Vaso di Pandora

Risorse Umane

Ho pensato di sviluppare con i collaboratori della Residenza “VILLA PERLA” a Genova, che dirigo, le capacità che alcuni di loro hanno espresso al di là del ruolo che ricoprono (educatore e operatore sociosanitario).
Pertanto, ho chiesto a Massimo Sacco di scrivere una favola (Massimo è un autore che ha già pubblicato due volumi fantastorici) e a Niccoló Pizzorno (Nicoló è un valente disegnatore di fumetti, collaboratore del Vaso di Pandora) di illustrarlo.
Detto fatto, vi presentiamo il risultato che a mio avviso è ottimo.
La favola viene poi utilizzata per creare un gruppo di discussione eterocentrato condotto da una psicologa della comunità.

Giovanni Giusto

IL FANCIULLO SCONTENTO

C’era una volta, tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, un bellissimo regno governato dalla regina Georgiana, una donna saggia ed intelligente che amava il suo popolo e desiderava che nel suo regno tutti vivessero felici.

Il paese era bellissimo e lussureggiante. Era ricoperto di boschi di larici ed abeti, aveva due bellissimi laghi, fiumi e torrenti che consentivano agli abitanti di pescare dell’ottimo pesce ed era circondato da ampie montagne ricoperte di neve. Vi erano inoltre prati che permettevano l’allevamento di pecore e mucche da latte e campi coltivati che davano sostentamento a tutta la popolazione.

Il regno non era vasto ed in esso vi erano solo due villaggi. Nel più grande, il cui nome era Valle Chiara vi era il castello della regina, mentre il più piccolo, che si trovava sulle rive di uno dei due laghi, si chiamava Roccapina ed era prevalentemente un villaggio di pescatori.

Entrambi i villaggi, per volere della regina, avevano tutto quanto potesse servire per agevolare la vita dei suoi sudditi: un mulino per macinare la farina, una fucina per fondere il ferro e creare gli attrezzi da lavoro, un lavatoio e persino una scuola dove bambini e bambine potevano imparare a leggere e far di conto. Tutti gli abitanti adoravano la propria regina.

A Valle Chiara vi era persino un edificio, costruito in una bellissima radura circondata da abeti, in cui venivano portati i trovatelli che spesso erano lasciati, nottetempo, davanti ai gradini della chiesa o della scuola. La regina desiderava che questi bambini, già sfortunati, fossero allevati ed educati con il massimo della cura per cui aveva fatto sì che in quella casa non mancasse nulla. Al mattino i bambini facevano un’abbondante colazione e successivamente venivano affidati ad alcune maestre che per tutta la mattina insegnavano loro a leggere e scrivere, e tutte quelle cose che sarebbero poi state loro utili una volta cresciuti. Dopo pranzo i bambini erano liberi di giocare nel prato e dedicarsi alle loro attività preferite. Solo ai più grandicelli era richiesta un’ora di lavoro pomeridiano per aiutare a rassettare la casa.

Nell’edificio abitavano a quel tempo diciotto tra bambini e bambine. Vivevano tutti felici ed in armonia. Quattro di essi erano ancora molto piccoli ed erano affidati alle balie mentre gli altri avevano un’età che variava dai quattro ai sedici anni. Era regola della casa che una volta raggiunta la maggiore età i ragazzi, sia maschi che femmine, fossero mandati a bottega per imparare un mestiere adatto a loro e costruirsi una vita futura.

Tra tutti questi ragazzi, uno soltanto era sempre scontento ed irrequieto. Non era soddisfatto del posto in cui si trovava e il suo desiderio maggiore era quello di trovare altri luoghi in cui vivere lontano dal regno della regina Georgiana. In realtà non sapeva bene neppure lui stesso perché questo desiderio aleggiasse nel suo animo, ma la realtà era quella e lui non poteva farci niente. Aveva quindici anni e si chiamava Gregorio. Era mingherlino e basso di statura ed aveva due grandi occhi verdi che davano al suo volto un aspetto particolare. Non si poteva dire che fosse bello ma sicuramente la sua espressione lo rendeva interessante. Era un ragazzo piuttosto solitario ed aveva pochi amici. In realtà tra tutti i fanciulli che vivevano nella casa aveva rapporti solo con tre di essi, due ragazzi, Alfredo e Roberto e una ragazzina, Luna Gometta con la quale aveva un legame particolare. Tutte le sere, dopo cena, e fino a che non giungeva l’ora di andare a letto, i due si sedevano vicini su due poltroncine accanto al caminetto nel refettorio e lei intonava dolci melodie accompagnate da una piccola lira che lui ascoltava estasiato. Gregorio le aveva parlato spesso delle sue inquietudini e del suo desiderio di evadere da quel mondo ma lei non ne riusciva a comprendere il motivo. A quel che sapevano dai racconti dei viandanti e di tutte le persone che transitavano per quei luoghi non vi era posto, nelle terre conosciute, più ameno e ben governato di quello. Tutti nei regni circostanti dicevano un gran bene del regno della regina Georgiana e ritenevano fortunati tutti quelli che avevano la possibilità di viverci. E il mondo che li circondava non era esente da pericoli. Vi erano ladri e predoni che vivevano nei boschi e nelle lande poco fuori dal reame e che spesso assalivano i mercanti e tutti quelli che venivano loro a tiro.

