Vaso di Pandora

“Questo sarà pure un mondo ingiusto… ma io ci vivo benissimo…!”

Formulazione narrativa di un caso clinico

Vi presento tutti i vissuti miei personali di fronte alla narrazione delle vicende di una persona, ospite di una struttura del gruppo “La Redancia”, cui fui affidato come operatore di riferimento per una serie di colloqui.

I vissuti o “commenti” che seguono (non li chiamo “interpretazioni” perché il “contesto” in cui sono maturate non lo permetterebbe e non hanno nemmeno la profondità che richiederebbero, verosimilmente) sono frutto di una selezione di informazioni del tutto “idiosincratica” e hanno perciò tutta la limitatezza e la parzialità dell’esperienza personale. Tuttavia, proprio per questo si prestano, cosa più importante secondo me, alle “revisioni” di tutti coloro che vorranno apportare nuove argomentazioni al caso in questione o confutare le argomentazioni ivi contenute. Il ricorso qui a certa terminologia classificatoria non presuppone in me una “vocazione categoriale” verso il disagio psicologico, ma trattasi soltanto in certi casi di comodità di intenti per rendere immediatamente più diretta, spero, la comunicazione e senza per questo voler esaurire tutta la complessità della persona-paziente in questione.

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Dunque, AM si presenta al colloquio come un soggetto disinvolto e allegro. Molto ossequioso. Il tipo “vanesio” tutto chiacchiere e complimenti. Altra caratteristica che emerge immediatamente è la “seduttività”. Alla domanda “Come si definirebbe?”, dice di se stesso: – sono una persona che cerca il piacere e le comodità…Mi piace piacere agli altri… -.

Conosce i locali più alla moda di ogni città importante dove si è recato per affari o per divertimento (“in certi posti ci sono dei figoni da impazzire…Le do l’indirizzo se vuole”). Non ha mai posseduto una barca, e non perché non potesse permetterselo, ma perché ha utilizzato sempre le barche degli amici dove è stato spesso ospite:

Perché comprarsi uno yacht se hai a disposizione quello degli altri?…E’ più comodo ed è anche un bel risparmio oltretutto…-.

Si vanta di conoscere e frequentare molti vip della moda, dello spettacolo o della politica, ma si premura di precisare, “scusandosi” quasi, che non è una specie di “arrogante classista” (lui stesso del resto, riferisce di provenire da una famiglia “semplice, ma non povera”); ci tiene a puntualizzare che: “non è conveniente per una persona come me avere a che fare, per il lavoro che faccio, con degli sfigati…Per una questione di immagine e di credibilità, non mi serviva a niente frequentare gente modesta invece che i miliardari o i ricchi commercianti di abbigliamento esclusivo…”.

Si potrebbe definirlo un “armeggione” o un “traffichino”, cioè una persona abile nell’orientare situazioni e persone per il proprio interesse, che vuole ottenere, al contempo, ammirazione e affetto. Sembra il tipo che possiede una notevole capacità di persuasione.

Fa un larghissimo uso delle parole. Grande facilità verbale. Forse non è un caso se passa molto tempo al cellulare: “ho migliaia di contatti nel cellulare…tutti amici”, ripete, quasi per scusarsi, mentre risponde alle ripetute intrusioni telefoniche. Il suo sembra quasi un impulso ostinato a parlare, un impulso continuo a comunicare con gli altri per via orale (non resiste alla tentazione di rispondere varie volte al cellulare che terrà rigorosamente acceso e nonostante l’invito a spegnerlo durante i colloqui). Si potrebbe dire una personalità “orale-recettiva”, come si diceva un tempo (un “orale-appagato e ottimista”); aspetti “narcisistici con risvolti istrionici”, verosimilmente, potrebbero attagliarsi alla persona con un buon grado di approssimazione.

Uno che oscilla tra la credulità e l’ingenuità infantile e la scaltrezza e l’astuzia “dell’individuo a cui non la si fa”. Alterna la disponibilità tipica di un “prodigo-generoso” ad una buona dose di diffidenza e sfiducia: “… conosco lo schifo del mondo perché ci sono stato dentro personalmente… ma va bene così…_Cosa ci vuoi fare?…E poi sono abituato a nuotare nella merdaLa merda non puzza poi così tanto se ci vivi accanto tutti i giorni(un “narcisista filosofo”). – Questo sarà pure un mondo ingiusto…Ma io ci vivo benissimo…- (ride)

Dunque, un “furbo sì, sarcastico e provocante spesso, ma molto cauto, anche”, in definitiva. Infatti, si definisce un “ribelle, ma tranquillo e anche molto prudente”.

