Vaso di Pandora

Raccontare la guerra: uno sguardo umano oltre la violenza spettacolarizzata

Riflessioni a partire da “Lirica Ucraina” di Francesca Mannocchi

Con l’avvento dell’era digitale, i social media sono diventati strumenti fondamentali per la comunicazione e l’informazione, ma la loro diffusione ha portato all’esposizione di un numero crescente di contenuti violenti. Questo fenomeno ha sollevato preoccupazioni riguardo agli effetti psicologici e sociali derivanti dall’esposizione costante a tali contenuti, poiché potrebbe contribuire alla normalizzazione della violenza.

Nel mondo iperconnesso in cui viviamo, la guerra è ovunque: scorre sui social, appare nei notiziari, diventa immagine, video, contenuto da consumare in pochi secondi. Ma in questo flusso continuo, la guerra perde profondità, diventa spettacolo, si svuota. La violenza, quando è mostrata senza contesto né ascolto, rischia di diventare sterile. Ci anestetizza. Ci allontana dalla sofferenza reale, dai volti, dalle voci, dalle storie. 

Forse però la questione sta nel come si racconta la guerra .

Riflessioni sul film “Lirica Ucraina” di Francesca Mannocchi

In questo scenario, il film “Lirica Ucraina” di Francesca Mannocchi, presentato al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, rappresenta un gesto radicale di resistenza. Resistenza alla narrazione veloce e superficiale. Resistenza alla spettacolarizzazione del dolore. Questo film invita a rallentare, a guardare davvero la realtà quotidiana, fatta di corpi, paure, silenzi, memoria. Francesca Mannocchi sostiene che la guerra si racconta nelle attese, quando apparentemente tutto è fermo è possibile ascoltare, guardarsi intorno, cogliere gli sguardi dei sopravvissuti e intercettare quel momento magico in cui avviene un’ apertura e un incontro.

“Lirica Ucraina” è un’opera che si muove nei margini, nei retroscena del conflitto, lì dove spesso i riflettori non arrivano. Non ci sono effetti drammatici né semplificazioni. C’è uno sguardo limpido, umano, capace di cogliere la complessità e di restituirla con rispetto. Attraverso testimonianze, gesti quotidiani, paesaggi feriti, lo sguardo di Francesca Mannocchi ci restituisce una narrazione intima e potente, che mette al centro la fragilità e la dignità di chi resiste. Come erbe selvatiche che nascono dalle macerie, la vita continua nonostante la guerra. Nella solidarietà delle persone sopravvissute che si ritrovano tra le macerie a condividere una scodella di cibo respiriamo la speranza e l’ umanità. Nella scena finale dove il paesaggio si ricopre di neve che soffice cade coprendo le atrocità della guerra, l’ autrice accompagnata dalla musica composta dal cantautore iosonouncane sembra volerci regalare un sollievo, un respiro lieve.

Il racconto spettacolarizzato sui social

Questo tipo di racconto è profondamente diverso da quello che domina sui social, dove l’attenzione dura pochi secondi e le opinioni si moltiplicano senza reale conoscenza. Dove la guerra diventa contenuto da scorrere, e non realtà da comprendere. È proprio in questo divario che Lirica Ucraina si inserisce: come invito al silenzio, all’ascolto, alla presenza. Come spazio in cui è ancora possibile sentire, interrogarsi, mettersi in discussione.

Dove nessuno è vittima né eroe, sarebbe semplice pensarlo, ci aiuterebbe tutti a pulirci la coscienza e non sentirci parte, a non sentire la responsabilità. La verità è che sono esseri umani coraggiosi. Questo film è un invito al coraggio.

In un’epoca che premia la velocità, la semplificazione e il rumore, scegliere di raccontare la guerra con lentezza e umanità è un atto politico e profondamente etico. Abbiamo bisogno di questo sguardo coraggioso e profondo. Di chi ci ricorda che dietro ogni guerra esistono persone, storie,  emozioni che se raccontate con superficialità diventano  terreno fertile per stereotipi e pregiudizi.

In un mondo dove tutti danno opinioni e risposte, è forse importante iniziare ad apprezzare chi pone le domande.

Come scriveva Rilke nelle lettere ad un giovane poeta:

Abbi pazienza con tutto ciò che è irrisolto e cerca di amare le domande in sé”

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