Vaso di Pandora

Salvezza per la Psichiatria

Un Commento a “Tutto chiede salvezza”Serie Netflix – Diretta da Francesco Bruno 2022

Venti anni, non ti stupire se dal niente faccio drammi.

Così cantano i Maneskin, così si può inquadrare l’inquietudine di Daniele, finito in TSO in un reparto SPDC surreale, in faccia al mare, tutto sommato pulito e ordinato come pochi. 6 posti letto uomini e, divisi da due porte, altri 6 posti donne, presumibilmente. Conosciamo così i sei personaggi in cerca di autore di Daniele Mencarelli, interpretato bene da Federico Cesari nell’adattamento cinematografico, quei personaggi che avevano preso luce tra le righe del suo libro, coraggioso, onesto, direi quasi, puro. Come il suo libro mi è sembrato da subito il vero Daniele, lo scrittore poeta premiato con uno Strega Emergenti, uno che ce l’ha fatta, che è venuto fuori dal baratro della psicosi e della dipendenza grazie alla sua poesia, alla sua passione, alla sua umanità. 

Ma il punto non è la storia dei pazienti ricoverati, l’incontro con Nina, la bella e tormentata attrice con cui Daniele riesce alla fine a costruire una relazione, gli attori che entrano bene nei panni di persone ricoverate e perdute, infinitamente sole, il dolore che scorre, presente, enorme eppure sopportabile. Questo è il punto del critico, e con umiltà direi che è il grande dono che questo lavoro consegna al pubblico. Sopportare il dolore. Come erano riusciti a farci fare Il grande cocomero, Senza pelle, Si può fare, La pazza gioia e Crazy for football. Non me ne vengono in mente altri, tra gli italiani. 

Ma il punto della questione che solleva questa serie TV siamo noi. Quelli che curano. Gli psichiatri e gli infermieri. Sono 6 pure loro, ognuno con i suoi tratti precisi e unici, sono sei persone che lavorano. Il dramma è che non sembra che abbiano venti anni. Magari! La psichiatria che li veste sembra a dire tanto infantile, forse anche prima dell’uomo, diciamo una psichiatria degli anfibi, una psichiatria primitiva, incapace, priva di pensiero, indirizzo, luogo, matrice, identità.

Dovremmo riflettere, presto e con serietà, se a poca distanza arriva sullo schermo un’altra rappresentazione così. Come quella di Mental, dove il reparto era di adolescenti, ma la psichiatria la stessa. L’unica cura che si vede è quella dei pazienti che si aiutano da soli, l’uno con l’altro.

La psichiatria invece sembra senza una direzione, senza un pensiero, senza strumenti. Una psichiatria che punta a stabilizzare, poco più di due rotelle per una bicicletta, altro che le corse appresso ai miei figli per fargli sentire l’equilibrio, fargli trovare il loro centro, ancora le ricordo bene. Tocca correre per curare, tocca buttarsi in avanti, le rotelle vanno bene per poco, ma poi ci vuole un’idea. 

Tra le righe del film la famiglia di Daniele. Nei sette giorni di ricovero mai un incontro con loro. Restano sulla porta. Destinati a portare il cambio e le sigarette. E quella mamma sofferente, che ha un rapporto così particolare con quel figlio che persino la sua cacca era meravigliosa, così scherzano nella bella tavolata finale, non la vede nessuno, nessuno se ne cura, nessuno ci prova a incrociare il suo sguardo con l’inquietudine di Daniele.

E per finire la diagnosi. Un secolo di psicopatologia, cinque edizioni del DSM, il manuale diagnostico americano, una decina di classificazioni internazionali, eppure Daniele esce dal SPDC con la Depressione Maggiore. Così si scrive, con le maiuscole. Una delle tante diagnosi di fantasia che accompagnano, alla porta dei reparti, i pazienti psichiatrici, non visti, persino nella diagnosi. 

Il film ha un dramma implicito. E’ basato su una storia vera.

Chissà se ci sarà salvezza per questa psichiatria. Io conto sul cinema, la letteratura, l’arte. Sulla scienza, sempre meno.

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Commenti su "Salvezza per la Psichiatria"

  1. Grazie FEDERICO
    penso di sí, l’aspetto culturale è da coltivare
    Si affinano le sensibilità
    Si moltiplicano le risorse umane
    Si migliorano le capacità di comprensione,condivisione,compassione
    Si permette la confidenza
    Cosa fanno le scuole di specialità in psichiatria in tal senso ?
    Rischiamo di essere anacronistici?
    Gigi mi ha regalato un libro che consiglio di leggere a tal proposito
    21 lezioni per il XXI secolo di YUVAL NOHAh HARARI

    Rispondi
  2. Giusto Federico,
    chissà se ci sarà salvezza per questa psichiatria…!
    Io sono uno psicologo che ha prestato 20 anni della sua vita professionale (dei 42 nel Servizio Pubblico…) alla psichiatria.
    Ma qualche psichiatra, in questi lunghi anni, mi ha mai chiesto cosa pensavo della psichiatria pubblica che si stava costruendo…? Eppure da Basaglia in poi “noi Psicologi della 180” avevamo già dato una risposta; umile, sussurrata… Parlava di relazione tra il nostro corpo e quello dei “malati”, di natura, di condivisione dell’esperienza, di narrazione, di fotografie nuove da scattare assieme ai “pazienti”. Noi, psicologi senza farmaci, abbiamo usato noi stessi come farmaci “deposito”; siamo rimasti dentro i pazienti e i pazienti dentro di noi…
    Ecco allora la speranza: lavorare assieme, ma ascoltandoci. Curiosi di capire cosa cura e cosa ammala di ciò che facciamo, cosa rende felici e cosa deprime; cosa accoglie e cosa fa impazzire …!

    Rispondi
  3. Un bell’esempio di psichiatria paternalistica violentemente bonaria che rischia di trasmettere al pubblico un’immagine pericolosa senza essere seguita da un dibattito altrettanto pubblico. Non solo non compare nessun lavoro con le famiglie ma neanche il ruolo del CSM viene mai citato. Resta un ospedale isolato in una onnipotenza fallimentare ben rappresentata dalla finestra da cui qualcuno cade facilmente sparendo come quell’uccellino che prima cercava di vedere.

    Rispondi
  4. Grazie Federico! Due parole soltanto, sul problema “diagnosi”. DSM: Manuale diagnostico statistico. Già dal nome è evidente che non pretende di essere un trattato di psichiatria: è uno strumento che ha la sua utilità a fini, appunto, statistici. Il problema è che è stato preso come fosse portatore della verità della nostra disciplina: non sorprende, perchè qualcosa di analogo era successo con Kraepelin: ci si attacca al definitorio come garanzia di illusoria sicurezza, come ansiolitico (per noi)

    Rispondi
    • Infatti caro Pasquale, lo ciravo in tal senso. Se lo si usasse in modo appropriato, come i pochi altri strumenti che ha la psichiatria, si farebbe diagnosi in modo più preciso e utile.

      Rispondi

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