Si è sempre curato poco dell’autorità che implicitamente ritiene cattiva in generale, e quando si è mostrato ossequioso verso certi politici cui si è rivolto per certi affari (e ai quali rimane tutt’ora molto vicino), lo ha fatto perché aveva bisogno di loro e ne ha sfruttato “certe inclinazioni”.

Al colloquio si avverte un senso di straripamento, l’impressione di inesauribilità di chi vuole sommergerti con un fiume di parole.

Il suo discorso appare contraddittorio. Il linguaggio seppure suadente è molto più aggressivo (un’aggressività mal celata comunque) a prima vista di quanto sembrerebbe la sua personalità più profonda. La sua intenzione di sopraffarti, di farti sentire in soggezione o “insulso” non è neanche tanto velata. E a pensarci bene tutta la sua “strategia difensiva” nel corso dei colloqui si baserà fondamentalmente sul “tentativo” più o meno cosciente di portare la “relazione terapeutica” sul terreno della pura competizione reciproca, o meglio ancora, il suo sforzo si caratterizzerà per un bisogno spasmodico di piegare il setting al livello più prosaico di un ideale palcoscenico in cui si confrontano metaforicamente (si scontrano) due stili di vita: quello della “bella vita”, del godimento orgiastico, della sfrenatezza che il pz sostiene e pratica con orgoglio e quello scialbo, sciatto e insipido (o presunto tale dal pz), della vita dell’operatore.

Sussisterebbe nella sua psiche un’antinomia o persino una Scissione tra “grandiosità e mediocrità”. Esternamente si presenta come una persona gentile e non arrogante, in apparenza modesta, con tutta l’ambivalenza narcisistica che ciò sottintenderebbe. Nonostante la professione di umiltà, non si può fare a meno di avvertire l’ambizione (la compulsione, quasi) che gli altri riconoscano la sua magnificenza. Si atteggia a “modesto”, e afferma di non essere interessato alla gloria, ma è convinto che le sue idee siano vincenti (come pensa di aver dimostrato nel corso della sua vita di commerciante d’abiti) e prova un sottile piacere quando può dimostrare di aver ragione.

In apparenza, generoso e ospitale: “…gli amici possono chiamarmi a qualunque ora…sono al loro servizio…”. Gli piace incarnare il ruolo di quello che si occupa dell’alleviamento della sofferenza altrui: ama che gli altri si rivolgano a lui per risolvere i propri problemi: – …Se si può fare del bene a qualcuno perché no?…Preferisco essere io ad aiutare gli altri…Mi da più soddisfazione fare regali, e ne faccio tanti, mi da soddisfazione vederli felici…Non mi interessa ricevere i regali…mi mette in imbarazzo e non perché mi fa sentire obbligato…non so…preferisco così –. Subito mi viene in mente quel “tipo” che si dedica ad altre persone perché in tal modo può identificarsi inconsciamente con in loro appagamento. Dalla loro gratificazione trae la soddisfazione surrogatoria dei propri bisogni di dipendenza soprattutto se reputa il ricevere le attenzioni di qualcun altro vergognoso o, peggio, pericoloso. Sembrerebbe un atteggiamento “controdipendente” il suo, alla fine, che sembra contraddistinguere tendenzialmente il suo approccio all’esistenza. La “controdipendenza” sembra essere la classica la controparte compensatoria del tratto dipendente che riscontro nel pz. che in parte spiegherebbe il suo concetto delle (burrascose) relazioni interpersonali e che si lega alla difesa del Controllo onnipotente che utilizza massicciamente, mi sembra.

Col proprio atteggiamento “contro-dipendente” che vuole negare qualunque senso di dipendenza, finisce per apparire duro, insensibile e menefreghista (“un po’ stronzo”, come si dipinge lui stesso ridendo) ma è più verosimile che si tratti fondamentalmentedel classico “indurimento narcisistico” del Sé, la fortezza apparentemente inespugnabile dentro la quale si barrica colui che vuol nascondere un senso profondo di inadeguatezza umana o qualche aspetto della propria personalità potenzialmente poco tollerabile socialmente (riconosce che il proprio stile di vita “non è esattamente comune…e a qualcuno gli si accapona la pelle…ma ho sempre vissuto come mi pare…”, ripete con un certo astio).

