Vaso di Pandora

Commenti su "Rems tra ipocrisia e amara realtà"

  1. Parole che non possono che essere condivise. Ma nessun percorso può essere buono se vi si inseriscono persone diverse da quelle per cui è pensato.
    La sanità ( pubblica e privata) è chiamata a rispondere sempre più ad un bisogno che di sanitario ha poco o niente, ma che non vedendo altra risposta converge su di essa fungendo da tampone ad una situazione che si sta facendo via via più insostenibile.
    I tamponi come abbiamo imparato in fisiologia si esauriscono se non si argina la causa che li consuma.

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  2. Drammatico divario tra il controllo , l’obbligo intendo del controllo, l’obbligo di relazionare sul comportamento, come a scuola, far promuovere o bocciare, e l’arduo obbiettivo di entrare in un rapporto di fiducia speranza con persone già per storia di difficile comprensione sia di se stessi sia degli altri con eredità culturali diverse, storie di vita poco narrabili.
    Angoscia rabbia stanchezza sfiducia. Comuni a chi opera e a chi è ‘operato’
    Eppure tutto è raccontabile e l’ascolto ti cura …la Rems evidenzia una contraddizione nel compito che si vuol dare agli psichiatri.
    Curare non è garantire la sicurezza la normalità al resto del mondo. Curare è avvicinarsi al limite. Per arrivare ad una comprensione più ampia.
    Senza perdere la ragione! Cioè il compito di alleviare il dolore non affondare nello stesso. Anche se in modi diversi.

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  3. Caro Gianni,
    tu parli di Cura, di Persona, di Progetto, di Comunità , di Atteggiamento Complementare..e ne parli coraggiosamente dal luogo estremo, la REMS.
    La REMS, vero Cuore di Tenebra dove Bene e Male si confondono come in una stella alla deriva in una galassia senza sole.
    REMS, nome ambiguo, dubbio, falso che allude al sogno e non all’incerto, sfuggito dal calamaio di qualche piccolo uomo distratto.
    Luogo impenetrabile e incerto, ma nelle tue parole avverto la necessità del riscatto e il richiamo alla comprensione, al senso, al significato ultimo.
    Vero, dobbiamo sempre parlare anche a chi non ascolta ( il burocrate di turno: ricordi l’Uomo senza Qualità di Musil) e ripetere in modo instancabile quanto riteniamo verosimile.
    Lo dobbiamo alle Persone a noi affidate, lo dobbiamo alla fortuna di fare il lavoro più bello nel mondo (lo diceva il geniale Romolo Rossi),
    Lo dobbiamo perché resistere (anche alla ipocrisia ) è la forza del tuo gruppo di lavoro.
    Li ho visti in azione un tardo pomeriggio invernale nella REMS a PRA’ quando una Persona nello studio medico rivendicava urlando e minacciando il suo diritto al Delirio per 1 ora, con il mio timore di un atto improvviso verso una collega.
    I colleghi erano presenti, attenti, pazienti, calmi, rispettosi e il paziente si è poi allontanato.
    Curare la violenza a volte è meno difficile che curare l’ignoranza e l’ipocrisia.
    A presto
    Λακεδαίμων

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  4. Questo intervento sottolinea una serie di punti fondamentali: fra questi, la necessità di utile inserimento delle REMS nel territorio da servire, nonchè di comunicazione e condivisione fra la struttura abitativa e i Servizi di riferimento. Aggiungerei che questi non raramente si trovano in affanno, anche nel reperire personale quantitativamente e qualitativamente adeguato. Il problema delle REMS è il problema della assistenza psichiatrica.
    In quest’ottica, ritengo poi essenziale che si sfumi la differenza concettuale e gestionale fra gli interventi rivolti all’autore di reato rispetto a chi non lo è. Un elemento favorevole in questo senso è l’esperienza maturata negli anni , nelle Comunità terapeutiche che da tempo ormai usano accogliere ospiti sottoposti a misure di sicurezza alternative a quelli che erano gli OPG.
    Un ostacolo, di carattere apparentemente solo terminologico, è il vetusto concetto di pericolosità. Non che non sia lecito e utile chiedere all’esperto una previsione circa la probabilità c he atti contrari alla legge vengano reiterati; ma il termine “pericoloso” fa riferimento a una presunta qualità intrinseca al paziente, e induce a dimenticare che la probabilità di recidiva riconosce ovviamente una genesi multifattoriale. Per nulla raro, infatti, che al disturbo mentale si aggiunga una serie di elementi – difficoltà economiche, isolamento sociale, difficoltà familiari, differenze culturali ed etniche, condizione di immigrato – che si coagula in un giudizio di “pericolosità”. Puro problema terminologico, si dirà: ma le parole sono pietre, e questo termine contribuisce a far apparire gli autori di reato come una popolazione a sè, quasi, in senso antropologico, nel più vasto ambito dei sofferenti mentali: stigma nello stigma, discriminazione nella discriminazione che può favorire interventi discriminanti.
    Aggiungo che mantiene il suo interesse, la proposta, sostenuta dall’On Corleone, di abolizione del concetto di non imputabilità (fra l’altro debole sul piano teorico): ma qualora essa dovesse concretarsi, la conseguente gestione sarebbe complicata: il “come” garantire al sofferente mentale autore di reato un trattamento individualizzato adeguato alla sua condizione resterebbe un terreno tutto da dissodare.

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