Io credo che dobbiamo essere in grado di distinguere tra aiuto e cura.
Quando c’erano i manicomi si aveva una concezione della malattia mentale: il disturbo stava dentro il paziente, nessuno sapeva come e perché si era formato, gli psichiatri parlavano del fatto che le malattie mentali gravi dipendessero da gravi disfunzionamenti a livello biologico.
La risposta che gli veniva fornita consisteva nella reclusione in un manicomio, luogo riservato ai matti.
Purtroppo la segregazione faceva bene alla società ma non ai malati. Perciò, ha avuto un grosso significato puntare alla chiusura dei manicomi che rendevano i malati più malati di quello che già non fossero. Altrettanto importante è stata la spinta a “restituire” a loro la vita che, fino a quel momento, non era stato concesso loro di vivere.
I cambiamenti accaduti in 46 anni
Da allora sono passati quarantasette anni e sono accaduti molti cambiamenti: non c’è stata nessuna dimostrazione che le malattie mentali gravi si basino su disfunzioni che si verificano a livello biologico, tanto meno genetico giacché, nel frattempo la genetica è cambiata: oggi sappiamo che per il 97% dei casi è l’ambiente a svolgere un ruolo fondamentale.
Nel frattempo sono stati compiuti studi che hanno permesso di sviluppare nuove ipotesi esplicative sull’origine delle malattie mentali, legate in maniera preponderante al tipo di interazioni in cui si sono venuti a trovare anche i pazienti gravi, gli psicotici, non solo i nevrotici, quando erano piccoli.
Addirittura è emerso che i traumi e/o i lutti non elaborati vissuti in generazioni precedenti possono avere avuto un influsso drammatico su quello che accade, oggi, in maniera apparentemente inspiegabile, ad un giovane tra 15 e 25 anni: l’emergere di una crisi psicotica acuta, il ricovero, l’assunzione di terapia farmacologica sintomatica, utile ma non risolutiva. (Se ho la febbre alta, è importante che prendo la tachipirina, però non mi passa la polmonite, Per ottenere quel risultato, ci vorrebbe un antibiotico, ma non esiste per la psicosi e le case farmaceutiche hanno momentaneamente sospeso la ricerca, in assenza di un modello di funzionamento complessivo della mente su cui basarsi)
Racconto tutto ciò perché mi fa molto piacere leggere il servizio che viene da Torino, in cui un disk-jokey si è inventato il pomeriggio in discoteca per chi soffre di fragilità mentale. Perché è vero che, altrimenti, le persone che stanno male sono sole e non vedono mai nessuno, a parte chi si prende cura di loro. Perciò ben venga il pomeriggio in discoteca.
Distinguere tra aiuto e cura nella malattia mentale
A patto che non trasformiamo questa lodevole iniziativa nella nuova cura per la malattia mentale.
Si tratta di un intrattenimento, mi auguro divertente e che permetta di fare nuove amicizie, che è già un grande merito. Però non è una cura.
Purtroppo le feste negli ospedali psichiatrici sono state sempre fatte e in quei momenti sembrava quasi che le persone malate potessero rianimarsi. Peccato che il giorno dopo, tutto ricominciava come prima, comprese le contenzioni e gli elettro-shock.
Basaglia ci ha insegnato che la libertà è di per sé terapeutica ed ha propugnato giustamente momenti di festa. Il problema è che la vita non può essere data da qualcuno a qualcun altro: ognuno deve essere messo in grado di costruire la sua.
Oggi ci sono le possibilità di effettuare cure efficienti anche con i pazienti apparentemente più difficili da curare. Allora io mi chiedo e chiedo a tutti: ma come è che la Rems di Genova ha esaurito la lista di attesa mentre nel Lazio, in questo momento, ci vogliono due anni per entrarci?
Quando è che cominceremo ad aprire gli occhi e a renderci conto che i pazienti psichiatrici gravi possono essere curati in una notevole percentuale di casi e riavviati nella ricerca di un proprio Sé, come possiamo fare tutti noi?
Complimenti!