Commento all’articolo apparso su La Repubblica il 28 aprile 2015
E IL DOTTOR DOG INDOSSO’ IL CAMICE BIANCO
Le prime considerazioni sull’importanza degli animali per il benessere dell’uomo risalgono ad Ippocrate, circa 2400 anni fa.
Ippocrate sottolineava gli effetti benefici che si ottenevano da una lunga cavalcata e la consigliava ai suoi conoscenti per combattere l’insonnia e rinvigorire il fisico e lo spirito in situazioni che oggi definiremo di “stress”.
Agli animali nelle diverse culture ed epoche storiche vennero attribuite diverse qualità e significati simbolici.
Il primo tentativo di attività terapeutica assistita dall’animale venne impiegato in Belgio nel IX secolo, dove alle terapie mediche per un gruppo di disabili vennero affiancati degli animali.
Nel XVIII secolo in Inghilterra si osservò il beneficio esercitato dalla presenza di cani e gatti sull’umore e sulle condizioni di salute dei pazienti. In particolare con la cura di questi animali i malati di mente riuscivano ad acquisire un certo interesse ed equilibrio con il mondo esterno.
Niente di nuovo, quindi. D’altra parte il primo animale ad essere addomesticato fu il lupo, 30.000 anni fa in Nord America. Pare un bisogno dell’uomo, avere vicino un animale anche se non utile per il cibo o la sopravvivenza, ma unicamente per desiderio innato di scambio emotivo.
Credo, infatti, che il legame fra l’uomo e gli animali sia innato; solo la deviazione della cultura moderna ha sottratto questa unione dal naturale e l’ha trasformata in qualcosa di pensato, attribuendole divieti, limiti e significati che l’hanno inevitabilmente trasformata in qualcosa di più evoluto ed in quanto tale artificioso.
Nel 1961 il neuropsichiatra infantile Levinson possedeva un cane cocker ed aveva in cura un bambino autistico ;casualmente cane e bambino s’incontrarono ed il bambino cominciò a giocare con il cane senza mostrare segni di paura.
Il cane ed il bambino possedevano la stessa modalità di gioco e la stessa capacità di comunicazione non verbale. Levinson osservò che il gioco fra i due aveva analoghi aspetti corporei e di movimento.
Chi vive con un animale sa che la comunicazione passa attraverso corde sottili, che la parola è inutile in quanto l’intesa è arcaica, non necessita di divenire parola ciò che si può comunicare con gli occhi, con il corpo , con la mimica.
Gli animali “sentono”, così come ho imparato a capire, fanno molti pazienti psichiatrici.
L’intesa è naturale fra loro, il nostro intrometterci con spiegazioni e celebrazioni teoriche conforta solo il desiderio narcisistico di protagonismo come terapeuti.
Solo la lettura dell’interazione può portare a definire in termini terapeutici ciò che spontaneamente e naturalmente avviene.
Ben venga, allora, questa nuova “scoperta” che oggi è molto di moda.
Nella pacatezza dello sguardo degli animali parla ancora la saggezza della natura, perché in essi la volontà e l’ intelletto non si sono ancora distaccati l’uno dall’altro per potersi stupire al loro reincontrarsi.
(Schopenhauer)