Malgrado ogni volta che cadeva il discorso su questo argomento Luna cercasse di dissuadere Gregorio dal compiere atti impulsivi, questi era sempre più convinto che il suo destino fosse altrove, e neppure la salda amicizia che aveva con Luna riuscivano a convincerlo del contrario.

Passò così tutto l’inverno, cadde abbondante la neve che imbiancò tutto il paesaggio e permise ai ragazzi di giocare a palle di neve ma Gregorio era sempre più solitario ed imbronciato e la sua insoddisfazione era talmente palese che Luna ne era fortemente contrariata. Non solo sarebbe stata molto triste nel perdere l’unico vero amico che aveva, ma le faceva orrore il pensiero di Gregorio solo, in un mondo sconosciuto ed in balia di ogni possibile pericolo.

Ma tant’è un bel giorno Gregorio prese la sua decisione e dopo aver fatto un piccolo fagotto con le poche cose che possedeva salutò tutti e lasciò la casa diretto ai confini del regno. Tutto il personale della casa ne fu molto rattristato così come tutti i ragazzi che vi abitavano, ma quella che non riuscì a darsi pace fu Luna che pianse per tre giorni.

Gregorio camminò tutto il giorno e verso sera arrivò presso il confine dove due guardie controllavano che ogni cosa si svolgesse senza problemi. Vi era anche una piccola casetta di legno, dove i viandanti in caso di bisogno potevano fermarsi. Fu lì che Gregorio si fermò a passare la notte per poter poi uscire dal regno il giorno successivo.

La mattina di buon’ora si svegliò e si diresse verso la guardia che alzò la sbarra per farlo passare. Camminò per tutto il giorno sin quando, verso sera giunse ai confini del regno di re Marke. Dopo aver dormito al riparo di un albero frondoso, la mattina si diresse verso il grande villaggio che giaceva ai piedi della rocca dove si ergeva il castello del re. Era lì che si trovavano le botteghe di commercianti ed artigiani e dove Gregorio sperava di trovare un lavoro da apprendista. E lo trovò facilmente. Un fabbro infatti stava cercando un lavorante e quando il ragazzo si presentò fu subito assunto. Il fabbro era un omone grande e grosso con due mani enormi, un ventre prominente e un vocione che metteva soggezione.

“I tuoi compiti saranno questi” disse senza mezze parole. “Ti sveglierai all’alba e preso il carretto ti recherai nel bosco a prendere la legna per alimentare il fuoco della fucina. Alla fine della mattinata rientrerai a casa. Troverai pane ed acqua per rifocillarti sul tavolaccio. Dopodiché taglierai tutta la legna in pezzi uguali e in serata, poco prima di cena pulirai la fornace e tutto il laboratorio. A quel punto potrai consumare la tua razione di pane ed acqua e ritirarti per la notte nella stalla sul pagliericcio che troverai vicino all’asino. Per il tuo lavoro riceverai mezzo scellino al mese”.

Fu così che per Gregorio iniziò un periodo di duro lavoro al quale, in realtà, non era per nulla abituato. Si alzava poco prima dell’alba quando il sole non era ancora sorto e tutto era avvolto nell’oscurità e si coricava alla sera nel suo misero pagliericcio dopo aver consumato un misero pasto, stanco e stremato. E non mancavano i problemi. Il fabbro si lamentava in continuazione. O la legna raccolta era troppo poca, o la fucina non era stata pulita a dovere o il carretto aveva un segno che prima non aveva.

Passarono i giorni e Gregorio era sempre più smunto e stremato. Non era certamente la vita che aveva sognato. Iniziò nuovamente ad essere irrequieto e scontento e decise che quella vita non faceva per lui.

