Vaso di Pandora

Sindrome da stanchezza cronica

Tra i vincitori del Sundance Film Festival 2017 troviamo “Unrest”, che ha vinto un premio speciale della giuria. Il montaggio del documentario è stato curato da un bravo  autore italiano, Emiliano Battista di Isernia e parla della sindrome da stanchezza cronica.

Il film documenta la storia di Jennifer Brea, che oggi ha 33 anni e che cinque anni fa era una studentessa di dottorato, quando una malattia misteriosa ridusse drasticamente le sue capacità fisiche e cognitive, distruggendo le sue aspirazioni, e rendendole difficile persino tenersi seduta su una sedia a rotelle. Quando i medici le diagnosticarono un disturbo di conversione, Jennifer cominciò a documentare con la telecamera le sue disavventure, e quelle di una intera comunità di pazienti, un mondo nascosto di milioni di persone sparse in tutto il mondo, confinate in una stanza o in un letto, a causa della sindrome da stanchezza cronica. Dalle prime riprese amatoriali, il suo progetto è cresciuto fino alla realizzazione di un vero e proprio film.

Il sottotitolo del film è eloquente: “Che cosa succede quando hai una malattia che i medici non riescono a diagnosticare”.

Le difficoltà di diagnosi della sindrome da stanchezza cronica

Ne parlo perché qualche anno fa accompagnai una paziente in uno dei pochi centri specialistici che ci sono in Italia, avevo formulato l’ipotesi diagnostica di Sindrome da Stanchezza Cronica, ma non sapevo trovare la conferma.  Quel viaggio fu per me una grande delusione, l’ipotesi diagnostica fu confermata, ma mi dissero che non c’erano esami che la potessero dimostrare in modo inequivocabile e soprattutto mi dissero che non c’erano farmaci o cure che potessero curarla. Lo specialista consigliò una dieta a base di pesce, frutta e verdura, consigliò alla signora di praticare il Tai Chi e di assumere alcuni farmaci sintomatici per i dolori, la febbre e le vertigini. La mia disillusione fu completata dall’incertezza sulle cause, sulla fisiopatologia e anche sulla prognosi.  A me restò la sensazione di un viaggio inutile e compresi perché in Italia quella malattia non era ancora – e non è tuttora  – riconosciuta dal Sistema Sanitario Nazionale.

Tuttavia ho mantenuto un certo interesse verso questa malattia, anche perché ho riformulato la stessa ipotesi diagnostica in altre due occasioni e questa volta verso due pazienti ricoverati nelle comunità terapeutiche presso cui lavoro.

Cos’è la sindrome da fatica cronica

La sindrome da fatica cronica (CFS) è anche conosciuta come Encefalomielite Mialgica (ME), è una patologia sistemica la cui espressione è variabile, ma che nelle forme più gravi diventa invalidante. È riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dove è catalogata col codice ICD 10 G. 93.3.

La fatica del malato di ME/CFS non ha nulla a che vedere con la fatica normale, nella quale l’energia viene prontamente recuperata con il riposo, e combina insieme spossatezza, debolezza, pesantezza, i tempi di recupero sono assai lunghi e piccoli sforzi possono generare immediati peggioramenti. Inoltre la stanchezza è il più vistoso, ma non l’unico sintomo, al quale nelle varie espressioni della malattia possono combinarsi febbricola, dolori muscolari, disfunzioni del sonno, difficoltà di concentrazione, perdita di memoria, linfonodi ingrossati al collo, vertigini, disfunzioni vescicali, fascicolazioni, emicrania. Molti pazienti descrivono la loro condizione come se avessero un’influenza che non guarisce mai. Uno dei sintomi più gravosi – e che colpisce un gran numero di malati di ME/CFS – è la mialgia, intensi dolori che possono essere avvertiti nei muscoli, nelle giunture e sono spesso diffusi e di natura migrante.