Amore per il piacere e vantaggio personale pari sembrano. La sua affabilità e disponibilità sembrano rivolte al mascheramento del vantaggio personale e ricordano comunque una Formazione reattiva. Dove crede di poter trarre qualche profitto tende a farsi cortese e servizievole. Questa sua disposizione alla cordialità ipocrita la mette al servizio della strategia del bravo venditore: “essere gentili, ma non esageratamente per non dare l’impressione di falsitài clienti devono andarsene contenti, ma avendo comprato quello che gli vuoi vendere…, nessuno deve uscire dal negozio senza aver comprato qualcosa, se non c’è quello che cercano vendigli qualcos’altro, dagli l’impressione di aver acquistato proprio quello che cercavano”. Ha una visione fortemente commerciale del mondo. Lui e gli articoli in vendita sembrano un’unica cosa. Difficile distinguere la persona dallo “scaltro rappresentante di abbigliamento di lusso”.

Tutto il suo atteggiamento sembra funzionale a “piazzare il prodotto”. Ti parla ed è come se ti volesse vendere qualcosa (se stesso?). Parla volentieri e con molta nostalgia del suo passato di venditore di abbigliamento e di “ristrutturatore” di aziende decotte (negozi di abbigliamento di lusso sull’orlo del fallimento o dal fatturato insufficiente) quando faceva la “bella vita” (“denaro a fiumi, donne, auto, moto, viaggi e stravizi di ogni genere”). Parla di sé tendenzialmente al passato. Sembra esserci uno scollamento tra il modo in cui parla di sé (al passato) e quello che “è” nel qui ed ora. Il suo “sé” sembra essere rimasto abbarbicato al “venditore di abiti di lusso” di un tempo.

L’attività lavorativa attuale di “noleggio auto a lungo termine” non gli da le stesse soddisfazioni nemmeno economiche: oggi si considera quasi povero se si confronta con il passato e la malinconia lo prende al pensiero di “come si è ridotto”. Ha messo la sua “maestria-seduttività” al servizio di questa nuova attività, “riesco bene come sempre, vado alla grande”, ma i volumi di affari sono altri e non la considero davvero mia”.

Dice di non arrabbiarsi mai. Ed evita i litigi e i conflitti, in generale. Riferisce di non essere mai depresso, ma ammette di avere “una tendenza alla malinconia” (ha letto dei testi di psicologia per curiosità o si documenta su internet). Tuttavia, non è un tipo di persona che vive con la testa fra le nuvole e si considera “un uomo d’azione”.

La sua visione del mondo sembra dominata dalle Razionalizzazioni, e dietro questo suo “spudorato entusiasmo” sembra celarsi una profonda inquietudine, mi pare: così di tanto in tanto incontra il “senso di vergogna”, che pare evitare compulsivamente. Qualche volta affiorano amari ricordi dai quali sembra emergere un’immagine di sé spregevole e cattiva come quando rievoca il rapporto con il padre: parla del vecchio padre e del viaggio fatto con lui nella terra di origine, la Sicilia, appena qualche mese prima che morisse e si commuove fino alle lacrime: -…Se solo lo avessi fatto prima…se avessi passato più tempo con lui….E che ci voleva?…Invece ero sempre in giro a puttane o a pensare ai fatti miei…Sono proprio una merda certe volte…ammettiamolo… -.

Anche verso le amate figlie prova un sottile “senso di vergogna” per il timore di non essere stato un buon padre: – io le amo moltissimo, ma certe volte sento di essere niente. Ho paura di essermi costruito una vita solo per me, piena di cattive abitudini e di comodità…Sono un bastardo è vero,però adesso sono sistemate…hanno il loro bel libretto in banca e ne hanno per tutta la vita… -. Sembra crogiolarsi in questo suo struggimento. Come se in questa sua capacità di provare rimorso si annidasse l’ennesima prova della sua grandezza e bontà d’animo, e della sua “diversità superiore” (per la serie “sono un bastardo” ma per necessità, e sono pieno zeppo di amore per l’universo” non come quei “ricconi senza coglioni”. Si riferisce a tutti quei vip che ha frequentato per lavoro o divertimento o necessità).

