Vaso di Pandora

Riflessioni su nuove strutture per pazienti psichiatrici autori di reato

Introduzione

Nell’applicazione della legge 81/2014 molta attenzione è stata data alle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) strutture residuali, da utilizzare come estrema ratio mentre ancora poco è stato fatto per strutturare un sistema di cura e giudiziario di comunità.

Ciò è tanto più significativo se si tiene conto che nel territorio si trova la maggior parte delle persone con misure giudiziarie (stimate in circa 6 mila), per lo più in libertà vigilata, senza che siano stati adeguatamente definiti strumenti, metodi, percorsi, competenze e responsabilità. Pur in presenza di diversi protocolli regionali vi è la necessità di consolidare le collaborazioni interistituzionali tra giustizia, sicurezza, sanità.

Del tutto in ombra è il tema della psichiatria e della salute mentale negli Istituti di Pena e nelle Articolazioni Tutela Salute Mentale. Previsto dall’Accordo Stato Regioni del 30 novembre 2022 è da attuare il “Punto Unico Regionale” che ha l’obiettivo di supportare l’Autorità giudiziaria, di fungere da raccordo con i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) e di promuovere Protocolli locali.

Per quanto attiene i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) da più parti è stata evidenziata la necessità di migliorare la competence anche attraverso Unità di Psichiatria Forense nell’ambito di un progetto organico e unitario in grado di coniugare territorialità e specializzazione.

La Rete Residenziale

Nella rete Residenziale è ospitato circa il 70% dei pazienti psichiatrici autori di reato in cura presso i DSM e ciò avviene in strutture ordinarie. Sono infatti poche le strutture esclusivamente dedicate a “pazienti forensi” (come sono state fin dai primi anni 2000 “Casa Zacchera” in Emilia Romagna, “Le Querce” in Toscana ed altre esperienze). In linea di massima si è cercato di migliorare l’offerta e la capacità di gestire anche i pazienti giudiziari ritenuti avere caratteristiche in larga parte sovrapponibili a quelle degli altri ospiti. Una prassi che sembra nel complesso funzionare ma servirebbero dati epidemiologici più precisi compresa una mappa nazionale e regionale delle strutture e i loro requisiti di qualità. Mancano anche dati sulle violazioni e recidive nei reati.

Alcuni gravi incidenti avvenuti nel corso degli anni, prima (Imola 2001[1], Pistoia 2014[2]) e dopo la legge 81/2014 (Brescia 2017[3], Volpiano (TO) 2021[4]) fanno riflettere. In tutti questi casi i professionisti sono stati sentiti e talora indagati dalla magistratura per concorso colposo nella commissione del delitto, sulla base della posizione di garanzia (art 40 c.p.). Le indagini, anche tramite i periti, sono entrate nel merito del programma di cura, in particolare dell’adeguatezza della struttura e della terapia farmacologica ed hanno verificato la presenza di protocolli operativi adeguati alla cura e alla sicurezza degli operatori. Ancora se era assicurata un’adeguata valutazione dello stato clinico compreso il rischio di manifestazioni di aggressività etero o autodiretta, la presenza del lavoro di equipe e di un’idonea documentazione. Per il fatto di Imola va ricordata anche la condanna a quattro mesi di reclusione dello psichiatra confermata anche in Cassazione[5]. A fonte del rischio cui quotidianamente sono esposti gli operatori risulta essenziale il governo clinico per migliorare la sicurezza delle cure e la collaborazione interistituzionale con Forze dell’Ordine e Magistratura, Giustizia. Servirebbe il superamento della posizione di garanzia dello psichiatra e l’esplicitazione del mandato di cura e quindi dei limiti e delle competenze dei terapeuti.

In Campania ed Emilia Romagna vi sono esperienze di riconversione di “REMS temporanee” a strutture “non REMS” non più esclusivamente dedicate agli autori di reato ed orientate all’inclusione sociale mediante strumenti come il Budget di salute, l’IPS conservando al contempo metodologie e strumenti maturati nell’esperienza REMS[6]. Un percorso che tende ad andare, faticosamente, oltre le REMS.

