Uomini che odiano le donne
Il tema della violenza sulle donne è attualmente più che mai dibattuto, la stampa lo affronta ormai quasi quotidianamente nella sezione della cronaca.
Una recente inchiesta de “La Repubblica”, che ha come titolo “Uomini che odiano le donne”, sottolinea come il fenomeno sia diffuso e non sia legato a classe sociale, grado di istruzione o zona di provenienza.
Emerge quindi l’esigenza di aver maggior chiarezza sulle origini di tali comportamenti per attuare un intervento tempestivo di educazione e prevenzione.
I temi dell’aggressività e della violenza sono stati affrontati ampiamente in psicanalisi, come pure la capacità dell’individuo di discernere tra sé e non sé, il buono e il cattivo.
L’aggressività al contrario della violenza è energia, un impulso istintuale che se opportunamente gestito e controllato contribuisce ad un normale sviluppo dell’individuo.
La violenza nasce invece dalla perdita di controllo dell’aggressività, che viene agita e si trasforma in distruttività.
Il bambino impara grazie all’aggressività a distinguere il sé dal non sé scontrandosi e muovendosi nel mondo esterno; sarà il limite imposto dall’autorità genitoriale a permettergli di indirizzare le energie in attività sempre più mature e costruttive.
Se tale limite e contenimento viene meno, il bambino non sarà in grado di controllare i propri impulsi distruttivi e vivrà nel timore di essere aggredito dal mondo esterno.
A fronte di dati che confermano che la maggior parte delle violenze sulle donne avviene in ambito intrafamiliare, la capacità di inibire gli impulsi aggressivi volti a proteggere l’oggetto amato sembra venir meno.
Manca forse la capacità di mentalizzare l’esperienza, in una società “borderline” dove il passaggio diretto all’azione, per una gratificazione o soddisfazione immediata, inibisce il pensiero e quindi la capacità di dare un senso psichico all’azione.
Alla base degli eventi di cronaca sembrano esservi denominatori comuni: una reazione violenta di uomini sottoposti a frustrazioni o una mancata soddisfazione immediata di un bisogno emergente (tradimenti, separazioni, frustrazioni sul lavoro, desiderio di troncare un rapporto “senza complicazioni”..).
Un narcisismo, alla base di una personalità immatura, che impedisce il controllo e la capacità empatica, per cui le proprie esigenze prevalgono fino a scontrarsi drammaticamente con il mondo esterno.
Se vale tale concetto, l’intervento dovrebbe essere il più precoce possibile per favorire un corretto sviluppo della personalità dell’individuo, con un approccio psicoeducativo volto in prima istanza al sostegno della genitorialità e degli insegnanti nelle scuole.
Sarebbe poi fondamentale riconoscere precocemente segnali di allarme come prime segnalazioni alle forze dell’ordine, ospedali e centri di salute mentale
Incentivare lo sviluppo di centri di accoglienza per le donne che hanno subito violenza, oltre che a fini protettivi, per analizzare e trattare le frequenti dinamiche psicologiche autodistruttive, piuttosto che la coazione a ripetere nell’ instaurare relazioni con uomini violenti.
Per attuare un’operazione così complessa dovrebbero essere definiti precisi protocolli di intervento multidisciplinare, a livello nazionale, che coinvolgano più figure professionali in grado di agire in rete.