L’espressione shock culturale indica l’esperienza di chi sceglie di allontanarsi dalla propria zona di comfort, magari trasferendosi all’estero. Le motivazioni della decisione possono essere svariate, dall’opportunità lavorativa alla scelta di cambiare vita. Indipendentemente da questo, non è raro ritrovarsi ad attraversare un periodo di disagio e confusione, magari ripensando alla scelta fatta e domandandosi se sia stata ponderata abbastanza. L’impatto con una nuova situazione socioculturale, ambientale e linguistica finisce spesso per causare ripensamenti.
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Che cos’è lo shock culturale
A coniare l’espressione shock culturale è stata Cora Du Bois, celebre antropologa statunitense attiva principalmente tra gli anni ’60 e gli ’80. In seguito, la scuola antropologica di Kalervo Oberg e numerosi altri think tank sociologici hanno ripreso il termine, che oggi è diventato di uso comune. La definizione più comunemente accettata si deve proprio allo studioso di origine scandinava. Secondo Oberg, il termine shock culturale identifica una sorta di malattia professionale. Essa colpisce, in maniera indistinta seppure a differenti gradi di severità, chiunque si trasferisca lontano dal luogo ove lascia le proprie radici.
I principali fattori da cui dipende il sentimento non sarebbero più di tre: le caratteristiche psicologiche dell’individuo, le quali sono naturalmente differenti da persona a persona; il grado di differenza tra lo stile di vita, le condizioni meteo e tutte le altre peculiarità del Paese di partenza e quello d’arrivo; le aspettative rispetto al nuovo contesto socioculturale e alla velocità di ambientamento al contesto estero. Dalla combinazione di questi tre elementi dipendono durata e intensità di nostalgia, ansia, tristezza e malinconia. Sentimenti che frequentemente contraddistinguono gli afflitti da shock culturale.
La fase di shock è particolarmente curiosa. Essa ha suscitato l’interesse di esperti e studiosi, dal momento che si tratta di un’esperienza suddivisa in 4 fasi ben distinte tra loro, tanto che si fatica a pensarle parte di una stessa condizione. Talvolta esse sono infatti vissute in maniera diametralmente opposta.
Le 4 fasi dello shock culturale

La lontananza da casa è il fenomeno scatenante dello shock culturale, condizione che si caratterizza per la confusione e lo smarrimento che causa in chi la viva. Esistono quattro fasi che la contraddistinguono:
- Fase della luna di miele, la prima, dura da due settimane a sei mesi. Si prende coscienza della vita in un ambiente nuovo ed estraneo. In questo periodo si vive una forte attrazione per la nuova situazione e si resta affascinati da qualunque cosa, perché tutto appare come una bella novità.
- Periodo di crisi. Ecco che al momento migliore segue quello che, probabilmente, è il peggiore all’interno dell’iter dello shock culturale. Si comincia a soffrire di solitudine e si provano ansia e frustrazione nei confronti di una cultura con la quale si sente di avere poco a che fare, a partire dal piano ambientale e quello linguistico. In questa fase si percepisce come una barriera, una sorta di separazione tra noi e l’ambiente che ci circonda. Si tratta del periodo nel quale chi ha una personalità meno forte e adattabile finisce spesso per prendere la decisione di arrendersi di fronte a questo ostacolo e rientrare dove si trova meglio.
- Fase di aggiustamento, la terza e forse principale. A questo punto, i traumi sono stati per la maggior parte superati e la lucidità prende di nuovo il sopravvento, dandoci modo di iniziare a costruire la nostra nuova vita. Gradualmente si accetta la situazione e si comincia a prendere coscienza della cultura che ci circonda, facendola nostra un passo alla volta. I problemi non appaiono più irrisolvibili e si apre un canale comunicativo differente ed efficace, per interagire in maniera produttiva con l’ambiente e le persone.
- Accettazione e adattamento. La transizione è a questo punto completa. La persona espatriata non si sente più tale, si è ormai inserita appieno nel nuovo contesto e non ha alcun problema a intessere relazioni sociali. Conosce in maniera approfondita la cultura locale e ne ha adottata una parte, cominciando ad attenersi ad alcune sue caratteristiche.
Come limitare il disagio
Dal momento che non è possibile evitare di cadere vittime dello shock culturale (sebbene non tutti ne soffrano in maniera degna di nota), quando ci si trasferisce in via provvisoria o definitiva, occorre ricorrere ad alcuni espedienti che possano contenerlo se si vuole evitare una crisi profonda e foriera di tristezza e malinconia.
Il modo più indicato per farlo è quello di smussare l’impatto, preparandosi al trasferimento in maniera assennata. Cominciamo a studiare la lingua con anticipo, migliorandone la conoscenza, così da abbattere il primo, poderoso muro. Informiamoci su usi e costumi della nazione ove ci sposteremo e, all’occorrenza, proviamo a pensare ad alcuni problemi caratteristici della vita quotidiana all’estero e ai metodi più indicati per risolverli. Tutti questi sono compiti per casa preliminari al trasferimento.
Teniamoci attivi anche non appena giungiamo in loco. Troviamo un posto in cui ci sentiamo bene e frequentiamolo, sforzandoci di conoscere persone nuove. Evitiamo di restare in disparte a pensare e rimuginare, perché molto spesso è il nostro cervello a causarci disagio. Vinciamo anche la noia, magari avviando un nuovo hobby che ci distragga e ci faccia sentire bene. Inoltre, evitiamo di frequentare troppi italiani, o persone provenienti dal nostro stesso Paese, specialmente se appena arrivate. Potremmo pensare che aprirci con loro ci darà una mano, invece avverrà esattamente il contrario.
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