In Sicilia vi è l’importante esperienza della Comunità Terapeutica Democratica di Caltagirone.[7]

Nello spirito della legge 81, è stata attivata la Comunità Terapeutica Riabilitativa Protetta “Casa Tezon” a Veronella (VR), un progetto sperimentale della Regione Veneto, con la mission di ospitare un’utenza femminile con patologie psichiatriche e in misura di sicurezza non detentiva.  Un’attenzione all’utenza femminile (il 10% circa degli ospiti delle REMS) che vede anche una REMS dedicata con 9 posti ad Empoli in Toscana.

Nel 2022 il governo ha autorizzato la creazione di una REMS “nazionale” a Calice al Cornoviglio (La Spezia) superando il principio di territorialità.

Ora in Veneto viene aperto il “CEPAC” (Centro di Profilazione e Analisi Criminologica), una Struttura Residenziale Psichiatrica, presidiata nelle 24 ore, per pazienti affetti da patologia psichiatrica autori reato in attesa di processo o prosciolti per vizio di mente, anche destinatari di misure di sicurezza. Si trova a Ficarolo (RO) e può accogliere utenti provenienti da altre regioni.

Riflessioni

Da quanto sopra rappresentato in modo certamente non esaustivo, si rileva un arricchimento dell’offerta di servizi che merita alcune riflessioni circa le direzioni che sta assumendo il percorso.

La chiusura degli OPG è avvenuta secondo i principi di territorialità mediante la presa in carico da parte dei DSM con un crescente impegno della rete residenziale ma senza risorse aggiuntive.[8] Questo sta creando molti disagi, il rischio di omissioni e di abbandono da un lato e l’utilizzo altamente inappropriato dei SPDC per ragioni giudiziarie dall’altro. La regionalizzazione e il numero chiuso delle REMS sembrano consolidati mentre alla luce della lista di attesa e di collocazioni inadeguate condannate anche dalla CEDU, vi è una spinta ad aumentare le disponibilità. Anche questo richiede investimenti.[9] Tuttavia è noto che aumentare i posti residenziali, di REMS senza potenziare il territorio che deve svolgere prevenzione e trattamento, non risolve certo il problema.

In merito alle nuove strutture ne va rimarcato il carattere sperimentale, innovativo, come avviene nei processi di profondo cambiamento.

Alcuni commenti relativi al CEPAC.

a) Esso viene ad incentrare le proprie attività sulla fase valutativa. “L’osservazione” è una funzione che viene da lontano. Oggi l’inquadramento diagnostico, ai fini giuridici, è di solito lasciato alle competenze di periti o consulenti i quali, nonostante i diversi documenti[10], tengono rapporti molto variabili con i Dipartimenti di Salute Mentale talora “incaricati” di compiti ideali o impossibili sia per la tipologia di richieste talora persino salvifiche, sia per la carente/fragile motivazione dei pazienti.

Un ambito che certamente richiede un miglioramento anche al fine di un più appropriato utilizzo delle misure giudiziarie e dell’attività sanitaria.

La valutazione di ospiti in differenti condizioni giuridiche, “in attesa di processo” o “prosciolti”, o “in misura di sicurezza”, può avere finalità diverse e le stesse misure configurano conseguenze non univoche in caso di violazioni o allontanamenti non autorizzati/evasione.

Va tenuto presente che circa il 70% dei pazienti psichiatrici autori di reato è noto ai DSM, spesso con percorsi travagliati e difficili. In questi casi più che l’inquadramento diagnostico è rilevante la qualità della presa in cura e la motivazione della persona a partecipare attivamente al programma terapeutico-riabilitativo individualizzato (PTRI). La misura giudiziaria può essere un’occasione per riprendere relazioni di cura.

Vi è un 30% invece che non è noto e quindi l’inquadramento diagnostico, sia ai fini dell’imputabilità, sia per il trattamento avviene previa un’osservazione in II.PP. o in alcune realtà in SPDC o Case di cura convenzionate o Residenze o anche nel territorio. La valutazione può essere utile per la fruizione di misure alternative alla detenzione nei soggetti nei quali l’infermità mentale sia sopravvenuta, in applicazione della sentenza 99/2019.