Nonostante tutto, però, racconta che le figlie hanno con lui un rapporto splendido; con lui parlano di tutto e anche di sesso. È un tipo che si concede una grande libertà così come la concede agli altri, figlie comprese. Il suo slogan è “vivi e lascia vivere”: – …È normale che le mie figlie abbiano rapporti sessuali…sono fidanzate…Che ti aspetti?…Io non ne faccio una tragedia come fa la loro madre… non sono così ingenuo…Se uno a 17 anni non ha ancora scopato non deve essere tanto normale….Giusto? -.Con la loro madre invece, le figlie sono molto fredde perché lei stessa è fredda, e mi dispiace un po’ che con la madre non abbiano un gran feeling -.

Permissivo e auto-indulgente, il Super-Io non pare davvero essere l’istanza principale dalla quale si sono irradiate le trame principali della sua organizzazione di personalità. Quindi, difficilmente può provare un vero “senso di colpa”, secondo me. Il Super-Io del pz mi appare pur sempre arcaico o incompleto. Si può parlare di “senso di colpa” in senso lato forse, quel “senso di colpa” che lo prende quando sente di essere “uno che tendenzialmente è portato a preoccuparsi soltanto di se stesso” (e della tal cosa si rammarica molto), ma in termini più strettamente strutturali quello che sente il pz., in questo momento, sembrerebbe soprattutto un senso devastante di vergogna o di disgusto di sé (prerogativa narcisistica, verosimilmente, quindi più arcaica).

E poi “ad un tratto” arriva questa sorta di “inquietudine che si accompagna alla sensazione di non essere più accettabile ai propri occhi” e a quella degli altri. Si susseguono gli attacchi di panico. Le difese granitiche di un tempo sembrano sfaldarsi e comincia ad affiorare la rappresentazione di un uomo molto insicuro accompagnata però dalla “repulsione” per questa sensazione di spaccatura nella propria autostima; forse affiora la consapevolezza di aver indossato per troppo tempo una maschera e si sente disgustato e impotente allo stesso tempo davanti alla falsità di questo travestimento: -…sono entrato in un tunnel…avevo  paura…non mi piaccionon mi capisco, mi sentivo un fallito e non vedevo via d’uscita…-. Parla a tratti al passato, e nonostante l’utilizzo del tempo presente in certe espressioni denoti la concomitante presenza ancora del sentimento depressivo, perché l’ingresso in struttura sembra aver segnato uno iato e l’inizio di una nuova prospettiva, una speranza di futuro, intese, però, come presentimento della ricomparsa di quel vigore che gli permetterà di riconfermare l’immagine di uomo brillante e mondano di sempre; sembra riemergere di nuovo la forza di “indossare ancora quella maschera” senza vergogna alcuna, senza tanti timori e indecisioni. Senza tanti “scrupoli”, insomma? Quindi, non si rammarica tanto per la falsità della maschera, ma si angoscia per il timore di non avere più la forza di sostenerne il peso, eventualmente: – sono sempre stato uno forte e sicuro di me…Possibile che mi sia rincoglionito tutto in una volta?…Io non sono così…mi dispiace…! (si dispiace per chi? Crede forse di aver deluso qualcuno contraddicendo questa immagine di super-eroe che ha sempre diffuso all’esterno?).

Ecco, allora, che questa “diaclasi” prodottasi sulla crosta del suo carattere sembra ricomporsi immediatamente; il suo “narcisismo” non è totalmente sconfitto e quella vaga apertura della persona a riconoscere la debolezza della  propria autoimmagine (quel cedimento strutturale) si richiude prontamente e si riprende prontamente aggiungendo:  -…Sono sempre stato una persona molto efficiente…Anche a scuola me la cavavo sempre dando ad intendere di saperne sempre di più…Anche nel lavoro ho spacciato spesso un immagine di grande esperto e speravo che non si accorgessero del bluff…, ma se sono riuscito così bene nel mio campo qualche merito devo averlo…Ho sempre avuto il commercio nel sangue…il vendere ce l’ho nell’anima… Io la conosco la gente…so quello che vuole e non perché ho studiato sui libri, ma perché l’ho frequentata tutta la vita…I clienti che entrano in un negozio sono come i bambini…Non è che devi prenderli per il culo…non è proprio così, l’articolo è sempre di prima qualità intendiamoci…ma devi usare qualche accorgimento per incoraggiarli all’acquisto… E’ così che si fa…Non è proprio una questione di tirchieria… è solo che tutti, poveri e ricchi, devono giustificare bene a se stessi questo esborso di soldi…In fondo stanno sempre dando qualcosa di personale ad un altro…e nessuno si priva di qualcosa di proprio volentieri per darla agli altri… Qualcuno i soldi se li è pure sudati (ride sarcastico) e prima di scucire ci pensa 100 volte…Nessuno vuole dare un cazzo a nessuno…questa è la verità… –. Parla al plurale ma è di se stesso che sta parlando? Adesso, a parte l’ipotesi della bieca “proiezione” in atto, vorrei soffermarmi sulla tendenza di AM a voler fare di sé e della propria esperienza una “verità universale”. La pretesa di voler esprimere “il tutto” nominandone soltanto una parte (la propria esperienza).