Sindrome da stanchezza cronica: i sintomi

In una testimonianza pubblica Jennifer Brea spiega: “ … ogni volta che andavo dal medico diceva che non c’era assolutamente niente che non andasse. Lui aveva i suoi test di laboratorio, che venivano fuori sempre normali. Tutto quello che avevo io erano i miei sintomi, che potevo descrivere, ma che nessun altro poteva vedere. So che suona sciocco, ma devi trovare un modo di spiegare queste cose a te stessa, e così ho pensato che forse stavo semplicemente invecchiando. Forse questo era quello che significava essere dall’altro lato dei 25 anni.

I sintomi neurologici

Poi sono cominciati i sintomi neurologici. Qualche volta capitava che non riuscissi a disegnare il lato destro di un cerchio. Altre volte non ero in grado di parlare o di muovermi per nulla. Ho visto ogni tipo di specialista: medici di malattie infettive, dermatologi, endocrinologi, cardiologi. Ho anche visto uno psichiatra. Un giorno il mio neurologo mi ha diagnosticato un disordine di conversione. Mi ha detto che tutto – la febbre e il mal di gola, l’infezione nasale, tutti i sintomi gastrointestinali, neurologici e cardiaci – venivano causati da qualche trauma emozionale distante che non riuscivo a ricordare. I sintomi erano reali, ha detto, ma non avevano una causa biologica”.

La storia di Jennifer è comune a molti pazienti. Il suo racconto prosegue: “ … quando sono andata online ho scoperto migliaia di persone in tutto il mondo che vivevano con gli stessi sintomi, ugualmente isolati, ugualmente non creduti. Alcuni potevano ancora lavorare, ma dovevano trascorrere le loro serate e weekend a letto, solo per potersi presentare al lavoro il lunedì successivo. Dall’altro lato dello spettro, alcuni erano così malati che dovevano vivere al buio completo, incapaci di tollerare il suono di una voce umana o il tocco di una persona amata.”

La ME/CFS colpisce un gran numero di persone, ha una prevalenza di circa 1 ogni 2000 persone, colpisce a tutte le età, compresi i bambini, ma con maggior frequenza le donne tra i 20  e i 40 anni.

Le cause della sindrome da stanchezza cronica

La causa esatta della ME/CFS è sconosciuta, anche se negli ultimi anni la ricerca ha fatto notevoli passi avanti nella comprensione dei suoi meccanismi fisiopatologici. Si ritiene che alla base vi possa essere una risposta anomala del sistema immunitario a una infezione o ad una intossicazione chimica o alimentare. Si tratterebbe in definitiva di una malattia sistemica di tipo autoimmune.

La sindrome da stanchezza cronica è evidentemente una malattia difficile da diagnosticare e l’esperienza di molti pazienti dimostra quanto possa essere scivoloso per il medico il terreno della diagnosi e, ancora di più, quello dell’interpretazione dei sintomi.

È verosimile l’aforisma: “In medicina tutto quello che è sconosciuto, diventa malattia mentale”.

Le possibili diagnosi

Sono almeno tre le possibili diagnosi psichiatriche errate che possono essere poste a questi pazienti:

  • Sindrome di conversione
  • Depressione
  • Ipocondria

La sindrome di conversione

La sindrome di conversione è il nome che negli anni Ottanta è stato dato a quella condizione che precedentemente era nominata isteria, una malattia nota fin dai tempi di Galeno, ma che è stata rivista da Freud all’inizio dei suoi studi. Sigmund Freud ha sviluppato una teoria secondo la quale la mente inconscia può produrre sintomi fisici, quando ha a che fare con ricordi o emozioni troppo dolorosi da elaborare.