Viene da chiedersi se è necessario avere una struttura dedicata alla valutazione e per predisporre il PTRI? Essa può arricchire l’offerta e migliorare l’appropriatezza? Credo dipenda molto dall’offerta di ogni DSM.

In ogni caso è molto importante individuare quei soggetti con alta psicopatia che non sono idonei a trattamenti residenziali o persone che presentano alti livelli di pericolosità criminale che necessitano di controllo ai fini della sicurezza e della prevenzione di nuovi reati. Questo può aumentare la qualità e la sicurezza specie se si riuscirà a costruire un sistema interistituzionale che non rimpalli questi casi ma riesca a fare il meglio possibile, ciascuno per la propria parte, di fronte a psicopatia, sex offender, uomini violenti.

b) I termini scelti per definire la struttura che resta comunque una “Residenza”, e cioè “profilazione” e “analisi criminologica”, sono inconsueti in psichiatria mentre sono più comuni in ambito criminologico. Sembrano prestarsi ad attirare l’interesse degli operatori della giustizia, spesso in difficoltà nel definire il da farsi, nel reperire posti e ancor più nel formulare progetti dotati di una propria forza. Viene da chiedersi se con queste denominazioni si verifichi solo uno spostamento di attenzione o si realizzi, in ambito diagnostico, il completamento di un mandato di cura? Un rapporto con la giustizia che viene a connotarsi in modo diverso, mettendo al servizio della magistratura nuove e diverse competenze? Visto lo stato degli II.PP., dove oltre il 30% ha problemi di sostanze ed ampiamente presenti sono i disturbi gravi della personalità, vi è il rischio di un utilizzo improprio, incrementando l’invio in ambito psichiatrico di soggetti “disturbanti”? Rischi che certamente saranno tenuti presenti e gestiti.

La valutazione richiede competenze multiprofessionali e non solo legate alla psichiatria e psicologia, ma anche alla sociologia, criminologia con l’obiettivo di indagare l’abitualità nel reato, la professionalità, la tendenza a delinquere e redigere un quadro di personalità da utilizzare nella fase di cognizione o nella fase esecutiva, quando si deve individuare come svolgere la pena o che misura di sicurezza applicare.

Va tenuto presente che ai sensi degli artt.  678 co. 2 e 679 co. 1, sono vietate le perizie concernenti il carattere e la personalità dell’imputato, la pericolosità sociale e le sue qualità psichiche indipendenti da cause patologiche.

Quindi la profilazione e l’analisi criminologica deve confrontarsi con il suddetto divieto ed il confine tra le aree di normalità e patologia non sempre è chiaramente tracciabile. Va tenuto presente il pericolo di ledere la morale e la dignità dell’imputato e di attuare un esame volto a elaborare un quadro personologico del soggetto che potrebbe risultare stigmatizzante.

Nel percorso valutativo occorre definire bene le garanzie e diritti di difesa della persona esaminata e quindi del ruolo di avvocatura, consulenti di parte, garanti, fiduciari e amministratori di sostegno.

c) La valutazione di pazienti forensi può avvalersi di psicodiagnosi e assessment basati su test e un’osservazione esperta e deve tenere conto dell’effetto istituzionale nonché del problema della credibilità, attendibilità e autenticità delle manifestazioni che possono essere anche simulate (“malingering”) o di manipolate. Per questo, come evidenziano le esperienze di altri Paesi[11], possono essere utili Linee guida specifiche o Buone Pratiche frutto di una Consensus conference.

Va tenuta presente la scarsa capacità predittiva della psichiatria[12] e che la valutazione della pericolosità sociale (art. 203, 133 c.p.) e la sua graduazione (alta, attenuata, assente) non è sostenuta da forti evidenze scientifiche. Ancora va considerata la scarsa trasferibilità nel mondo reale delle osservazioni effettuate e delle abilità acquisite in contesti protetti.[13] In altre parole, sintomi e i comportamenti non sono una mera manifestazione della componente biologica ma sono legati alle condizioni relazioni e di contesto.