Se inquadro le espressioni verbali utilizzate dal paziente nell’ambito più generale del caso in questione mi viene in mente una sorta di “sineddoche maniacale” o, meglio, una sineddoche “amplificata”, secondo una direzionalità dal basso verso l’alto. Ossia, le verbalizzazioni del pz denotano una verticalizzazione verso l’alto o direzionalità accresciuta, della connotazione o significato della propria esperienza personale (parziale fatalmente) che assurge a “verità universale” e sarebbero compatibili con un quadro più generale di ideazione “maniacale”. O meglio di ipertimia, che però non sfocia in questo caso fino a forme deliranti di ideazione paranoide, per così dire.

A questo aggiungiamo l’utilizzo di espressioni che comportano una dinamica “deteriorata”, in cui cioè i sememi utilizzati possiedono connotazioni peggiorative, degradate e sono sinonimi di autorimproveri e di sentimenti di vergogna e disgusto di sé come “Figlio ingrato, padre insulso, un po’ stronzo, rincoglionito, fallito, bastardo, inguaribile egoista, una merda, uno squallido puttaniere” che denoterebbero il passaggio ad uno stato di alterazione del tono dell’umore verso il basso, ma in una forma reattiva, per così dire: l’ansia, gli attacchi di panico sperimentati dal paziente, l’angoscia che gli impedisce di alzarsi persino dal letto, starebbero a testimoniare, verosimilmente, di un’oscillazione dell’umore, in quel momento, che però tende a stabilizzarsi ancora una volta verso l’alto. Ovvero il paziente sente che si sta liberando dalle proprie ubbie per ritornare finalmente ai suoi standard di percezione e sentimento della vita, quella tutta sua personale, ovviamente.

Poi si affretta a ribadire che non vuole, anzi, che non può rinunciare al suo stile di vita, ai “bagordi settimanali”: “…Ormai ho 60 anni, che vuoi cambiare?…”. Tutto ciò che vuole è riprendere il controllo di se stesso; non vuole essere condizionato dagli psicofarmaci e vuole riprendersi il controllo sulle droghe: “sono io che decido quando farmi, non le droghe”.

Adesso vuole ritornare a lavorare con lo stesso entusiasmo e forza di prima e non come adesso che “non riesco spesso nemmeno ad alzarmi dal letto…Non è una questione fisica…Mi sento a volte bloccato pur sapendo di essere in grado di muovermi…Non so se mi spiego…So di potermi muovere, ma ho paura di uscire…cioè non voglio…E’ come se volessi punirmi…non reagisco di proposito e poi mi arrabbio perché non mi do una mossa…ed è allora che mi scatta l’istinto di punirmi…Ma non penso alla morte o cose del genere…però mi viene da piangere al solo pensiero di dovermi alzare per andare al cesso… una fatica insopportabile…e mi odio per questo… Questa storia deve finire…!”. “E’ come quando ero piccolo…Mio padre mi portava al bar e mi comprava le paste con la crema…Poi mi chiedeva se ne volevo un’altra e io rispondevo no! Perché non volevo apparire un mangione…per una questione di buone maniere…Ma mi costava molto…poi me ne pentivo e quando ero da solo scoppiavo a piangere…Era come se mi opponessi a me stesso…Ma perché poi? Da allora però non ho più rinunciato a niente…Mi sono preso tutto quello che volevo e in culo tutto il resto…!

È come se chiedesse indirettamente al terapeuta, medico o psicologo che sia, soltanto di rilasciargli un certificato di sanità mentale per poter continuare ad andare per la sua strada e smetterla con questa “debolezza che non gli permette più di lavorare” o di fare il comodo suo (neanche fosse qualcuno che ha davvero bisogno di aiuto).

