In un precedente articolo proponevo che, oggi, non c’è più motivo di tenere separati i mondi della psichiatria da quelli della psicoanalisi e delle psicoterapie in genere. Nel senso che dovremmo abbandonare l’idea della inconoscibilità dei sintomi di una categoria di pazienti, gli psicotici e della conoscibilità di un’altra categoria dei pazienti, i nevrotici.
Il mondo della patologia
Parlavo del fatto che, se si passa, anzi si torna, dal considerare fondamentali i traumi in fantasia, a pensare che, viceversa i traumi che contano sono quelli reali e non riguardano solo il paziente ma anche le generazioni che lo hanno preceduto e il meccanismo di difesa principale è costituito dalla scissione, tanto per gli psicotici che per i nevrotici e non la rimozione, come facciamo a seguitare a pensare che il mondo è diviso in due parti? Il mondo è uno e gli strumenti per comprenderlo sono gli stessi.
Non solo: il mondo della patologia è uno e il modo per intervenire non poggia sostanzialmente su un trattamento allopatico, ma sulla capacità del terapeuta di costruire una situazione in cui il paziente e chi è intorno a lui, altrettanto se non più problematico, trovino la forza di farsi delle domande e di prendere in mano nuovamente la loro vita. Sicuramente seguitando ad usare i farmaci antipsicotici, antidepressivi, ansiolitici e stabilizzatori, nella maniera e nella quantità appropriata, però sapendo e rendendo noto, progressivamente magari, non subito, che sono sintomatici e non in grado di curare nessuna delle cause che causano il disturbo, ma solo di attenuarne i sintomi. Ribadisco, un’attenuazione della pericolosità e dei danni che quei sintomi possono provocare necessaria e utile ma non risolutiva. E questo va detto con chiarezza, cosa che abitualmente la psichiatria non fa.
La necessità di una formazione corale per psichiatria e psicoterapia
Se le cose stanno così o, se preferite, seguendo questa ipotesi esplicativa che rimette in discussione dalle fondamenta psichiatria e psicoterapia, in particolare la psicoanalisi, ad un certo punto si arriva a chiedersi: che cosa significa questo discorso sul piano della formazione? Come si forma uno psichiatra o psicologo psicoterapeuta, infermiere, assistente sociale, terapista della riabilitazione psichiatrica, Oss, che si muove in questo universo di pensiero? O possiamo seguitare a formare le persone dividendole arbitrariamente prima in due categorie che non corrispondono alla realtà e, poi, provare a riunificare queste due culture, psichiatrica e psicoterapeutica?
Io penso che questo è il problema che si trova di fronte la Scuola di Formazione in Psicoterapia Istituzionale appena entrata in funzione ad opera della Redancia.
La mia esperienza in una CT Redancia
Due esempi: ho partecipato ad un gruppo in una CT Redancia che si occupa di giovani che sono stati molto male, una si era defenestrata per es. e che, stando in CT migliorano, diventano, in tempi ragionevoli, un anno, due, altre persone, pronte per tornare a casa, anche perché, nel frattempo, ci si è preoccupati di curare anche le famiglie di origine che, così, sono cambiate.
Che cosa ha funzionato in quella CT? Secondo me il discorso che il distacco tra madre e figlia, legato all’entrata in CT della figlia, aveva contribuito in maniera essenziale a che quella madre iniziasse a chiedersi che cosa ci entrava con la sofferenza della figlia. E che queste due cose, la permanenza in CT della figlia e il lavoro della madre le avesse portate a concludere che prima erano troppo vicine, che avevano sofferto allontanandosi l’una dall’altra e che, poi, si sono ri-incontrate e sono pronte a tornare a vivere insieme, per ora, finché la più giovane se la sentirà di provare a vivere la sua vita. Ora è possibile perché la madre ha ricostruito la sua e non si occupa più, soprattutto, della figlia malata.
Comunità Terapeutiche e Gruppi di Psicoanalisi Multifamiliare: questa è la formula che propone il Gruppo Redancia che da tempo si muove come se la Psichiatria fosse stata sempre quella di Bleuler e la Psicoanalisi quella che lavora sull’Inconscio non rimosso, da 0 a tre anni, dove non può arrivare nessuna forma di psicoterapia tradizionale.
La formazione necessaria
Se siamo d’accordo su tutto ciò, come si forma un operatore che ci deve lavorare? Può seguitare a formarsi pensando che psicotici e nevrotici appartengono a due categorie sostanzialmente diverse anche se, nella realtà delle Comunità Terapeutiche li trattiamo nello stesso modo. Cioè pensando che quello che fanno di fuori luogo, di esagerato, di matto, un senso ce l’ha e noi possiamo, dobbiamo essere in grado di trovarlo, con l’aiuto suo e di chi gli vuole più bene, anzi noi possiamo-dobbiamo costruire una situazione in cui loro possano-debbano ritrovarlo, divenendo attori-autori della loro ricerca e del loro trattamento.
Io penso che anche la formazione debba essere ripensata dalle fondamenta, come la prassi terapeutica.
A questo punto porto un’altra testimonianza: il 17 febbraio tre persone hanno terminato il master in Psicoanalisi Multifamiliare, altre sei persone hanno concluso il primo anno dei due previsti.
Ognuno di loro ha portato un lavoro di fine anno. Nove lavori, ognuno diverso dall’altro, ognuno in grado di testimoniare la loro passione ma anche la loro originalità.
La prima lavora al CSM ed ha preso in carico il figlio, dopo un ricovero e la famiglia che già seguiva il Gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare (GPMF) presso il Laboratorio italiano di Psicoanalisi Multifamiliare (LiPsiM). Integrazione pubblico privato, GPMF, terapia familiare, trattamento individuale etc.
La seconda coordina una CT per giovani da 15 a 25 anni al centro di Roma; ci ha raccontato che gli operatori sono riusciti a superare cambiamenti che li hanno messi a dura prova (Pandemia e riassestamenti istituzionali traumatici) proprio seguitando a partecipare al GPMF, cioè lavorando insieme a pazienti, familiari e agli altri operatori;
Il terzo lavora in una CT storica nei dintorni di Roma che, nonostante tutto, attraversa un periodo difficile e alla cui rinascita lui ha in mente di partecipare donando loro la sua acquisita capacità di aprire al suo interno un GPMF, con tutto quello che questo significa.
Potrei andare avanti con le storie di altri sei colleghi: tutti ci hanno mostrato una creatività che ha sconcertato i vecchi docenti. Ci siamo trovati davanti un gruppo di persone che, pur facendo ognuno una cosa diversa ma facendolo con la stessa filosofia, avevano imparato a farlo insieme, dandosi una mano.
Io penso che noi dobbiamo costruire una situazione di apprendimento in cui sia possibile che tutto ciò si verifichi se vogliamo stare al passo con i tempi: la realtà è già cambiata, abbiamo contribuito in maniera sostanziale a che cambiasse. Ora dobbiamo costruire una situazione di apprendimento coerente con quello che già facciamo.
Mi piacerebbe che si aprisse una discussione in merito.