Per questo sembra utile una valutazione basata su fattori di rischio e protezione cercando di sviluppare strumenti adatti al contesto italiano[14] e una riabilitazione sempre fortemente connessa con i territori.

Porre l’attenzione sul reato e sul rischio di reiterazione, da un lato può migliorare la consapevolezza e la responsabilizzazione della persona, un’elaborazione molto utile ma che rischia di essere disconfermata dal proscioglimento. Dall’altro mettere al centro il reato può ampliare la rilevanza della pericolosità sociale fino a quella “potenziale” (come era nell’art. 204 c.p. abrogato dalla Corte Costituzionale o la “pericolosità a sé e agli altri” ex lege 36 /1904 abrogata dalla 180/1978). Una prassi cui spesso consegue il mantenimento a lungo termine le misure di sicurezza che talora sono prorogate sine die, visto che è molto difficile prevedere un rischio zero.

Se l’ombra del reato continua ad incombere inelaborata ma costantemente attualizzata può ridurre le possibilità evolutive, di recupero, riparazione compromettendo la speranza e la fiducia che sono componenti essenziali nei percorsi di riabilitazione.

Occorre evitare il meccanismo del diniego del reato, della sua incomprensibilità, non solo perché ampiamente presente nel mondo interno della persona, ma perché necessario per ogni evoluzione che può fondarsi su un’assunzione di responsabilità e autocontrollo.

Occorre una lettura molto equilibrata di tutte le componenti a partire da quella medico biologica dando l’adeguata rilevanza agli aspetti psicologici, relazionali, ambientali e culturali. Nonché alla stessa qualità dei servizi e dell’offerta di cura. Una valutazione non statica ma dinamica, non solo individuale ma relazionale e di contesto.

Va per altro tenuto conto che le condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo ai sensi della legge 81/2014 non possono essere utilizzati ai fini della definizione della pericolosità sociale e dell’applicazione della misura di sicurezza detentiva. Questi sono possibili fattori di rischio che, se presenti, dovrebbero essere oggetto di intervento secondo i principi della rilevabilità e modificabilità dei fenomeni rilevati.

Ciò è assai importante per persone privi di documenti, senza dimora, reddito, lavoro, relazioni significative ampiamente presenti nelle REMS e negli II.PP.

In altre parole la salute mentale è un prodotto relazionale e quindi dipende anche dal contesto. Di questo fa parte anche la giustizia che non può pensarsi al di fuori di questa complessità.

L’andamento della malattia/disturbo e della terapia farmacologica non deve essere l’unico elemento ad essere rilevante pur senza dimenticare i rischi connessi alla patologia e al suo insufficiente o mancato trattamento. Tuttavia dobbiamo riconoscere i limiti delle terapie. Infatti, sulla base delle evidenze scientifiche relative all’efficacia a lungo termine delle terapie psicofarmacologiche, il 30% dei pazienti affetti da schizofrenia non risponde agli antipsicotici, nessuna Linea Guida si esprime sui trattamenti oltre i 5 anni. Scarse sono le evidenze di efficacia degli psicofarmaci nei gravi disturbi della personalità.

Evidenziare i limiti è essenziale per evitare deleghe in bianco, sulla base di convinzioni, a volte alimentate dalla stessa psichiatria di un’alta capacità di predizione, prevenzione, cura e controllo “magico”. Quindi la occorre chiarezza evitando che si affermino convinzioni popolari, sul decorso e trattamento.

La patologia non può essere una colpa e la cura è volontaria e basata su consenso e la costruzione di una relazione basata su motivazione, partecipazione e fiducia, che costruiscono l’alleanza terapeutica. Le leggi 219/2017 e 18/2009 che valgono anche per le persone private della libertà.

Infine la misura giudiziaria non può essere appiattita sul programma di cura ma deve avere una sua autonomia. La persona ha bisogno della cura ma al contempo dell’autorevole parola della legge. Questo non è un elemento di secondo piano ma rilevante ai fini del recupero e inclusione sociale che la misura giudiziaria, anche ai fini preventivi dovrebbe perseguire, tramite uno specifico programma con la “giustizia” di cui la persona dovrebbe rispondere direttamente. Serve una riforma dell’imputabilità come nella proposta di legge n. 1119 dell’on. Magi.  Non solo ma va evitata la psichiatrizzazione del disagio psicologico e sociale, dando risposte appropriate ai tanti altri bisogni delle persone. La presa in carico sociale dovrebbe essere sempre presente e centrale.

