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Gli stili di attaccamento: come influenzano le relazioni

Gli stili di attaccamento sono, oggi, uno dei principali ambiti di interesse della psicologia. L’iniziatore di questa corrente di pensiero, nonché il suo principale teorico, è stato lo psicologo e psicanalista britannico John Bowlby. Questi si è interessato per la sua intera carriera al rapporto genitore-figlio e, in particolare, a quello tra la madre e il suo bambino. La teoria dell’attaccamento da lui sviluppata è stata elaborata sulla base delle possibili conseguenze che l’allontanamento materno in età infantile può avere sulla personalità, presente e futura, dell’infante di poche settimane. L’ultima versione di questa teoria, la quale continua a essere aggiornata anche dopo la scomparsa del suo ideatore, muove da svariati apporti teorici. Questi derivano da numerose aree di studio, principalmente etologia, antropologia e psicoanalisi.

La teoria a grandi linee

Bowlby si basò sugli studi del viennese Konrad Lorenz, il padre dell’etologia scientifica, il quale aveva scoperto e definito l’imprinting, nel 1957. L’austriaco aveva infatti individuato un comportamento animale che oggi ci pare scontato ma, a metà degli anni ’50, non era ancora stato approfondito. Non appena un anatroccolo esce dall’uovo, seguirà il primo oggetto in movimento che compare alle sua vista. La dimostrazione arrivò grazie all’esperimento del guanto giallo. Lorenz e i suoi collaboratori attesero la schiusura dell’uovo di un’anatra e posero di fronte al neonato una mano inguantata, muovendola avanti e indietro. Nonostante la creatura non avesse ricevuto alcun tipo di cura dal guanto giallo, cominciò a seguirlo, scambiandolo per la legittima madre.

Il risultato fu strabiliante. Lorenz aveva dimostrato, per primo, come fosse possibile, per un cucciolo, sviluppare un forte legame verso una figura specifica anche se questa non fornisce ricompense, né di cibo né di calore. Muovendo da questa dimostrazione, Bowlby teorizzò che un bambino costruisce in maniera simile una relazione con gli adulti che lo circondano. La spinta non sarebbe tanto la fame, come molti sembrano sostenere, bensì la sicurezza che, dunque, è l’elemento principale ricercato dai bambini in un adulto.

Il nucleo della teoria degli stili di attaccamento

Tra il bambino e la cosiddetta figura di attaccamento (generalmente, ma non sempre, sua madre) si instaura una relazione stabile e duratura fin dalla nascita. Questo legame è piuttosto cinico. Il piccolo desidera favorire la propria sopravvivenza mediante l’alleanza con una figura adulta, capace di garantirgli protezione e benessere. Perché si possa parlare di attaccamento, devono essere presenti nel rapporto alcune caratteristiche chiave:

  • la vicinanza a una figura preferita, non per forza un genitore;
  • l’effetto base sicura che sconfigge l’inquietudine, grave problema per una creatura nata da poco, la quale ricorrerebbe a strategie difensive di scarsa efficacia nel caso in cui si ritenesse in pericolo di vita;
  • la protesta in caso di separazione del bambino dalla figura cui si è profondamente legato.

Gli stili di attaccamento derivano dagli studi di Mary Ainsworth, la quale definì queste modalità nel 1978. La scienziata individuò tre possibili stili: quello sicuro e due diverse tipologie di insicuro, evitante e ambivalente. In tempi più recenti si sono aggiunti due ulteriori stili di attaccamento: disorganizzato/disorientato ed evitante/ambivalente.

L’influenza degli stili di attaccamento sulle relazioni

Stili di attaccamento: due donne parlano sedute a un tavolo
Gli stili di attaccamento influenzano anche le relazioni durante la vita adulta

La teoria dell’attaccamento e i relativi stili influenzano profondamente lo sviluppo delle relazioni nel corso della vita del bambino, o della bambina, una volta che cresce e diventa adulto. Le modalità con le quali ci legheremo alle persone nel corso del nostro cammino terreno, infatti, risentiranno degli stili di attaccamento che hanno caratterizzato la nostra infanzia. Amici, colleghi, partner sentimentali… rifletteremo su tutti le esperienze infantili vissute da bambini, e loro faranno altrettanto con noi. Per dirla con Bowlby:

“Le relazioni di attaccamento primarie rappresentano il prototipo di tutti i rapporti affettivi successivi.”

Tanto il rapporto d’amicizia quanto, soprattutto, quello di coppia, può essere infatti inteso come una particolare forma di legame di attaccamento. Ciò non significa che le due cose siano sovrapponibili, dal momento che riscontriamo anche delle differenze tra la relazione bambino-genitore e quella tra due partner (si pensi all’assimmetria della prima o agli scopi e alle funzioni sessuali della seconda). A fronte di studi psicologici sulle dipendenze affettive, però, è emerso come il soggetto tenda a riproporre nelle sue storie sentimentali gli stessi stili che ha appreso da bambino. Non solo. Molto spesso, una metà della coppia cercherà i suoi stessi schemi relazionali nel partner. Di frequente, infatti, si compongono coppie contraddistinte dagli stessi stili di attaccamento.

La modifica degli stili di attaccamento

Occorre a questo punto precisare che gli stili di attaccamento non sono ermetici. Sebbene sia piuttosto difficile modificarli una volta appresi, non si tratta di un compito impossibile. Eventi significativi dal forte impatto emotivo o relazioni sufficientemente lunghe, con persone contraddistinte da stili di attaccamento differenti, possono condurci a una modifica del nostro modo di relazionarci. Episodi di questo tipo possono avvenire in qualunque momento della vita, dall’infanzia alla senescenza. Anche la psicoterapia può agire a questo livello e, sebbene difficilmente riuscirà a modificare totalmente il nostro stile di apprendimento, potrebbe riuscire a smussarne gli angoli o ammorbidirne gli eventuali spigoli.

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