Freud scrisse: “Affermiamo che la parte essenziale dell’attacco isterico contiene un ricordo della vita del paziente, spesso sempre lo stesso. Apparentemente l’attacco consiste solo in fenomeni motori, in contratture epilettoidi, in uno stato catalettico o simile al sonno; tuttavia, anche in questi casi l’indagine effettuata nell’ipnosi offre la prova sicura di un processo mnestico psichico, le manifestazioni motorie dell’attacco hanno sempre un rapporto con il suo contenuto psichico e rappresentano l’espressione generale del moto interiore che le accompagna, oppure corrispondono esattamente alle azioni comportate dal processo mnestico allucinatorio”. È possibile che questa impostazione teorica abbia tratto in inganno molti medici.

La depressione

Con la depressione invece, la sindrome da stanchezza cronica condivide alcuni sintomi: la stanchezza naturalmente, ma anche le vertigini, i disturbi del sonno, i disturbi gastroenterici; tuttavia i malati di ME/CFS non sono persone primitivamente depresse. La maggior parte di loro ha una gran voglia di vivere e di guarire, ha desiderio di ritornare al più presto a compiere quei gesti e a esercitare quelle funzioni, che prima esercitava con naturalezza e che ora non riesce più.

È chiaro che l’umore, dopo l’insorgere della malattia e in particolare dopo lunghi periodi di convivenza con questa, può deflettere; alcuni malati possono di conseguenza diventare depressi, ma è una depressione reattiva, determinata dai cambiamenti dell’esistenza che la malattia impone.  A questo può contribuire il disagio sociale, che scaturisce dal paradosso di apparire come una persona sana, dovendo quindi far fronte all’incredulità delle altre persone, degli insegnati per i bambini, dei colleghi di lavoro per gli adulti e spesso, anche dei medici e dei famigliari. Il disagio sociale è sovente ancor più doloroso del disagio fisico.

L’ipocondria

Per quanto riguarda l’ipocondria, è significativo un dato statistico: a quasi la metà dei pazienti ai quali alla fine viene diagnosticata una malattia autoimmune, viene inizialmente detto che sono ipocondriaci.

Molte malattie un tempo erano pensate come psicologiche, finché la scienza non ha scoperto i loro meccanismi biologici. I pazienti con l’epilessia potevano venire forzatamente ricoverati nei manicomi, finché l’EEG non è stato in grado di misurare l’anormale attività elettrica nel cervello. La Tabe era considerata la paralisi generale progressiva dei malati di mente, prima che si comprendesse il ruolo delle Spirochete della Sifilide, la Sclerosi Multipla poteva venire mal diagnosticata come paralisi isterica, finché la TAC e la Risonanza Magnetica non hanno scoperto lesioni al cervello.

La diagnosi impropria

Il problema di una diagnosi impropria di un disturbo psichiatrico è duplice: da una parte si priva il paziente delle necessarie cure, dall’altra si grava il paziente di una diagnosi necessariamente stigmatizzante, che lo rende inconsciamente responsabile – quindi in qualche modo colpevole – della sua stessa condizione patologica.

Purtroppo per confermare la diagnosi di sindrome da stanchezza cronica non ci sono esami in grado di dare certezza, ma è comunque buona prassi, prima di addentrarsi a cercare le ragioni del malessere nell’inconscio del paziente, ascoltare i suoi ricordi consci, ossia raccogliere la storia dei suoi sintomi, in definitiva redigere una buona anamnesi.

Nel 2015 un gruppo di esperti di tutto il mondo, convocati presso l’Institute of Medicine (IOM),  ha aggiornato i criteri diagnostici e le caratteristiche cliniche di questa sindrome, su richiesta del Department of Human and Health Services e di altre cinque agenzie federali americane.

I criteri di diagnosi della sindrome da stanchezza cronica

Secondo i nuovi criteri, per poter far diagnosi è necessario che il paziente presenti almeno i tre seguenti sintomi, che devono essere presenti per almeno la metà del tempo, con un’intensità da moderata a grave:

  • Una sostanziale riduzione o incapacità di svolgere lo stesso livello di attività personali, sociali, educative o lavorative di prima della comparsa della malattia, che duri da oltre sei mesi e sia accompagnato da stanchezza, spesso profonda; questo sintomo deve essere di nuova comparsa, non deve essere il risultato di uno sforzo eccessivo e non deve essere sostanzialmente alleviato dal riposo.
  • Malessere successivo ad uno sforzo
  • Sonno non ristoratore

Per la diagnosi deve essere inoltre presente anche una delle due seguenti manifestazioni:

  • Alterazioni cognitive
  • Intolleranza ortostatica.