Infine va tenuto presente che ogni agito della persona anche se malata, non è frutto di malattia. Si può restare malati e non commettere reati. La prevenzione di nuovi reati non è frutto della sola cura. Occorre evitare il rischio di un “paternalismo giudiziario” che giudica non reati ma stili di vita, magari marginali e non salutari, secondo una psicologia e un buon senso popolare di cui è permeata anche molta psichiatria.

Conclusioni

La realizzazione della legge 81/2014 è avvenuta tramite la psichiatria di comunità e la maggior parte dei pazienti autori di reato è seguito nel territorio, in buona parte nelle Residenze. Molta attenzione è stata data alle REMS mentre è rimasta in secondo piano l’assistenza psichiatrica negli Istituti di Pena e nelle Articolazioni Tutela salute Mentale.

Un cambiamento epocale che richiede interventi legislativi, un piano organico e adeguati investimenti. In un sistema di cura e giudiziario di comunità ancora in costruzione, vi sono pochi dati sui pazienti seguiti nel territorio.

E’ in atto un processo di qualificazione delle strutture residenziali con esperienze interessanti e sperimentali. Tra queste anche la creazione di Centro di Profilazione e Analisi Criminologica (CEPAC).

La qualificazione della valutazione può costituire un’innovazione significativa, specie se oltre a migliorare l’appropriatezza, sarà in grado di sviluppare strumenti adatti al contesto italiano, di orientare correttamente i PTRI e al contempo di chiamare ad un impegno specifico la giustizia, i servizi sociali ed il sistema di comunità. Una valutazione non riduzionista che può essere utile ai periti, alla giustizia e ai servizi di salute mentale. Un impianto che deve tenere conto dei diritti delle persone e della loro motivazione mantenendo la necessaria autonomia rispetto all’Autorità giudiziaria. Lo stato di attuazione della legge 81/2014 e di tutte le sperimentazioni in atto sarebbe necessario fare sintesi mediante un accurato lavoro di ricerca.


[1] L’educatore Ateo Ateo Cardelli, 45 anni, educatore nella casa famiglia Albatros di Imola, il 21 maggio 2000 venne assassinato da un paziente con numerose coltellate.

[2] Nel gennaio del 2014, un paziente Gianluca Lotti assassinò a colpi d’ascia un altro ospite Massimo Tarabori, 53 anni di Pescia, suo compagno di stanza nella struttura riabilitativa di Massa e Cozzile.

[3] L’educatrice Nadia Pulvirenti il 24 gennaio 2017 è stata uccisa a coltellate da un paziente psichiatrico alla Cascina Clarabella di Iseo.

[4] 4 gennaio 2021, nella comunità psichiatrica L’Arca di Volpiano, un ospite Simone Giacomo Farina di 37 anni, in libertà vigilata con obbligo di permanenza nella struttura, ha ucciso un altro paziente, Simone Bonfiglio colpendolo più volte a pugni nel corso di una lite pare per futili motivi.

[5] Cassazione penale, sez. IV, 14 novembre 2007, n. 10795.    

Pellegrini P. “Sulla responsabilità in psichiatria”, Psicoterapia e Scienze Umane vol. XLII, N.3, 295-300. Ed Franco Angeli, 2008.

[6] Pellegrini P. Per una psichiatria senza ospedali psichiatrici giudiziari, Franco Angeli, 2015

Pellegrini P. Liberarsi dalla necessità degli ospedali psichiatrici giudiziari. Alphabeta Verlag, 2017

[7] Barone R. (a cura di) Benessere mentale di comunità. Teorie e pratiche dialogiche e democratiche, Franco Angeli Ed. 2020

[8] Il maggiore impegno economico è stimato in circa 280 milioni di euro.

