da toutor o inserimenti lavorativi negli stessi ambiti di cura dei servizi pubblici (CSM, Comunità Terapeutiche).- Con maggior personale alla PARTENZA potrà essere più facile un percorso che vada verso un punto di ARRIVO di recovery e consapevolezza!
I numeri parlano, su questo c’è poco da dire e molto da fare.
Ma pongo una domanda: i malati erano curati e seguiti per bene quando il personale abbondava, addirittura straripava nei CSM?
Io penso di no. Molti psicoanalisti, tra cui Massimo Ammanniti, hanno lavorato nei servizi pubblici ai tempi dell’abbondanza, ma hanno preferito lasciare il SSN e dedicarsi all’attività privata. Pieno diritto e nessuna critica, ma penso che si dovrebbe parlare di metodi e non solo di numeri.
Se gli operatori che arrivano a lavorare nei servizi pubblici si formano su modelli rigidi, che sia il modello biologico o quello psicologico o sociale otterranno nel trattamento della psicosi pochi risultati. E se non ci sono risultati non c’è gratificazione e nel lavoro, se non c’è il piacere, ci si aliena. Questo vale soprattutto per chi sceglie professioni sanitarie.
Credo che il senso di abbandono sia negli operatori, non tanto nei malati.
E credo che su questo bisogna trovare il modo di lavorare con efficacia.
Cosa che le supervisioni non hanno prodotto in tanti anni di interventi capillari.
Penso che un cambio di metodo, come proposto dalla psicoanalisi multifamiliare, dal dialogo aperto, dalle comunità terapeutiche, dalle linee guida sulla riabilitazione precoce, dal budget di salute, dal lavoro in equipe, dall’uso più razionale degli psicofarmaci, dalla applicazione reale del contratto di cura (PTI), possa rianimare i servizi di salute mentale almeno quanto possa fare l’implementazione delle risorse umane e strutturali.
L’analisi chiara ed onesta ed intelligente.
Non sono complimenti solo perchè vedo scritte cose che sostengo da tempo, ma soprattutto perchè effettivamente mettono al centro la persona sofferente e la solidarietà pensata ed organizzata per venire incontro a bisogni complessi che necessitano di risposte tempestive e coerenti con progetti dischiarato e controllati dai vari protagonisti.
Da oltre 20 anni usiamo uno strumento informatizzato che avevo chiamato redancia system ( oggi oida system dal greco antico vedere per conoscere )pensato per verificare i progetto ogni tre mesi da parte delle miniequipe ( composte da professionalità diverse e quindi da sensibilità distinte) che si occupano del paziente psichiatrico grave( non si può pensare di curare da soli); lo scopo era ed è quello di fotografare in un determinato momento la situazione personale dei nostri ospiti-assistiti-curati e poi di avere anche a disposizione la storia del divenire del progetto stesso.
In una disciplina come la psichiatria spesso autoreferenziale e suggestiva che pertanto difficilmente dà garanzie di processo organizzato ed integrato ; il tempo impiegato molto frequentemente è Kronos piuttosto che Kairos .
Quindi molta attenzione,concordo ancora con Pietro, va data alla formazione degli operatori che devono essere opportunamente coinvolti ed ascoltati e quindi selezionati per le proprie caratteristiche personali; riguardo al tempo ho avuto occasione di distinguerlo in tempo impiegato in modo specifico o a specifico, tempo sprecato(con grave danno economico) e tempo perso ( intempestività).
In conclusione ritengo che se le risorse umane sono indirizzate in modo da permettere che effettivamente al centro del progetto ci sia la sofferenza della persona in crisi potremo dare delle buone risposte al pubblico ( al di là della ragione sociale della organizzazione che la esprime), altrimenti come per tutti i sevizi privigileremo chi li eroga piuttosto di chi li riceve