La costanza omeostatica dell’ambiente intracorporeo e lo stress
Ogni organismo biologico per sopravvivere deve essere in grado di interagire con l’ambiente esterno che cambia, conservando costante il proprio ambiente interno.
L’omeostasi è il processo attraverso cui il corpo, confrontandosi la variabilità dell’ambiente esterno, preserva entro un range di valori costanti alcune variabili fisiologiche come la temperatura del corpo, la pressione sanguigna, l’equilibrio degli elettroliti. Il principio di costanza omeostatica vale per il corpo intero e per ogni sua singola cellula.
Eventi di natura fisica o psichica in grado di turbare l’omeostasi generano stress; il corpo risponde allo stress modificando il proprio equilibrio omeostatico per mantenere costanti i suoi parametri vitali nell’impatto con l’ambiente esterno. La risposta adattativa allo stress coinvolge il sistema nervoso, il sistema endocrino ed il sistema immunitario in un macrosistema integrato il cui perno centrale è l’asse dello stress.
L’asse dello stress influenza la neurotrasmissione
L’asse dello stress è costituito dall’ipotalamo, dall’ipofisi e dalla corteccia del surrene.
Eventi stressanti acuti lo attivano aumentando temporaneamente la produzione di ormoni dello stress come il cortisolo ed altri glucocorticoidi. Terminato l’evento stressante, l’asse dello stress si normalizza. Quando gli eventi stressanti si ripetono o si protraggono nel tempo, come nel caso di traumi, l’asse dello stress può essere prolungatamente alterato, causando una reazione neuro-immunitaria cronica che modifica permanentemente la sintesi dei neurotrasmettitori.
I neurotrasmettitori sono sostanze chimiche che permettono alle cellule cerebrali di comunicare tra loro e contribuiscono a creare una rappresentazione psichica di noi stessi e del mondo in cui viviamo.
Fattori di rischio per la psicosi: traumi, abuso di sostanze e predisposizione genetica
I soggetti che hanno subito maltrattamenti ed eventi di vita avversi durante l’infanzia o l’adolescenza –abusi sessuali, violenze, bullismo, separazioni precoci dai genitori, accudimento trascurato- possono sviluppare disturbi psicotici, disturbi post traumatici da stress, disturbi bipolari, disturbi depressivi, disturbi della personalità, disturbi alimentari e abuso di sostanze.
Il rischio di sviluppare psicosi in questi soggetti è stimato essere da 3 a 15 volte superiore -a seconda del tipo e della frequenza di esposizione al trauma- rispetto a coloro che non hanno subito traumi precoci (Bebbington et al, 2011; Beehdolf et al, 2010; Morgan e Fischer, 2007; Van Winker et al, 2008).
Traumi infantili ed adolescenziali possono provocare alterazioni permanenti degli ormoni dello stress (Aas et al., 2019; Cherian et al., 2019; Mittal e Walker, 2019).
Anche l’uso cronico di cannabis, noto fattore di rischio per lo sviluppo di psicosi (Di Forti et al, 2019) provoca aumento permanente dei livelli ematici degli ormoni dello stress e attiva la microglia (Cutando et al, 2013). Un gruppo di oltre 80 ricercatori europei (EU-GEI WP2 Group, 2019) stima che il 20% dei nuovi casi di psicosi potrebbero essere evitati eliminando l’uso quotidiano di cannabis.
Il rischio di sviluppare psicosi a causa di eventi di vita avversi precoci è simile al rischio genetico, che può variare dal 2% -in cugini di primo grado- al 12% -in figli o fratelli di pazienti con diagnosi di schizofrenia- (Gottesmann e Erlenmeyer-Kimling, 2001). Un caso estremo è quello dei gemelli omozigoti di pazienti con diagnosi di schizofrenia. I gemelli omozigoti condividono lo stesso patrimonio genetico ma nonostante i loro cromosomi siano identici, solo il 45% dei gemelli omozigoti di pazienti con diagnosi di schizofrenia sviluppa la malattia. Ciò dimostra che l’ambiente gioca un ruolo fondamentale nella riduzione del rischio di sviluppare questo disturbo.
Una eccessiva risposta immunitaria che danneggia neuroni e sinapsi
Sia i fattori genetici che quelli traumatici che quelli tossici coinvolgendo il sistema neuro-immunitario possono provocare una riduzione eccessiva di sinapsi cerebrali. Le sinapsi sono zone di collegamento tra le cellule cerebrali ricche di neurotrasmettitori grazie ai quali le cellule cerebrali si scambiano informazioni.
Sekar e collaboratori (2016) hanno dimostrato, nelle persone con diagnosi di schizofrenia, la presenza di una mutazione genetica (gene C4), che rende iperattiva la microglia -i macrofagi del sistema immunitario del cervello. Questi macrofagi disinibiti tagliano in modo eccessivo le sinapsi in aree della corteccia prefrontale e dell’ippocampo (Sekar et al, 2016).
Anche lo stress traumatico da ripetuti eventi di vita avversi può portare ad un’iperattività della microglia, che fagocita e distrugge in eccesso neuroni e sinapsi della corteccia prefrontale e dell’ippocampo, zone fondamentali per la cognizione e la memoria (Frodl e O’Keane, 2012; Sapolsky, 2003; Van Winkel et al, 2008).
La microglia è un componente del sistema immunitario del cervello che si attiva per rimuovere ed eliminare non solo neuroni e sinapsi danneggiati, ma anche eventuali agenti esterni che possono entrare accidentalmente nel cervello. Traumi psichici possono causare stimolazioni elettriche eccessive chiamate eccitotossiche, che hanno la capacità di danneggiare i neuroni e di liberare citochine, proteine pro-infiammatorie che attraggono la microglia.