Oltre ai sintomi inclusi nei criteri diagnostici, i pazienti con ME/CFS presentano spesso anche dolore muscolare, problemi gastro-intestinali e genitourinari, dolorabilità a livello dei linfonodi ascellari e cervicali, ipersensibilità agli stimoli esterni.

Per una conferma diagnostica si fa tuttora riferimento ad un documento piuttosto dettagliato, chiamato Compendio delle Linee Guida Canadesi per la ME/CFS, che approfondisce le caratteristiche dei sintomi lamentati e pone la diagnosi esclusivamente sulle caratteristiche cliniche che emergono dall’anamnesi del paziente.

L’etiologia e la fisiopatologia non sono ancora definite, tuttavia nel mondo alcuni gruppi di ricerca hanno consentito di progredire nella comprensione dei meccanismi che sono alla base di questa malattia.

Nuove frontiere per la diagnosi, gli esami strumentali

Nel 2014, un gruppo di ricerca giapponese delle università di Osaka e di Tokyo, ha arruolato nove soggetti con diagnosi di ME/CFS in uno studio in cui – per la prima volta in questo tipo di pazienti – si faceva uso di un particolare metodo diagnostico, in grado di rilevare la neuro infiammazione.

La premessa teorica di questo metodo diagnostico è che le cellule immunitarie presenti nel cervello a livello della microglia, aumentano l’espressione della proteina TSPO, quando sono attivate in seguito a un’infezione, oppure a causa di un disturbo immunitario.

Il metodo è consistito nel sottoporre a PET questi pazienti, iniettando un tracciante radioattivo capace di legarsi specificatamente alla proteina TSPO, evidenziando quindi quelle aree del cervello sottoposte ad attivazione della microglia, ossia attivate da un processo immunitario di tipo infiammatorio.

Nei nove pazienti con diagnosi di ME/CFS la PET ha rilevato uno stato di attivazione infiammatoria in una zona prossima al piano sagittale, nella parte bassa del cervello, che comprende: Mesencefalo, Talamo, Corteccia cingolata, Amigdala e Ippocampo.

Questo studio conferma i dati che erano emersi in altri due studi più datati, uno del 1995 in cui era emerso una ipoperfusione del tronco encefalico e uno del 1998, in cui era emerso un rallentamento del metabolismo nella medesima regione.

E’ dunque plausibile che sia presente un qualche tipo di danno al mesencefalo nei pazienti affetti da ME/CFS.

Nuove frontiere per la comprensione della fisiopatologia, la biochimica

In Norvegia è attivo il gruppo di ricerca più all’avanguardia nella studio della Sindrome da Stanchezza Cronica e ai lavori pubblicati da questo gruppo, guidato dai professori Olav Mella e Oystein Fluge, guardano con interesse gli studiosi e i pazienti di tutto il mondo.

In una serie di articoli i due oncologi norvegesi hanno parzialmente chiarito il meccanismo biochimico che è alla base della malattia: hanno dimostrato un’inibizione della Piruvato Deidrogenasi – che è un enzima chiave nel metabolismo del glucosio, perché trasforma il Piruvato in Acetil-CoA, il metabolita che entra nel Ciclo di Krebs per la produzione di energia sottoforma di ATP. Le conseguenze metaboliche di questa inibizione sono una maggiore produzione di Acido Lattico, conseguente alla maggiore disponibilità di Piruvato e un maggior consumo di aminoacidi, per alimentare il Ciclo di Krebs attraverso il catabolismo degli aminoacidi e compensare – senza riuscire – il difettoso metabolismo degli zuccheri. Nelle donne gli amminoacidi sono sottratti al flusso sanguigno, nei maschi sono prelevati dai muscoli.