Fu così che dopo poco più di un mese di permanenza nella bottega del fabbro Gregorio decise di partire. Raccolse le sue poche cose nel suo fagottino, prese i pochi scellini che gli erano dovuti e, salutato il fabbro che non si aspettava questo repentino abbandono, riprese il suo cammino. Trascorsero molti giorni prima che giungesse in un altro posto abitato. Attraversò boschi e lande desolate sotto il pericolo costante di essere assalito da banditi o predoni. Dopo circa una settimana scorse in lontananza un grosso villaggio immerso in una coltre di nebbia e fumo nero. Circa un’ora dopo era seduto al tavolo di una locanda a consumare un frugale pasto utilizzando i pochi scellini in suo possesso.

“A cosa è dovuto tutto questo fumo che avvolge il paese”? chiese all’oste che si era avvicinato per prendere la sua ordinazione.

“Sono le fornaci per cuocere i mattoni”, rispose questi cortesemente. “In paese ci sono due miniere di carbone che viene utilizzato per alimentarle. Tutto il commercio della zona è basato sul carbone e sui mattoni”.

“E pensate che si possa trovare facilmente lavoro”? chiese Gregorio mentre l’oste apparecchiava la tavola.

“In miniera ricercano sempre nuovi minatori. Presentatevi all’ingresso e verrete assunto senza problemi”.

Fu così che per Gregorio cominciò un altro triste periodo. Lavorava in miniera dal mattino alla sera ed era sempre più stremato, scontento ed avvilito. Ma tant’è non si dava per vinto. Lasciato un lavoro si trasferiva in un altro reame dove rimaneva per poco tempo sempe più triste e scontento.

Fu una mattina di primavera che, dopo aver lasciato l’ultimo faticoso lavoro a spalare letame in una stalla, giunse sul cucuzzolo di una montagna isolata dal mondo e circondata da boschi dove vi era una solitaria fattoria. Andò in cerca del fattore e fu immediatamente assunto come bracciante.

“Più mani abbiamo per far provviste per l’inverno meglio è” disse l’uomo che gli indicò i campi coltivati nei quali lavorare affidandolo ad un suo aiutante che in poco tempo gli mostrò tutto quanto c’era da sapere. Nel posto, che si chiamava Monteprezzemolo, lavoravano diversi contadini. Qui trascorse la primavera e l’estate lavorando più serenamente di quanto non fosse accaduto in precedenza. Non aveva raggiunto il suo ideale, che in realtà non sapeva neppure lui quale fosse, ma quanto meno quei mesi trascorsero con maggiore serenità. Fu quando cominciò ad approssimarsi l’autunno che le cose iniziarono a cambiare. In tutti aumentò la frenesia e la preoccupazione. Il fattore incitava tutti i lavoranti affinchè si affrettassero col raccolto e riempissero i magazzini e ben presto Gregorio capì il perché. Già agli inizi di ottobre cominciò a cadere la prima neve, ma quando sopraggiunse novembre le nevicate erano così fitte ed abbondanti che non fu più possibile uscire di casa.

Rimasero tutti chiusi in casa per più di tre mesi, sommersi da metri di neve, e Gregorio, che non era per nulla soddisfatto di tutto quanto stava accadendo cominiciò a ripensare con nostalgia alle serate vicino al fuoco con Luna, alla sua casa perduta e a quanto era ospitale il regno della regina Georgiana. Più passava il tempo e più si rendeva conto degli errori commessi, di quanto fosse stato insensato il suo spasmodico desiderio di cercare chissà cosa e nel suo animo cominciò a farsi strada l’idea del ritorno.

Fu al primo sciogliersi delle nevi, all’inizio della primavera che Gregorio decise il da farsi. Per l’ennesima volta fece fagotto a questa volta la sua destinazione era definitiva. Salutò il fattore e tutti i contadini e una bella mattina di fine marzo, due anni dopo aver lasciato la sua casa, si incammino per ritornarvici.

Al suo arrivo, dopo circa due settimane di viaggio, fu accolto da grandi feste da tutti i componenti della casa. Ma la più contenta di rivederlo fu sicuramente Luna che in cuor suo non aveva mai perso le speranze. Fu organizzato un banchetto in suo onore, e la regina, come fu informata del suo ritorno, inviò una grossa torta in suo onore.

Passarono i mesi, Gregorio era finalmente felice della scelta fatta. Il suo cuore era più sereno e la sua amicizia con Luna divenne sempre più salda. Ma si aprì anche agli altri ragazzi e si fece molti nuovi amici. Non poteva chiedere di più. Ora era veramente felice.

Massimo Sacco

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Commenti su "Risorse Umane"

  1. Bello davvero ! Atmosfera di sogno e poesia che può dare risorse per recuperare riti e momenti di passaggio. Sicuramente sarà interessante e impegnativo il lavoro della psicologa della comunità sul gruppo eterocentrato .🙏

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