Cercando la parola “contegno” sul web emergono subito: contenzione e contenzioso. Bisogna cercarla appositamente e questo la dice lunga sulla rara ricerca di questa parola che, invece, ha un’origine importante provenendo dal latino continere (contenere). In merito al mio lavoro di psichiatra ho un antico ricordo di un rimprovero di un anziano psichiatra che mi invitava a “rassodare nel contegno” una paziente psicotica piuttosto inquieta che agitava il clima del reparto in cui era ricoverata. È possibile che alla parola contegno sia associata una figura retorica che richiama conformismo e omologazione rassicurante, in linea con le parole chiave del Regio Decreto del 1904 sul “pericolo” e il “pubblico scandalo” degli “alienati”?
Ricordo anche il medico di famiglia che avevo da giovane, impettito, col camice lindo e ben stirato, con l’aria sempre molto seria, impegnato dalla mattina alla sera con due giri di visite domiciliari al giorno. Col suo aspetto e la sua costanza incuteva fiducia e rispetto quasi sacrali.
Il contegno in ambito sanitario
Prendo l’avvio da questi ricordi per una riflessione sul contegno in campo sanitario e in particolare nella salute mentale a causa dall’osservazione di vari episodi in cui operatori distratti o sciatti difettano nel contegno e pubblicamente manifestano aspetti personali più o meno problematici a danno di colleghi o utenti con comportamenti inopportuni e inadeguati, spesso meritevoli di provvedimenti disciplinari.
Tra questi comportamenti non mancano atteggiamenti sessisti, a volte sussurrati e altre volte palesemente espressi con violenza verbale, ma possono essere quasi infiniti gli esempi di manifestazioni minori che però diffondono un’immagine degradata e volgare dell’operatore sanitario: parlare a voce alta e con inflessioni dialettali, magari di cose personali o futili, criticare colleghi o superiori non presenti, stare al cellulare mentre si lavora, rispondere in modo sgarbato agli utenti, esibire il proprio corpo, fumare nei locali in cui è vietato ecc.
Non è neppure rarissimo riscontrare nell’ambito lavorativo atteggiamenti seduttivi anche tra figure non di pari livello per es. tra strutturati e tirocinanti che richiamano antichi retaggi baronali mai scomparsi che nell’attuale epoca segnata dall’eclissi del concetto di abuso di potere possono trovare maggiore spazio.
Il contegno nell’art. 54 della Costituzione
L’art. 54 della Costituzione stabilisce che “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. Questo articolo, senza citarlo apertamente, definisce il contegno articolandolo in due termini: la disciplina che indica l’essere dentro un sistema di apprendimento e di trasmissione di regole condivise e interiorizzate, l’onore invece ci riporta al sacrificio e alla responsabilità su cui gli antichi romani basavano il rispetto e la stima per chi rivestiva cariche pubbliche servendo lo Stato con competenza e dedizione.
Qui si sottolinea, a proposito dell’origine etimologica del contegno, la capacità di apprendere le regole di convivenza civile e di riconoscere il confine tra le persone e tra la sfera intima personale e la funzione pubblica che si esercita e che è l’unico motivo per il quale ci si frequenta come operatori. In effetti, non è affatto scontato che l’avere un titolo di studio e aver vinto un concorso significhi avere consapevolezza e adeguata gestione di questi aspetti che sono alla base delle relazioni. La sfera dei sentimenti non viene mai sottoposta a processo educativo nel nostro sistema scolastico, tantomeno nei corsi di studio universitari che sono molto legati alle prestazioni individuali e quasi mai curano la gruppalità né viene mai approfondita la questione delle motivazioni personali.