Nuove frontiere per diagnosi, gli esami di laboratorio

Da questi studi potrebbero derivare due approfondimenti diagnostici, che per ora sono effettuati solo in alcuni centri specialistici e non sono ancora entrati nella routine clinica: il test dello stress da sforzo dell’avambraccio e il profilo degli aminoacidi.

Il test dello stress da sforzo dell’avambraccio è un test relativamente semplice: si applica a un braccio, per circa dieci minuti, un semplice laccio emostatico e viene fatta contrarre ripetutamente la mano del paziente, attraverso l’impiego di una pallina morbida da schiacciare per un minuto tra le dita. Dopo l’esercizio con la pallina morbida, vengono effettuati diversi prelievi venosi per dosare l’Acido Lattico, con cadenza di un prelievo al minuto per i successivi dieci minuti. Nelle persone affette da sindrome da stanchezza cronica il livello di Acido Lattico basale è solitamente normale, ma si discosta dalla media nei prelievi effettuati dopo lo sforzo, mantenendosi a livelli superiori alla media per tutti i successivi controlli.

Il profilo amminoacidico, utilizzato da Fluge e Mella negli studi che sono stati pubblicati,  è disponibile in alcuni ospedali italiani (Bambin Gesù di Roma, Ospedale di Udine, Ospedale Santa Chiara di Pisa, Policlinico Umbero I di Roma), e può essere eseguito sia sul sangue che sulle urine.

Nuove frontiere per la terapia

L’ossigeno-ozono terapia è una terapia già ampiamente utilizzata, particolarmente in Germania ed in Svizzera, meno in Italia. Ha molte indicazioni, tra queste la Sindrome da Stanchezza Cronica: l’infusione di ozono, aumentando la concentrazione di emoglobina ossigenata nel sangue, allevia il dolore muscolare e articolare, riduce la sensazione di spossatezza, migliora la memoria e la capacità di concentrazione.

L’ozono può essere somministrato in diversi modi, ma soprattutto attraverso la tecnica della autoemoinfusione: si prelevano 100 o 200 cc di sangue da una vena del braccio del paziente. Il sangue finisce in una sacca, dove viene artificialmente arricchito con una miscela gassosa di ossigeno e ozono, e successivamente fatto riaffluire nell’organismo, attraverso lo stesso tramite venoso.

Una terapia farmacologica innovativa è invece in fase di avanzata sperimentazione, proprio in Norvegia e la ricerca è condotta ancora dai due ricercatori Olav Mella e Oystein Fluge: un farmaco, il Rituximab, utilizzato solitamente nel trattamento dell’Artrite Reumatoide e dei Linfomi non-Hodgkin, pare abbia alleviato anche i sintomi della Sindrome da Stanchezza Cronica in due terzi dei pazienti affetti da questa patologia. Questi studi confermerebbero l’origine autoimmune della malattia: il Rituximab infatti inibisce i Linfociti di Tipo B, che sono i globuli bianchi che producono gli anticorpi.

Per la sua azione, Il Rituximab viene solitamente utilizzato per il trattamento delle malattie caratterizzate da un numero elevato di Linfociti B iperattivi o disfunzionali.

I ricercatori norvegesi hanno avuto l’intuizione di testare il farmaco per la prima volta nel 2004 su un ammalato con Linfoma che era risultato anche affetto dalla Sindrome di Stanchezza Cronica.

Sorprendentemente il paziente aveva trovato sollievo in entrambe le patologie.

Gli studi del passato

Nel 2011 i ricercatori hanno pubblicato uno studio che aveva dimostrato che in 10 pazienti su 15, è stato riscontrato un netto miglioramento delle condizioni cliniche, rispetto a quei pazienti del gruppo di controllo cui era stato somministrato un placebo.

