Leggo l’articolo dell’Espresso sui mali dell’attuale assistenza psichiatrica, e in particolare quella riguardante i pazienti autori di reato.
Certo, non tutte le realtà sono uguali: ne conosciamo non poche in cui il rispetto del paziente è fondamento dell’operare, e dove non si dimentica che fondamentalmente è lui, il nostro datore di lavoro.
Ma non c’è dubbio che il sistema è in affanno: l’articolo ne evidenzia diversi aspetti, dall’impropria lista d’attesa delle REMS alla permanenza in carcere di persone affette anche da gravi patologie e perfino riconosciute non imputabili. Si può addirittura aggiungere che il perito può sentirsi indotto a non riconoscere la ridotta capacità, per non gravare sul sistema.
Che fare? La classica risposta, che purtroppo comincia a delinearsi – aumentare la disponibilità di posti REMS – è chiaramente impropria: riproduce il vecchio meccanismo che, infine, aveva condotto a edificare istituzioni monstre. Sappiamo tutti quel che ci vorrebbe: rafforzare soprattutto qualitativamente i dispositivi di cura, a tutti i livelli residenziali e non, a partire dalla preparazione e motivazione del personale di ogni qualifica, prevenendo la demotivazione, la noia, il pessimismo terapeutico, arginando il crescere del ben noto “manicomio interno”. Inoltre, è importante mantenere un’adeguato rapporto con il territorio di riferimento, il che comporta la necessità di una appropriata distribuzione geografica delle strutture e dei servizi.
Un crescere quantitativo di patologie gravi e gravissime è la via finale comune in cui questi aspetti della risposta tecnico – sociale confluiscono insieme al “naturale” decorso del disturbo.
Senza tornare alla ingenua e ormai usurata riduzione del disturbo mentale a divergenza politica, è indubbia la dimensione politica del problema. Purtroppo, dopo una parentesi non molto lunga, il problema del disturbo mentale grave ha cessato di essere problema di tutti; le istituzioni non si sentono più incalzate dalla pubblica opinione.
E’ un terreno questo che avevamo pazientemente dissodato, soprattutto a partire dagli anni ‘60 – ‘70: è destinato a tornare incolto? E’ per questo che dobbiamo salutare con favore articoli come questo che ripropongono la problematica, che aiutano a non dimenticare, al di là delle possibili superficialità e inesattezze. Ma qualche articolo di giornale non basta; bisognerebbe riuscire a dare il debito peso ai primi interessati, i pazienti; a dar voce a chi non ne ha. Come?
Caro Lino,
Grazie dei pensieri che hai voluto condividere: certo abbiamo bisogno di persone che si dedichino ad un faticoso e continuo lavoro di inclusione anzichè di separazione ed alienazione.
Certo dobbiamo riformare e rinforzare i servizi territoriali ed anche quelli residenziali rendendoli permeabili ad un’umanità che è im paurosa decrescita.
La differenza la fanno le idee e le persone io punto ancora su queste
Ciao