[9] Il costo gestionale di una REMS di 20 posti è di circa 2.800.000 euro/anno

[10] Pellegrini P., G Paulillo, Pelizza L., Pellegrini C., Scarpa F. Cozza M., Barone R., Imperadore G., Castelletti L. Applicazione della legge 81/2014: alcune note di orientamento per i Periti Psichiatri, L’Altro, Anno XXIV, n. 1 Gennaio-Giugno 2021, 28-34 

[11] Thomas J Guilmette  1 , Jerry J Sweet  2 , Nancy Hebben  3   4 , Deborah Koltai  5 , E Mark Mahone  6 , Brenda J Spiegler  7 , Kirk Stucky  8   9 , Michael Westerveld  10 ; Conference Participants American Academy of Clinical Neuropsychology consensus conference statement on uniform labeling of performance test scores. 2020 Apr;34(3):437-453. doi: 10.1080/13854046.2020.1722244. Epub 2020 Feb 10.

[12] Angelozzi A. Folk psychiatry: la psichiatria fra immagine scientifica e psichiatria popolare, Ps. Scienze Umane 3/2022, 431-456

[13] Burti L. Attualità di Goffman: quanto contribuisce alla carriera di malato mentale la psichiatria di comunità italiana contemporanea? Ps Sc. U. 2017, vol. 51, n.2, 211-246

[14] Pelizza L, Paulillo G., Maestri D., Paraggio C., De Amicis I., Mammone E., Scarci M, Leuci E., Pupo S, Pellegrini P., Psychometric properties of the Parma Scale for the treatment evaluation of offenders with mental disorder: A new instrument for routine outcome monitoring in forensic psychiatric settings. International Journal of Law and Psychiatry, Volume 84, September–October 2022, 101828 https://doi.org/10.1016/J.IJLP.2022.101828

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Commenti su "Riflessioni su nuove strutture per pazienti psichiatrici autori di reato"

  1. Difficile aggiungere qualcosa a questa ampia, dettagliata e ben documentata esposizione. Mi soffermo su uno dei punti trattati: “quei soggetti con alta psicopatia che non sono idonei a trattamenti residenziali o persone che presentano alti livelli di pericolosità criminale che necessitano di controllo ai fini della sicurezza e della prevenzione di nuovi reati”: caratteristiche che, credo, tendono a collocare questi soggetti – o notevole parte di essi – nell’ambito dei disturbi di personalità. Pertanto, al di là della concreta frequente “intrattabilità”, sia qui da mettere in discussione la pertinenza dell’intervento psichiatrico coattivo,
    Sappiamo che una ben nota sentenza di Cassazione ha “sdoganato” la non imputabilità di questi soggetti, a condizione che si tratti di disturbi sufficientemente gravi e pervasivi: indicazione che lascia ampio spazio alla soggettività delle valutazioni psichiatrico-forensi. Pietro Ciliberti, nell’ambito di un recente convegno organizzato da Redancia, ci ha confermato l’esistenza di orientamenti assai variabili e contrastanti da Perito a Perito.
    Specifico il caso del Disturbo antisociale. Poichè il DSM richiede per questa diagnosi la presenza anche di soli tre elementi fra quelli che indica come propri del disturbo, è sufficiente – ad esempio – che il periziando sia : inosservante delle norme sociali – portato all’inganno – impulsivo – per consentire l’inserimento nel circuito psichiatrico; benchè questi connotati siano sostanzialmente sinonimi di forte propensione a delinquere (vedi l’arcaica diagnosi di delinquente per tendenza). Non c’è bisogno di ricordare come la frequente intrattabilità di tali condizioni tenta a togliere senso all’intervento psichiatrico; e contribuisca impropriamente al problematico sovraffollamento delle REMS.
    Sarebbe bene che mediamente i Periti adottassero criteri più restrittivi: forse il problema andrebbe trattato in qualche sede congressuale.
    Naturalmente si può sostenere che questi soggetti non possono che agire così, ma ciò può essere vero per ogni essere umano. Non è il caso di riaprire la secolare diatriba fra determinismo psicologico e libero arbitrio: fondamento prevalente, questo, del nostro diritto penale.

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