Nel 2016 è stato pubblicato un lavoro, ipotizzando che l’uso prolungato del farmaco possa mantenere una remissione della sintomatologia addirittura per anni.

Quest’ultimo studio ha coinvolto 29 ammalati cui è stato somministrato il Rituximab per due settimane, facendo seguire richiami periodici per un anno.

Questi studi hanno visto coinvolti numeri troppo esigui di pazienti, ma ora è in corso uno studio che ha arruolato bel 150 pazienti. Dalla prossima pubblicazioni dei risultati si attende la conferma dell’efficacia del farmaco e si spera che la Sindrome da Stanchezza Cronica venga presto inserita fra le indicazioni d’impiego del farmaco.

Il prof. Fluge ha spiegato “I benefici sono iniziati circa quattro mesi dopo la prima dose di Rituximab, ossia il tempo necessario perché gli anticorpi esistenti siano eliminati dall’organismo. In alcuni pazienti si è verificata una ricaduta dopo circa un anno, ossia il tempo che i Linfociti B impiegano per ricrescere ed iniziare a produrre nuovi anticorpi”.

Riassumendo

La sindrome da stanchezza cronica o Chronic Fatigue Syndrome – il cui nome completo è Myalgic Encephamomyelitis/Chronic Fatigue Syndrome o ME/CFS – è  una delle malattie probabilmente più fraintese della storia della medicina. Il nome che le è stato attribuito infatti rimanda, nella migliore delle ipotesi, ad un disturbo psicologico, che facilmente si colora di sfumature negative, perché lascia immaginare un paziente lamentoso, ma sostanzialmente in buona salute. La realtà è invece che si tratta di una malattia grave, infiammatoria su base autoimmune, che frequentemente complica fino all’invalidità l’esistenza di chi la contrae.

Gli esperti che nel 2015 hanno ridefinito i criteri diagnostici della malattia hanno anche rinominato la malattia stessa, così che nei nuovi libri di testo si chiamerà Systemic Exertion Intolerance Disease (SEID).

Nulla è per ora definitivamente chiarito, né la causa, né la fisiopatologia, né il trattamento.

Lo stato della ricerca

Allo stato attuale delle ricerche si ritiene che la malattia sia una malattia autoimmune. Si ipotizza una risposta anomala del sistema immunitario a un’infezione o ad una intossicazione chimica o alimentare. Alcuni ricercatori sospettano che sia causata da un virus, anche se non c’è nessuna certezza in proposito.  L’alterazione, comunque venga prodotta, interferisce sul metabolismo energetico, in particolare inibendo l’attività della Piruvato Deidrogensi, che è l’enzima che catalizza il metabolismo dl Glucosio, indirizzando il Piruvato verso il Ciclo di Krebs, piuttosto che verso la produzione di Acido Lattico. L’esito di questa inibizione è una maggiore produzione di Acido Lattico, che provoca dolore muscolare e precoce senso di fatica e una minore disponibilità di energia sottoforma di ATP, con conseguente ridotta tolleranza allo sforzo.

La diagnosi clinica

La diagnosi è sostanzialmente clinica e si basa sui criteri anamnestici individuati e ridefiniti nel 2015 dall’Institute of Medicine (IOM) degli Sati Uniti. Per un approfondimento diagnostico e una stadiazione della malattia ci si affida tuttora al Compendio delle Linee Guida Canadesi.

Allo stato attuale gli esami di laboratorio sono fondamentali, ma servono soprattutto per escludere altre forme di malattia che comprendono la stanchezza come sintomo preminente. Emocromo, esami di funzionalità epatica e renale, indici di infiammazione, elettroforesi delle proteine, esami di funzionalità tiroidea, surrenalica e ipofisaria, ionogramma, sideremia, dosaggio della CPK e dell’LDH, dosaggio della Vit D, sono analisi di laboratorio che consentono di escludere che il paziente sia affetto da anemia, da alterazioni della funzionalità renale o epatica, da carenze ormonali, da carenze vitaminiche o degli oligoelementi o da malattie muscolari che comportino lesioni delle cellule.