Danni neurobiologici provocati dall’invasione psichica
Mentre è relativamente facile per la microglia fagocitare e rimuovere microorganismi, combattere un’invasione psichica, specie se ripetuta, è molto più complesso. Un’invasione psichica viene registrata nella memoria e l’invasore si fonde con la vittima attraverso il meccanismo dell’identificazione con l’aggressore (Ferenczi, 1955).
Il sistema immunitario che si attiva per combattere un’invasione psichica impiantata nelle memorie, è costretto ad aggredire le aree del proprio cervello in cui sono innestati i ricordi traumatici. E’ possibile ipotizzare che questa reazione autoimmunitaria diventi cronica perché non si rivolge contro un agente materiale, come un virus, ma contro la rappresentazione immateriale di un aggressore che ha invaso la vittima possedendola violentemente nel corpo e nella psiche.
Un evento traumatico spesso è dissociato dalle altre memorie, probabilmente a causa della eliminazione delle sinapsi da parte della microglia. Tuttavia, può continuare a essere sognato, immaginato o, talvolta, vissuto ripetutamente a causa di un meccanismo autodistruttivo noto come coazione a ripetere, descritta da Freud nel 1914 e collegata alla pulsione di morte.
Attacco autoimmunitario e alterazione della neurotrasmissione dopaminergica
Si può ipotizzare che la base biologica di questo attacco autodistruttivo psichico sia legata alla reazione infiammatoria autoimmunitaria scatenata da un’invasione traumatica di natura psichica che attiva permanentemente l’asse dello stress e le cellule immunitarie cerebrali (microglia e astrociti) che sono ricche di recettori per gli ormoni glucorticoidi dello stress.
La perdita di neuroni o sinapsi dell’ippocampo e della corteccia prefrontale, causata dalla reazione auto immunitaria innescata dal trauma, può disinibire e aumentare la neurotrasmissione dopaminergica sottocorticale mesolimbica e produrre sintomi psicotici (Feigenson et al, 2013; Walker et al, 2008; Van Winkel et al, 2008).
Carlsson ha ricevuto il premio Nobel per aver formulato la teoria dopaminergica della schizofrenia secondo cui i sintomi psicotici sarebbero causati da un aumento della trasmissione dopaminergica nella via mesolimbica. L’efficacia terapeutica dei farmaci neurolettici su alcuni sintomi psicotici dipenderebbe dall’inibizione dei recettori della dopamina (Carlsson e Lindqvist, 1963). Oggi sappiamo che l’aumento della trasmissione dopaminergica è provocata daun attacco autoimmunitario a circuiti cerebrali scatenato da fattori traumatici, genetici e tossici.
Limiti della terapia farmacologica delle psicosi
I neurolettici per la loro efficacia nel ridurre alcuni sintomi invalidanti della schizofrenia, hanno generato entusiasmi ma anche l’illusione che fosse possibile curare le psicosi solo con i neurolettici. Questo ha influito sull’impostazione di molte strutture di salute mentale, che si sono limitate alla semplice somministrazione di psicofarmaci, riducendo al minimo gli investimenti su interventi relazionali, psicologici o sociali.
Nonostante sia ampiamente dimostrato che nessun neurolettico è in grado di guarire la psicosi, gran parte delle persone con diagnosi di schizofrenia nel mondo viene trattata solo con neurolettici. Milioni di persone affette da questa malattia ricevono per questo un trattamento incompleto che è solo un sintomatico e non agisce sulle cause della psicosi.
Reversibilità dei danni autoimmunitari e terapie mirate alle cause della psicosi
Le cause della psicosi comprendono traumi infantili e adolescenziali, predisposizione genetica, danni perinatali e uso abituale di sostanze psicostimolanti come LSD, anfetamine e cannabis. Questi fattori possono portare a alterazioni permanenti dell’asse dello stress, attacco autoimmunitario cronico e alterazioni della neurotrasmissione dopaminergica. Tuttavia, è importante notare che questi danni non sono irreversibili poiché nell’ippocampo i processi di apprendimento e di archiviazione delle memorie possono promuovere la neurogenesi e la creazione di nuove sinapsi (Darrick et al., 2009).
Attualmente, non sono ancora state sviluppate terapie genetiche specifiche per la schizofrenia, tuttavia, esistono metodi psicologici e sociali che possono aiutare a elaborare eventi traumatici avversi, riducendo così i danni causati dallo stress cronico. Inoltre, è possibile migliorare gli approcci terapeutici al trauma concentrando la ricerca sui fattori di resilienza che proteggono fisiologicamente l’organismo dagli eventi traumatici. Dato che non tutte le persone che subiscono traumi precoci sviluppano psicosi, è importante indirizzare la ricerca sui sistemi fisiologici anti-stress (Tops e collaboratori, 2014) che bilanciando l’asse dello stress configurano un asse anti stress.
Investire sugli interventi che mirano alla causa delle psicosi non solo è eticamente corretto per il benessere degli individui, ma anche economicamente vantaggioso. Ciò potrebbe consentire di aumentare la produttività e di ridurre le alte spese sanitarie legate ai ricoveri forzati, che spesso causano ulteriori traumi e alimentano la malattia invece di curarla.
Se definissimo la schizofrenia , ammesso che abbia ancora un senso questo termine, la malattia psicosomatica del cervello?
Mi sembra una definizione interessante ed appropriata