I comportamenti all’interno dei sistemi lavorativi
Capita così che è all’interno dei sistemi lavorativi che si manifestano comportamenti ormai strutturati e difficili da modificarsi che finiscono con il reiterarsi fino al superamento di livelli di tollerabilità e all’avvio di provvedimenti disciplinari o conflitti interpersonali aspri. Come mostravo all’inizio con la ricerca della parola contegno sul web che rivela più facilmente delle misure contenitive esterne, è il sommerso che resta spesso sottaciuto e nascosto, è quel mondo dell’interiorità che non è stato mai lavorato in senso educativo e resta terreno incolto e pieno di tossine, pronto a franare addosso e a stimolare solo operazioni di mero contenimento del danno e di stigmatizzazione tardiva, ancorché necessaria.
Le misure che possiamo trovare
Quali misure possiamo trovare per riportare la questione del contegno al suo necessario livello? Quali specificità ha il campo della salute mentale che possono favorire o ostacolare il miglioramento del problema, senza negare l’influenza del più ampio contesto socio-culturale di cui facciamo parte?
In prima battuta, direi che una maggiore vigilanza dei dirigenti è senz’altro utile ma il controllo o la repressione non sono mai risolutivi per un fenomeno generale perché occorre soprattutto una incisiva operazione formativa permanente. Una maggiore condivisione del lavoro, dagli obiettivi alle pratiche cliniche sui singoli casi, attraverso la diffusione del modello dell’equipe multidisciplinare potrebbe migliorare il clima dei Servizi evitando separatezze e sacche di esclusione o privatizzazione (tuttora entrambe croniche presenze tra noi) e porterebbe una crescita del sentimento di appartenenza e di rispetto reciproco.
Anche la possibilità di favorire una maggiore espressione da parte del personale su casi clinici o questioni organizzative e la partecipazione a gruppi di lavoro su temi scelti potrebbe servire a sviluppare capacità e atteggiamenti propositivi e cooperativi. Ogni iniziativa che può migliorare lo scambio di elementi emotivi tra interno ed esterno dei singoli operatori e dei gruppi di lavoro può far crescere la capacità di “contenere” al meglio i propri aspetti personali sottoponendoli ad una funzione pensante e non solo repressiva o di negazione. Riflessione e condivisione possono essere utili strumenti per una formazione permanente all’ascolto dell’altro nella misura in cui anche l’alterità che ci abita sia avvicinabile, osservabile e frequentabile.
Le particolarità di un lavoro in psichiatria
D’altra parte il nostro campo di lavoro ha delle particolarità che talvolta possono essere strumentalizzate in senso contrario. La minore enfasi sulla gerarchia interna rispetto ad altre branche, la vicinanza tra operatori nel lavoro quotidiano, i tanti interventi in campo aperto (dai soggiorni estivi a certe pratiche riabilitative), l’eccesso di personalismo e la carenza di oggettività, la consuetudine con i pazienti gravi di varcare spesso il confine interpersonale e quello tra sanitario e sociale, la carenza di strumenti di validazione quantitativa e qualitativa del lavoro ecc. possono favorire l’impressione di essere facili transfrontalieri, sempre e comunque.
E bisogna sempre ricordare la lezione bioniana sui meccanismi di difesa dei gruppi di lavoro in difficoltà che abbandonano la loro capacità di riflessione e di autoosservazione e cercano apparente compenso nelle fantasie (e negli agiti) di attacco, di dipendenza o di accoppiamento. Senza negare la pregnanza dei singoli episodi di mancanza di una buona funzione del contenitore mentale personale, c’è sempre da riflettere sul significato di tali episodi all’interno di un sistema di lavoro, non solo per le conseguenze sul clima interno e sulle relazioni ma anche nel caso in cui tali episodi riflettano una problematicità più ampia di sistema che va ad esprimersi attraverso i suoi elementi individuali più fragili.
In generale, prendersi cura dei sistemi di cura dovrebbe essere al centro degli interessi di chi organizza e gestisce i nostri percorsi lavorativi che poi si riflettono sulla qualità degli interventi sui pazienti attraverso una più attenta selezione del personale, dei sistemi premianti, la condivisione degli obiettivi, occasioni di lavoro gruppali con supervisione e massima trasparenza di ogni atto perché solo la civilizzazione diffusa può ridurre gli agiti.