Commento alla notizia apparsa su
Elinor Burkett, una giornalista americana impegnata nel movimento femminista, attacca l’ex campione di Decathlon Bruce Jenner, ora Caitlyn Jenner, per come questa ha dato pubblicità al proprio cambiamento di sesso dichiarando di avere sempre avuto un cervello da donna ed esibendosi, in una foto di copertina su Vanity Fair, in atteggiamento procace abbastanza da donna oggetto.
Facciamo pure un po’ di tara alla ipersensibilità di Burkett, pronta ad avvertire in ciò un attacco alla diversa immagine che la donna si è (in parte) conquistata, ma conflittualmente timorosa che le si possa attribuire una intenzione reazionaria contro il movimento transgender.
Ma ciò può dare l’occasione per una riflessione su questo movimento. Dò per scontato che la nostra identità di genere sia una costruzione complessa, ammettendo una componente ”maschile” e una “femminile” in varie proporzioni; ma il più delle volte queste convivono, pur non senza qualche conflitto e complicato aggiustamento. Invece in qualche persona la tensione fra identità di genere e sesso biologico è tale da divenire tormentosa: almeno lo credo, se può spingere a sottoporre il proprio fisico, ritenuto inadeguato e da cambiare, a interventi invasivi di tipo ormonale o addirittura chirurgici. Non intendo entrare in una querelle sul carattere psicopatologico o meno di questo malessere; è comunque innegabile il diritto di ridurlo con i mezzi ritenuti più adeguati, pur se lo psichiatra avverte un certo sapore di maniacalità anche nelle espressioni, riportate sempre da Burkett, dell’altro transgender operato, Chelsea Manning: “Adesso son molto più consapevole delle mie emozioni! Sono molto più sensibile a livello emotivo (e fisico)”. Sono peraltro atteggiamenti comprensibili, come rivalsa più o meno consapevole contro i secoli in cui ai problemi di questo tipo era vietato evidenziarsi se non di striscio, indirettamente e in personaggi di grande rilievo che potevano permetterselo (Giovanna d’Arco? George Sand?).
Ma parlando di fisico, non è male ricordare che la sua trasformazione in quello dell’altro sesso rischia di essere non molto di più di una imitazione: ad esempio, a quanto mi risulta nel cambiamento F/M l’erezione del neo-pene è garantita da congegni meccanici, e dunque non necessita del desiderio.
Nessuno può, credo, mettere in discussione il diritto morale e legale di ricorrere a questi mezzi: divinum opus est sedare dolorem. Mi pare equilibrato, umano e pragmatico l’atteggiamento espresso negli Standard of Care della World professional association for transgender health: “provide clinical guidance for health professional to assist transsexual, transgender, and gender nonconforming people with safe and effective pathways to achieve personal lasting comfort with their gendering selves, in order to maximize their overall health, psychological well-being, and self-fulfillment. May include primary care, gynecologic and urologic care, reproductive options, voice and communication therapy, mental health services (e.g. assessment, counseling, psychotherapy, and hormonal and surgical treatments”.
Ho parlato, confesso, un po’ da dilettante: mi piacerebbe leggere il parere di qualcuno più competente.