Vaso di Pandora

Suicidio e posizione di garanzia

Il recente suicidio nel carcere di Messina di Stefano Argentino autore del femminicidio di Sara Campanella ha molto colpito l’opinione pubblica. Tantissimi interrogativi su quanto e come si sarebbe potuto o dovuto fare per proteggere una giovane studentessa colpita in pieno giorno in uno spazio pubblico. Tantissimo è il dolore di chi resta e di fronte al quale vi è la speranza che la compassione e l’umana pietas possano essere di un qualche aiuto. Una tragedia che dovrebbe portare a riflettere, senza pregiudizi in ogni ambito educativo, sociale, culturale, psicologico e psichiatrico. Giovani italiani, studenti… come Filippo Turetta e Giulia Cecchettin il cui padre ha dato una grande testimonianza.

In questa situazione colpisce la notizia di stampa in base alla quale per il suicidio di Stefano Argentino vi sarebbero 7 persone indagate tra cui direttrice e vicedirettore, psichiatra e psicologa psicoterapeuta.

Atti dovuti, di garanzia che certamente non intaccano la presunzione di innocenza e la giustizia farà il suo corso. 

Lo scudo penale per i medici

Proprio nei giorni scorsi in Parlamento è stata rinviata ogni decisione sullo scudo penale per i medici e se ne riparlerà ad ottobre. Ora credo vada segnalato che il solo fatto di essere raggiunti da un avviso di garanzia, essere inquisiti, di avere titoli sui giornali rispetto al proprio lavoro è fonte di grande stress. A questo si aggiunge la necessità di dover nominare legali, consulenti di parte il che ha molteplici risvolti compresi quelli economici. 

Tutto questo dovrebbe essere evitato sia depenalizzando ogni attività medica sia creando un sistema di tutele per chi opera in contesti molto complessi e sensibili, assai difficili ed esposti a rischi. 

Cercare di aiutare chi ha commesso gravissimi reati vuol dire provare ad entrare in mondi interiori inquietanti e contraddittori, confrontarsi con la morte, la colpa, il rimpianto, la rabbia, il non senso, l’assurdità, la perdita di ogni speranza… in percorsi inevitabilmente accidentati, lunghi e tortuosi.

Prevenire il suicidio

Tutto questo, nell’incertezza di un incontro fragile, è  l’unico modo per cercare di essere di aiuto. Non vi sono certezze. È come salvare una persona caduta in pozzo artesiano o sepolta sotto una slavina fare un intervento di rianimazione o a cuore aperto. Questo contrasta con le convinzioni per le quali l’altra persona vada sempre salvata e tutelata anche da se stessa. È un compito tecnico-scientifico e umano impossibile. Nessuno può essere obbligato a vivere, mantenuto indenne a disposizione della legge, e se ciò non accade, il fantasma della colpa deve trovare qualcuno su cui posarsi? Non vi sono certezze di efficacia della c.d sorveglianza a vista, delle celle lisce e di isolamento. Anzi… vissuti di controllo,  di umiliazione, di depravazione relazionale, di contenimento meccanico possono avere effetti negativi.

Con azioni multisistema, come indica l’Oms, il suicidio si può prevenire senza mai dimenticare che fa parte delle possibilità della vita che appartiene sempre e solo alla persona.  Accettare tutto questo con umiltà, compassione e pietà può consentire di stare accanto e di correre il rischio di restare a lungo sul limite incerto tra vita e non vita per trovare insieme la via della speranza. Un’operazione al buio, volta a fermare la distruttivita’ del male che non ha certezze. 

Può riuscire o meno, ma per tentarla gli operatori tutti,  della giustizia e  della sanità, hanno bisogno di sicurezza, di essere aiutati e protetti con diversi mezzi, compreso lo scudo penale e assicurativo, il privilegio terapeutico e il segreto professionale inviolabile. Altrimenti continuerà l’approccio difensivo e prescrittivo che sta all’esterno della persona senza correre il rischio di comprendere e trasformare. Con tale approccio credo sarà sempre più difficile trovare professionisti disponibili a lavorare in certi settori. Sul carcere si possono fare molte azioni per ridurre il sovraffollamento e prevenire il suicidio e la prima azione è proteggere gli operatori.

Abolire la posizione di garanzia

Quindi è essenziale abolire la posizione di garanzia al fine di dare sicurezza ai professionisti e creare un’altra base per il prendersi cura e le azioni di risk management. Ciò in relazione alla normativa vigente rispetto alla quale preoccupa il disegno di legge (ddl) n. 1179, prima firma il sen Zaffini, dal titolo “Disposizioni in tema di salute mentale” attualmente in discussione in Parlamento.  

Infatti, il ddl va a declinare lo stato di necessità, le condizioni per l’Aso ed aggiunge un criterio (“d) elevato rischio di aggravamento del quadro clinico in caso di assenza di trattamento” cioè una prognosi di peggioramento senza trattamenti, e di difficile rilievo e obiettivazione) ai requisiti per il Tso e ne prolunga la durata a 15 gg. 

I suddetti punti possono essere assai critici per i diritti nel momento in cui si legittima la coercizione, la contenzione, seppure non preventiva e si dispone che “Gli operatori della salute mentale attuano misure e trattamenti coattivi fisici, farmacologici e ambientali nei soli casi connessi a documentate necessità cliniche e al solo scopo di impedire comportamenti auto ed eterolesivi, nel rispetto della dignità e della sicurezza della persona affetta da disturbi mentali” (art. 4).

Ciò lambisce o confligge con temi di rilevanza costituzionale ampliando la discrezionalità del medico senza prevedere indicazioni certe sui trattamenti, garanzie e tutele ma nemmeno precisazioni su dove, come e con quali risorse tali interventi possano (o debbano?) essere attuati sia in termini di efficacia sia al fine della sicurezza del paziente e degli operatori anche ai fini della posizione di garanzia.

I diritti delle persone con disturbi mentali

Il ddl non cita la legge 18/2009 né la 219/ 2017 relativamente ai diritti delle persone con disturbi mentali e prefigura un impianto distante dal principio di autodeterminazione, della ricerca del consenso, anche in forme nuove e allargate come indicano gli approcci shared decision making. Vi è il rischio di una torsione securitaria che ripropone, seppure indirettamente, il pregiudizio della pericolosità della persona con disturbi mentali e specularmente impossibili obblighi di garanzia, di sorveglianza, controllo e persino di custodia a carico dello psichiatra.

La posizione di garanzia del DSM verso utenti e familiari prevede anche in collaborazione con i servizi sociali forme di accesso privilegiato all’edilizia popolare in caso di conflitti intrafamiliari. Viene anche da chiedere se ciò non rischia di riproporre una serie di pregiudizi tipo pericolosità altamente stigmatizzanti. La collaborazione dei servizi sociali è essenziale per i progetti di autonomia, affettività, lavoro e vita indipendente che, pur nelle difficili condizioni della detenzione o limitazione della libertà, possono dare speranza e allontanare le spinte auto distruttive.

L’intensità e la complessità dei vissuti di colpa, umiliazione, rabbia e indegnità sono assai difficili da esplorare ed elaborare individualmente,  in gruppo, con le personesignificative. Ma questo è il compito, il mandato, l’unico esercitabile da chi opera per la salute mentale. Non serve invece una linea che ampli le forme di restraint, di coercizione e di controllo sociale dando agli operatori della salute mentale compiti sicuritari, di prevenzione delle condotte auto ed eterolesive. Credo che su questo occorra sensibilizzare politica, magistratura e mass media affinché si possa cercare di ridurre i suicidi e migliorare la salute mentale e il benessere delle comunità.

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