A seguito dell’arresto di Matteo Messina Denaro e delle proteste ormai prolungate dell’anarchico Alfredo Cospito che si è sottoposto a un duro sciopero della fame da, ormai, oltre 100 giorni, si è ripreso a parlare del regime di carcere duro. La sua protesta ha acceso nuovamente i riflettori sul 41 bis che prevede la sospensione di alcuni diritti per chi ne è sottoposto e l’uso di misure di sicurezza rafforzate.
Isolamento, sorveglianza continua, limitazione dei colloqui con i familiari sono esclusive delle carceri italiane. Questo regime così severo fu introdotto nel 1986 per limitare ma in modo temporaneo i diritti dei detenuti in caso di rivolte in carcere, per, poi, essere esteso a casi che permettessero di limitare la pericolosità sociale di particolari detenuti ancora socialmente pericolosi come gli appartenenti a reti criminali organizzate.
Nel 1995 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti che ispezionò le carceri italiane deliberò che “la durata prolungata delle restrizioni (del 41 bis) provocasse effetti dannosi che si traducevano in alterazioni delle facoltà sociali e mentali, spesso irreversibili”. Tanto che nel 2007, gli Stati Uniti non permisero l’estradizione del boss mafioso Rosario Gambino perché il giudice riteneva il 41 bis assimilabile a tortura.
Al di là delle opinioni sulla giustizia di questo trattamento di detenzione, le statistiche parlano di quattro detenuti su dieci in terapia psichiatrica, tra carenza di personale e pochi percorsi oltre il farmaco.
Nell’anno dello scoppio della pandemia la situazione si è aggravata. “Abbiamo visitato 44 istituti e abbiamo rilevato che il 36,81% dei detenuti è sottoposto a una cura psichiatrica” – testimonia Michele Miravalle dell’associazione Antigone. La situazione varia negli istituti: si passa dal 92,23% della casa circondariale di Bari al 5,71% di Poggioreale, a Napoli. In alcuni casi la patologia era presente anche prima della detenzione e nella reclusione si aggrava. E casi in cui è il carcere la causa scatenante. “La situazione è grave e delicata – racconta ancora Irene Testa – a Cagliari, ad esempio, la percentuale è altissima. Nelle mie visite ho visto tante persone, soprattutto ragazzi, spaesati, sedati, avvinghiati alle sbarre della cella”. Nelle percentuali elencate sia problemi molto lievi che patologie gravi ma gli esperti parlano di bisogno di cambiare la situazione.