Vaso di Pandora

Recensione al film “La schivata” di Abdellatif Kechiche

Lo sfondo di questa storia di adolescenti è la periferia parigina con i suoi grandi, freddi palazzi e gli sterili spazi verdi. Il paesaggio è quasi unico spettatore, compaiono pochissimi adulti e non sempre sono individui rassicuranti. La madre di uno dei protagonisti, Abdelkrim chiamato Krimo la vediamo in un paio di brevi scene: in una stira, in un’altra dorme sul divano davanti al televisore logorata forse da una giornata di lavoro. Non sembra avere molta influenza sul figlio; il padre è in carcere così come altri padri della zona, di cui si fa appena cenno.

L’alternativa all’adulto poco presente o assente è quella dell’adulto aggressivo: verso la fine del film un gruppo di poliziotti approfitta dei ragazzi in maniera decisamente violenta, brutale e gratuita.

Probabile personaggio di maggiore riferimento per i ragazzi è l’insegnante di teatro, troppo compresa però, nel suo ruolo di regista delle scene piuttosto che all’ascolto del vissuto e della sofferenza degli allievi.

Di fronte a questa dura realtà la scappatoia di questi giovani è quella di diventare precocemente adulti loro stessi sentendosi, però, dentro necessariamente bambini molto fragili e vulnerabili.

La storia inizia con un dialogo concitato, un sovrapporsi di voci degli adolescenti maschi talmente aggressive al punto da sembrare confuse, ma anche per quanto riguarda le femmine la scena non cambierà; parlare, discutere, interrompere pare una modalità di evacuare qualcosa di molto opprimente, somiglia ad un fiume in piena e tutto il film sarà improntato a un vociare che “sgomita” per farsi udire, per diventare più forte, per non perire…

Krimo, il protagonista maschile si fa lasciare dalla fidanzatina forse “troppo disponibile”- “ti rispettava troppo” gli dirà il suo amico Fatim per “invaghirsi di Lydia, una amica d’infanzia, nel momento in cui si incontrano dal sarto dove la ragazza è andata a ritirare il costume per una recita. Infatti alcuni dei giovani della storia saranno gli attori di una recita scolastica: verrà portata in scena una commedia di P. Marivaux : Il gioco del caso e dell’amore e Lydia farà la primadonna…

E di primadonna veramente si tratta fin da quando la si vede per la prima volta: Lydia discute col sarto, vorrebbe lavori supplementari sul vestito, non vuole pagare quanto era promesso, sembra molto manipolatrice, insistente; l’impressione è che ogni cosa debba girare attorno a lei; infine chiede, anzi pretende dieci euro da Krimo e finalmente usciti dalla sartoria va all’appuntamento con gli altri.

Arriva però in ritardo perché si ferma per farsi ammirare nel suo bel vestito di scena da alcune amiche strada facendo; cerca insistentemente di convincerle ad andare con lei così come fa con Krimo il quale accetta.

All’interno delle scene, durante le prove, non ammette rivali : “ Io sono la padrona nella storia” dirà ad un’altra ragazza che secondo lei si atteggia troppo a questo ruolo: peraltro la commedia si basa su una sottile ambiguità all’interno della quale i “padroni” recitano il ruolo di “servi” e viceversa.

Il protagonista Krimo sembra ammaliato da Lydia, tanto da proporsi di recitare con lei ma l’attrazione è data dal vestito di scena che la ragazza indossa per quasi tutto il film: metafora esteriore di un modo di essere e di porsi: forse seduttivo, avido di approvazione, esibizionista.

Ciò che vuol farci capire Marivaux nella sua commedia e che viene esplicitato dall’insegnante può aiutarci a comprendere cosa sta accadendo: l’autore ci dice che per quanto uno si travesta da povero se è ricco o da ricco se è povero non ci si potrà sbarazzare del proprio ruolo: “i ricchi si innamorano dei ricchi e i poveri dei poveri…”

Perché…ciascuno, a modo suo, trova ciò che deve amare e lo ama; la finestra diventa uno specchio; qualunque sia la cosa che amiamo, è quello che noi siamo”. D. Leavitt forse nelle poche parole di questa frase tratta dal suo romanzo “La lingua perduta delle gru” può aiutarci a capire come a livello inconscio non è un caso che ci si senta attratti da una persona piuttosto che da un’altra, e Krimo riconosce benissimo in Lydia ciò che cerca.

Come Lydia egli è chiuso in sé con scarsa capacità di comunicare veramente ciò che sente dentro; Krimo però a differenza di lei che sembra esprimere con molto virtuosismo una parte probabilmente poco autentica; è silenzioso, non sorride mai; i tristi occhi scuri sembrano vuoti ed assenti come quando si perdono nello sguardo ad un immaginario lampadario in una delle scene

Egli non sembra desiderare veramente nulla, forse nemmeno Lydia :” Bisogna uscire da se stessi…esci da te!” gliripete l’insegnante.

Krimo inoltre permette al suo amico Fatim, la gestione del suo rapporto con la ragazza, anzi gliela demanda rimanendo quasi completamente passivo.

A questo livello gli sembra inutile continuare a recitare insieme a Lydia: la voce monocorde, sempre uguale con cui si esprime lo trova distaccato dalle emozioni e quindi poco adatto a fare teatro.

Non gli resta che rifugiarsi ancora di più nella solitudine, guardare da lontano, da fuori ciò che sta accadendo il giorno della recita, spazio in cui tutti sembrano godere della reciproca compagnia e del momento ludico.

Krimo torna invece a casa a rifugiarsi nella sua cameretta; Lydia sembra cercare davvero stavolta una possibilità di dialogo con lui; finita la commedia e tolto finalmente l’abito di scena lo chiama

dalla strada, lui si affaccia ma ritorna dentro il guscio protettivo della stanza: adesso lei è un essere umano infine, alla ricerca di un’autenticità , senza abiti protettivi. Troppo rischioso!

Schivare… fino a quando?

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