Vaso di Pandora

SI’ ALL’LSD PER LE TERAPIE MEDICHE. L’APPELLO DI PSICHIATRI E RICERCATORI

Commento alla notizia apparsa su
La Repubblica, 27 maggio 2015

SI’ ALL’LSD PER LE TERAPIE MEDICHE. L’APPELLO DI PSICHIATRI E RICERCATORI

di Anna Bonfanti

 

Sul BMJ dello scorso 26 maggio è comparso un saggio, a firma di James Rucker, psichiatra e docente del King’s College di Londra, in cui veniva sottolineato l’eccesso di restrizioni legali che di fatto impediscono lo studio degli allucinogeni, così come altre sostanze psichedeliche, a scopo terapeutico. Negli ultimi mesi diverse voci scientifiche si sono spese per la medesima causa.

Il divieto di utilizzare questo tipo di sostanze risale al 1967, in relazione alla loro potenziale tossicità, che, secondo i ricercatori che aderiscono a questa mozione in favore della riabilitazione degli allucinogeni, non sarebbe così provata. Queste sostanze esercitano il loro effetto a livello del SNC, aumentando la concentrazione sinaptica dei neurotrasmettitori, ma gli effetti sono molto diversi a seconda della sostanza presa in considerazione, in quanto piccole variazioni nella struttura chimica comportano grandi differenze nell’ordine di grandezza dell’effetto esercitato. In realtà gli allucinogeni sono gravati da un lungo corteo di effetti potenzialmente dannosi (psicotomimetici, come depressione, panico, aggressività, somatici, come ipertensione, convulsioni, aritmie, fino a gravi reazioni generalmente conseguenti all’assunzione di dosaggi elevati quali arresto respiratorio, coagulopatie, emorragia intracranica, solo per citarne alcuni) ma sicuramente un eccesso di restrizioni esteso anche al loro studio non può essere considerato favorevole.
D’altra parte nessuno degli psicofarmaci attualmente in uso può dirsi scevro di conseguenze anche gravi, sia dal punto di vista della tollerabilità (effetti extrapiramidali, abbassamento della soglia convulsiva, aritmia, problemi ematologici o metabolici, ecc.) sia per ciò che potrebbe concernere gli aspetti di dipendenza ed abuso (classicamente le benzodiazepine, che hanno sì un indice terapeutico elevato ma l’ineluttabile caratteristica di manifestare i fenomeni interconnessi di tolleranza e dipendenza).
Peraltro il sapere non può essere nocivo per sé se volto alla consapevolezza e, al di là della discussione aperta sulle sostanze tipicamente d’abuso ad ampia risonanza per gli aspetti legali, sociali, etici e politici, una riflessione nel nostro settore mi sembra appropriata. La ricerca è molto costosa e gravata dall’incertezza della ricaduta economica degli investimenti fatti e le principali industrie farmaceutiche negli ultimi anni hanno chiuso le linee di ricerca neuropsichiatriche. Da tempo inoltre i bisogni psicofarmacologici più urgenti (per esempio una terapia antidepressiva a rapida insorgenza d’azione o una terapia antipsicotica più sicura e a più ampio spettro) sono in attesa di qualche risposta davvero innovativa e convincente.
La ricerca di base, condotta nelle Università, procede e chiarisce via via qualche meccanismo patogenetico ma senza la spinta della sponsorizzazione finalizzata le ricadute cliniche sono scarse.
Non ho idea di quale sia il motore che spinge alcuni ricercatori a focalizzarsi sull’impiego degli allucinogeni e non sono un’esperta in materia ma posso immaginare che il richiamo capave di coinvolgere anche l’opinione pubblica e i media serva anche a frenare l’avanzata di questo isolamento economico che penalizza l’ambito conoscitivo/applicativo in area psichiatrica.

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