Due test di laboratorio, il test da stress da sforzo dell’avambraccio e il profilo aminoacidico si pensa possano presto contribuire a orientare o a confermare la diagnosi.

Gli esami strumentali sono allo stato attuale non dirimenti. È tuttavia chiaro che un paziente con ridotta tolleranza allo sforzo sarà comunque precauzionalmente sottoposto ad un ECG e a una visita specialista cardiologica, per escludere che sia affetto da insufficienza cardiaca.

È possibile che in un prossimo futuro la PET e la Risonanza Magnetica Funzionale del cervello potranno definitivamente indirizzare la diagnosi.

La terapia per la sindrome da stanchezza cronica

La terapia è finora soprattutto sintomatica e, al momento, non esiste un farmaco specifico per i malati di ME/CFS; le cure attuali sono volte per lo più a lenire i sintomi più fastidiosi e il dolore.

Generalmente si raccomanda una dieta leggera, ricca di antiossidanti, ispirata al modello mediterraneo, ricca di pesce, frutta e verdura fresca da agricoltura biologica.

Per quanto riguarda il movimento, il discorso è delicato: il movimento è essenziale per mantenere un certo grado di agilità e di tono muscolare, tuttavia non va mai superata la soglia soggettiva della fatica, perché lo sforzo fisico può esacerbare i sintomi della malattia. Vengono consigliate la ginnastica dolce, le passeggiate in pianura, il Tai Chi.

Un altro aspetto controverso riguarda la terapia psicologica: si ritiene che il sostegno psicologico di questi pazienti – e del loro sistema famigliare – debba opportunamente essere affidato al medico che li cura. Un eventuale intervento specialistico psicologico si dovrà limitare a sostenere una persona che ha perduto abilità e non sarà mai rivolta all’interpretazione dei sintomi.

Alcuni trattamenti innovativi sono già accessibili ai pazienti e tra questi soprattutto l’ossigeno-ozono terapia attraverso l’autoemoinfusione.

I farmaci

Altri farmaci sono in via di sperimentazione. In particolare si guarda con interesse alle ricerche sui farmaci che agiscono a livello biochimico sull’enzima Piruvato Deidrogenasi, che risulta inibita nei pazienti affetti da questa malattia.

Alcuni di questi farmaci sono già accessibili sotto forma di integratori del Complesso Vitaminico B. Le Vitamine del gruppo B, in particolare la Tiamina (vit B1), la Riboflavina (vit B2), la Niacina (vit B3), e l’Acido Pantotenico (vit B5) agiscono come facilitatori dell’attività della Piruvato Deidrogenasi.  La Carnitina è anch’essa reperibile come integratore alimentare: è una molecola simile ad un aminoacido, che ha la funzione di veicolare gli acidi grassi attivati all’interno dei mitocondri, per la loro ossidazione e per la produzione di energia sotto forma di ATP. La Carnitina cioè facilita la produzione dell’energia con un processo metabolico indipendente dall’azione della Piruvato Deidrogenasi.

Altri farmaci potrebbero in futuro rivelarsi utili:  il Sodio Dicloroacetato (DCA) e la Diisopropilamina Dicloroacetata (DADA) sono due farmaci che vengono impiegati nelle malattie genetiche mitocondriali con ipofunzione della Piruvato Deidrogenasi. Essi agiscono attraverso una inibizione delle Piruvato Deidrogenasi Chinasi, che sono gli enzimi che a loro volta inibiscono la Piruvato Deidrogenasi.

Infine, grande speranza per gli studiosi e per i pazienti è riposta in un farmaco, il Rituximab, attualmente in fase di avanzata sperimentazione in Norvegia, che ha dimostrato di essere efficace, fino a indurre la remissione completa della malattia, in un piccolo numero di pazienti trattati.

