Venire a sentire il seminario ‘percezione della bellezza tra psicopatologia e antropologia’ è stato un tuffo rinfrescante nel piacere di ascoltare.
Bello il linguaggio, belle le suggestioni, bello sentire di appartenere a quella visione.
E poi di sentire il collegamento di quella visione a tutta l’esperienza e la conoscenza che l’esperienza clinica e la cultura mi ha dato.
Ritrovare le radici collegare linguaggi diversi ma sostanzialmente legati agli stessi concetti. Bello certo. Ma poi tornandomene a casa qualche perplessità.
Ero reduce da una giornata evento per il patto per la salute mentale, tanto pubblico vario (operatori in cerca di ecm operatori interessati famigliari ed utenti psichiatrici politici associazioni). Incontro che mi aveva addolorato per la sua bruttezza intendo bruttezza per la passerella di slogan per le affermazioni di superficie per la gestione in mano ad alcuni che si ritengono i giusti portavoce, per la finta democrazia.
Perché però collegavo questi eventi uno brutto e uno bello con una senso di amarezza.
Tutti e due erano due chance di formazione, informazione di stimolo di cultura. Eppure mostravano prepotentemente delle certezze. Asserzioni certe.
Mi aspettava una terza occasione un incontro sul Kitsch che mi spiazzava sul bello e sul brutto.
Il bello legato a quella cultura a quel ceto sociale a quel pregiudizio a quella condizione come il brutto, il bello che cambiava nella nostra stessa vita come nel tempo. Il brutto che scostava bollava come inferiore… e poi così vero certo?
Perché questo discorso e questa emozione, perché se è per me é vero che niente di cio che è umano mi è estraneo avverto in contesti diversi invece la prepotenza di snobismi e certezze che allontanano dalla vicinanza all’umano. Indispensabile nel lavoro clinico, nella formazione, nel prevenire scissioni disastrose, e che certo non si risolvono con incontri al vertice, o solamente con la scienza e la ricerca se non all’interno di un sistema di comunicazione, connessione umana che ci tenga ancorati al rispetto al dubbio all’apertura all’altro, all’ascolto. Insomma al nostro lavoro clinico e a quello che ogni giorno ci circonda anche se non percepito bello piacevole in sintonia con noi.
Ecco vedere il pubblico manipolato da asserzioni piacevoli o viceversa demagogiche o ancora allontanato da un interesse che lo renda protagonista e non spettatore mi amareggia.
Questa osservazione nulla tolgono alla importanza di queste occasioni di cui alla fine sono profondamente grata perché mi fanno pensare e sono giuste. E sono comunque il frutto di lavoro di impegno di interesse di buoni propositi e per questo continuo a seguire.
Perché non c’è bello o brutto in assoluto ma avere la costanza di esserci.