Non crede che rinuncerà alla cocaina o alle bevute o al sesso “sfrenato” tutte cose che gli servono, a suo dire, per “estraniarsi”, per reagire allo stress e anche per acquistare maggiore sicurezza. Lo stress di cui parla è quello, ad es., provocato dal dover rendere conto a quattro amanti contemporaneamente e senza sbagliarsi con i nomi: – …non mi ricordo nemmeno come si chiama la donna con cui sto in quel momento e per evitare gaffe,…perché non credo me lo perdonerebbero,…sono sempre donne e comunque gelose tra loro,…allora le chiamo tutte “cicci”…Lei mi capisce, vero? – Sorride ed è come se si appellasse la mia complicità: “in fondo veniamo tutti e due da famiglie semplici…solo che io ho fatto i soldi… -, (e ride, proprio di gusto, oggettivamente). Non che io lo abbia mai messo al corrente della mia classe di origine, ma lui da gran conoscitore della natura umana, quale crede di essere, presume di conoscermi come nessun altro, e sotto certi aspetti ci ha pure azzeccato (forse il mio modo di parlare o il mio approccio poco asimmetrico, per così dire, tradivano le mie origini? Sta di fatto che sembrava molto a suo agio mentre mi parlava della sua esistenza.

Sostanzialmente quello che si aspetta è di liberarsi dalla dipendenza da psicofarmaci prima di tutto. Tuttavia, non vuole smettere di “farsi”, ma desidera riprendere soltanto un maggiore controllo delle sostanze dalle quali non si considera dipendente per niente; ciò che vuole implicitamente è poter continuare a fare delle sostanze un “uso ludico”. Vuole sballarsi per non sentire il “dolore”, ma pretende di mantenere al contempo il controllo sullo sballo. C’è in lui un’aspirazione o pretesa, meglio, quasi “ascetica”. Si mette nelle condizioni di un fachiro: più che respingerlo il dolore, lo controlla. Ma non certo con le mortificazioni corporali si guadagna il rispetto del povero (quale lui stesso fu a suo tempo e con quell’aura di chi “si è fatto da solo”) e del ricco di cui sfrutta tutti i peggiori vizi e inclinazioni, ma si afferma con le armi sottili dell’ipocrisia, e con quelle più smaccate degli status symbol pacchiani e appellandosi al richiamo perverso degli additivi chimici e/o del denaro espedienti estremi che ti consentono di apparire ciò che non sei o ultimi baluardi per nascondere ciò che sei veramente (dipende dai punti di vista).

Se la permanenza in comunità avrà il successo che spera questo sarà l’ulteriore prova che non è un tossico e segnerà ancora una volta il suo trionfo sulla sostanza e sulla sventura più in generale.

Nel setting del colloquio così come in tutti i contesti della vita quotidiana sembra tendenzialmente portato a negare e ad esternalizzare i propri problemi nascondendosi contemporaneamente dietro una facciata normopatica di persona ben adattata seppure eccessiva: ad esempio, l’alcol o la cocaina o gli psicofarmaci non sono il segno di un problema più profondo, ma sono l’alcol, la cocaina o gli psicofarmaci di per sé semplicemente il “problema” di cui dice di volersi liberare a tutti i costi (della “dipendenza” vuole liberarsi non delle droghe: il ragionamento è sottile, ma dipinge bene forse la persona in preda ad un delirio di onnipotenza). Non si definisce nemmeno “dipendente”: il suo uso di alcol e cocaina (o viagra) lo giudica occasionale, a scopo ludico, tuttavia ammette che ultimamente “con la coca e col viagra ci ho dato dentro”.

C’è da chiedersi allora come mai nel corso del colloquio psicologico-anamnestico svolto con il sottoscritto, il pz abbia raccontato fatti della propria vita privata senza alcuna remora apparente esibendosi più volte anche in pianti molto commossi ed esibendo quindi un’immagine fragile di sé, apparentemente. Verosimilmente, da buon “narcisista” che vuol tenere fede alla propria immagine di ”uomo sicuro di sé” ci tiene a fare una buona impressione raccontando tutto come se non avesse alcun segreto (“io non voglio avere segreti per lei dottore”, ripete con tono confidenziale).

Dal suo punto di vista, probabilmente, una persona sicura di sé non dovrebbe avere nulla da nascondere perché in caso contrario mostrerebbe di essere inadeguata e quindi di avere dei problemi.

Il suo sembra l’atteggiamento tipico di chi cerca un’immediata fuga nella salute.