In Italia i centri specialistici sono pochi, al Santissima Annunziata di Chieti, al Santa Chiara di Pisa e al Sant’Orsola di Bologna, ma il gruppo italiano di ricerca di riferimento – che da decenni collabora con i maggiori gruppi di ricerca internazionali – è quello guidato dal professor Umberto Tirelli, direttore del Dipartimento di Oncologia Medica di Aviano.

Concludendo

Concludo con le parole con le quali Jennifer Brea chiude anche la sua testimonianza autobiografica:

“Vivere con questa malattia mi ha insegnato che la scienza e la medicina sono imprese profondamente umane. I medici e gli scienziati non sono immuni dagli stessi preconcetti che colpiscono tutti noi.

Dobbiamo pensare alla salute delle donne con più sfumature, dobbiamo ascoltare le storie dei pazienti, e dobbiamo essere disposti a dire ‘non lo so’. ‘Non lo so’ è un’espressione bellissima. ‘Non lo so’ è dove comincia la ricerca. E se sapremo farlo, se sapremo avvicinare l’enorme vastità di tutto ciò che non conosciamo, allora invece di temere l’incertezza, forse la saluteremo con un senso di meraviglia. Grazie”.

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Commenti su "Sindrome da stanchezza cronica"

  1. BUONGIORNO .
    Non so più a chi rivolgermi.
    Ho speso il mio stipendio tra esami e visite. Non posso più stare come sto. Devo riprendere i miei normali ritmi di lavoro.
    E non ho le forze di stare in piedi.
    Vorrei un consiglio sul da
    Farsi.
    Volevo sapere se potrei fare
    Marker s100 per melanomi e capire se è
    Tutto a posto avendo fatto già dei basaliomi e nei melanocitici. Sono emersi altri nei che non mi piacciono,
    E delle piccole escrescenze di carne che
    Quasi si sgretolano nel naso prudono e
    sanguinano.
    Dopo una serie di malesseri
    EMOCROMO a 9 ,debolezza dolore ai nervi. All’Anca principalmente sinstra. Gambe. Schiena.
    Ora rigonfiamento tra collo e clavicola. Come fosse un edema. Non dolente. Solo fastidioso perché è come se facesse pressione sul collo e mi si abbassa anche la voce.
    Nessuno mi dice cosa posso fare.
    Non posso spendere 170 euro per ogni
    Visita ed esame. Non posso stare come
    Sto sempre più debole e sempre peggio.
    Sensazione di dolore costante anche alla vescica. Faccio fatica ad espellere le feci. Devo sempre aiutarmi alla fine o con peretta o con l aiuto.
    Un anno fa episodio di forte mal di testa con un edema frontale e temporale in Ps mi hanno fatto cortisone e tac che diceva solo puntiforme calcificazione parenchimale periventricolare destra.
    Sulla coscia 3 giorni dopo appare una cisti. Diventata in pochi mesi grossa e dura aspirata. Liq amorfo mix linfociti e monociti. Dolore alla schiena debilitante e immobilizzante colpo della strega. Rmn dice protusione L4-L5 / ernia profusa L5/S1 ciste di tarlov 1 cm S2.
    Ora i tutto questo caos. Da dove dovrei partire per capire perché sto sempre peggio con cortisone 16 mg punture 2 al giorno. E Dobetin 1000 iniezioni per emocromo. E baclofene. 25mg.
    Ortopedico 150 dice la gamba neurochirurgo 170 euro dice l ernia alla schiena, reumatologia dice fai gli esami 170 euro. Più 150 di visita. Insomma… vi prego da dove devo partire per ritornare com’ero?Tutto sta diventando insopportabile . La vescica mi fa male ed è costante. Sento i piedi addormentati ma bollenti come se bruciassero quindi non è circolazione.
    Vi prego datemi ascolto.
    Vi ringrazio in anticipo.
    Cordiali Saluti
    Barile Viviana.

    Rispondi

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