Forma, immaginazione e vita
Proviamo a seguire questo percorso: il modo in cui l’immaginazione prende vita, e anche condivisione, è la forma, nel senso in cui la intendeva Goethe, come intuizione della natura attraverso il senso, dico il senso perché abbiamo motivo di pensare che se non ci fermiamo all’etimo, Calvino ci insegna che il gusto, almeno, è capace di fare altrettanto e Stefano Leoni anche l’udito con la musica.
Ma questa forme modellano la memoria, come dice warburg e sono la nostra strategia di lettura e esperienza della realtà, in modo che Borutti definirebbe finzionale, ma qui tutto centrato sulla esperienza diretta e non c’è una particolare attenzione e sensibilità per l’inconoscibile.
L’immaginazione, ma anche la forma, sono punti centrali della psicologia analitica. In Tipi psicologici, richiamato da Paul Kluger, Jung definisce la fantasia, ma intende proprio la capacità di immaginazione, come il luogo di creazione della psiche e la psiche come un incessante luogo di creazione della realtà, interna ed esterna, anche se la distinzione è poi successiva. D’altra parte è facile vedere l’attività psichica come un susseguirsi e a volte caleidoscopio, di costellazioni di forme, laddove il concetto di costellazione esprime proprio il riconoscersi e l’atto azione di noi in queste forme Quindi l’immaginazione junghiana diventa un luogo in cui si crea la realtà e ci se ne forma una rappresentazione.
Una rappresentazione che si realizza all’interno di una struttura, perché il processo si realizzi. A me pare che questa sia una buona definizione di archetipo, se lo intendiamo come un organizzatore di istinti ed esperienze.