Più volte durante il colloquio mi chiede bonariamente, ma non senza una punta di sarcasmo se certe manifestazioni non siano per caso patologiche: – …Mi piace la fica…che ci posso fare?…E’ forse una malattia?…Al mio posto lei che farebbe?…  Siamo uomini o no?…Non facciamo i moralisti! E risuona come una chiamata di “correità” diretta a rassicurare se stesso più che a convincere l’altro.

In secondo luogo c’è forse il divertimento sottile che sta proprio nello “scioccare” il terapeuta (epater le borgois, sconvolgere il terapeuta in veste di moralista bacchettone): – Se la cosa la imbarazza posso anche smettere –, dice il pz con un ghigno dipinto sul volto mentre mi racconta con soddisfazione i particolari “scabrosi” di certe sue prestazioni erotiche corredate da ricche descrizioni di alcune posizioni “postribolari”.

Per una persona che “le ha viste tutte e le ha passate tutte” dare “scandalo” o suscitare turbamento intorno alle proprie “storie” può dargli quella “eccitazione”, quel “perverso” piacere che le sostanze o il sesso non gli danno più, forse. L’ultimo trastullo per colui che ormai è sazio di tutto, e niente può più impressionarlo, né “sedurlo”. Un senso di superiorità pare alimentato anche dalla convinzione che la “sofferenza” del passato gli abbia tolto qualunque illusione sulla vita e sia quindi diventato più saggio di tanti altri che nella vita non hanno sofferto affatto. Per la verità, la “sofferenza” di cui parla si riferisce sostanzialmente all’aver maturato, attraverso la frequentazione di ambienti molto chic, l’idea  che il mondo è fondamentalmente spietato, futile e sporco.

Dichiara apertamente di non credere molto “nella psicologia o altre cose del genere” (in realtà le considera “tutte delle stronzate”, come si lascerà scappare in seguito), e si affida (e confida) maggiormente nell’aiuto farmacologico (ricorre da sempre al farmaco in forma di automedicazione). Anche la sua ferma convinzione nell’effetto “salvifico” assoluto del farmaco (in farmacia“sbava” come un bambino – o un adulto – di fronte al bancone di una pasticceria) potrebbe rispecchiare la convinzione tendenziale del paziente che per sentirsi meglio ci sia il bisogno di una qualche “autorità superiore” e dei suoi poteri magici (un essere onnipotente “si sottomette” soltanto a qualcuno o qualcosa altrettanto onnipotente, se non di più). Il fatto di potersi convincere che esiste a questo mondo un “rimedio alla sua naturale onnipotenza” lo rassicura, in fondo. Lui rispetta molto qualcuno o qualcosa che ha la forza di contenerne lo straripamento. Quello che conta è che i farmaci gli permettono di essere di nuovo “onnipotente”. Soltanto a queste condizioni è disposto a tollerare qualcuno o qualcosa più potente di lui. Difatti, intende sottoporsi alla cura psicofarmacologica soltanto per il tempo necessario a riprendere il “controllo della situazione…Altrimenti col cazzo che stavo qui”.  Dopo vuole sentirsi libero di rivolgersi al farmaco quando e come vuole. Quindi, un altro “onnipotente” è sì accettabile, ma a “tempo determinato”. Ne “deve restare soltanto uno”, alla fine! Siamo in pieno delirio narcisistico?

E tuttavia, si dice disponibile ad accettare qualsiasi tipo di aiuto (“a 60 anni accetto tutto”) ed è desideroso di raccontare la sua storia e si dice “ben disposto a ricevere consigli”: ”…non ho mai fatto colloqui di questo genere…è un’esperienza nuova”, ripete entusiasta ed è come se si preparasse ad una nuova sfida. Dunque, questo stare al gioco e “sforzarsi di essere un bravo paziente” comunque, viste le premesse, non sembra connotare la manipolazione tipica del soggetto antisociale che vede la terapia come un gioco competitivo da non prendere troppo sul serio; in questo caso sembra di assistere più ad una modalità tutta “narcisistica” di “disinnescare” il terapeuta con lo scopo di sentirsi privatamente superiore o uguale e con la situazione sotto controllo: l’atteggiamento cameratesco mostrato durante il colloquio sembra quello di uno che desidera mettersi sullo stesso piano del terapeuta per tentare di negare ancora la propria debolezza, della serie “tu terapeuta non sei tanto più sano di me…siamo tutti sulla stessa barca…Siamo tutti uomini in fondo”, e manca soltanto che ti dia una pacca d’incoraggiamento sulle spalle. Allora, da un lato è “scettico” sul valore della terapia psicologica, dall’altro con l’atteggiamento di superiorità “tenta di vincere la vergogna” di doversi sottoporre comunque ad una terapia: entrare in una comunità di riabilitazione diventa di per sé un’ammissione di sconfitta. È anche proprio per nascondere questo duplice atteggiamento, forse, che tenta di presentarsi come un paziente ligio, coscienzioso e cooperativo, pronto a seguire di buon grado i suggerimenti terapeutici (ancora una Formazione reattiva?). Quindi, non mi pare che della manipolazione (di per sé consapevole e calcolata) dell’antisociale si tratti, ma di Capovolgimento, eventualmente, una difesa che gli rende possibile spostare ancora una volta le dimensioni del potere all’interno dell’interazione (terapeutica, in questo caso) in modo da trovarsi nel ruolo di chi prende l’iniziativa invece che in quello di chi subisce (ancora la trasformazione della passività in attività).

Nonostante l’abitudine ad uno stile di vita improntato alla futilità lo abbia messo al riparo tendenzialmente dai sentimenti forti (“l’amicizia”, è l’unica cosa a cui tiene veramente), sente il bisogno d’amore, anzi di ciò che chiama “innamoramento”: – L’innamoramento è la parte più bella del rapporto con una donna ()…è una sensazione cui non vorrei mai rinunciare…Il gioco…mi piace…ti fa sentire importante ammettiamolo…ti senti un cazzo e mezzo (ride)…insomma ti senti un dio in terra…ma dura poco…Poi tutto finisce…gli interessi si fanno avanti…Forse è per questo che vado con tante donne…Forse è soltanto quel brivido che cerco…Non penso che esista un amore capace di soddisfarmi….Non esiste l’amore– (ancora l’esperienza personale che diventa universale). Questa visione bucolica, questa nostalgia vagheggiata quasi per un sentimento amoroso puro sembra ancora una volta scontrarsi con il successivo seppure “commosso” ricordo, tanto che gli occhi accennano a lacrimare, dei primi “filarini” adolescenziali in cui il quadro bucolico si trasfigura prontamente in un più “rurale” approccio alle relazioni sentimentali “quando pensavi solo a fottere in campagna e basta ed erano ficcate (sicilianismo triviale che sta per – scopate -) e pompini…senza pensieri…”.

Nonostante sia amichevole e sollecito, dopo la fine del matrimonio ha evitato di impegnarsi in modo vincolante e tendenzialmente non vuole essere infastidito.

Tipo gioioso e spensierato. Mi appare come uno “sbruffone dissoluto”, una scimmiottatura “dell’ipersessualità”. Si atteggia a classico playboy casinaro, allegro e simpatico, un compagnone, la classica “simpatica canaglia” cui si perdona tutto, ma salta subito agli occhi che non è nemmeno fisicamente prestante; anzi non si potrebbe definirlo esattamente un “bell’uomo”. Più che a Sean Connery ti viene da pensare a Danny De Vito l’attore italo americano, ma con molti capelli in più che tiene tra l’altro cortissimi, a spazzola, stile marine o porcospino. E infatti mi balena subito in testa lo scorcio di un film con questo attore protagonista insieme ad Arnold S. “I Gemelli”.

Ovviamente, De Vito interpreta il ruolo del gemello venuto male e molto casinista, un faccendiere, però simpatico, cui si  perdona tutto, una sorta di Alberto Sordi americano. Ad un certo punto un poliziotto dopo le proteste e giustificazioni improbabili che non incantano l’ufficiale gli fa una multa perché ha parcheggiato l’auto in un posteggio riservato ai disabili e lui in tutta risposta pronuncia: -…E che, le sembro normale io?…”. Finita l’immersione nel mio repertorio di alta cultura cinematografica, la prima espressione che colgo del pz. è: “…l’altra sera ho preso un viagra da 100 (?)…mi è venuto duro per 48 ore…avevo le palle dure come il marmo…mi sono spaventato…ma ero fatto di cocaina…in quei momenti non capisci un cazzo…per non parlare della fatica…Cazzo mi riducevo che pisciavo sangue…Ma certe fiche dottore mio…”.

Non è escluso che questa esuberanza e vitalità, la spacconeria, la sicurezza  e la perizia con cui si è mosso in quella giungla che è il mondo della moda siano state una forma di compensazione alla propria scarsa fisicità, e condizione sociale (le due cose si combinano, forse) una reazione di difesa supercompensatrice di un complesso di inferiorità (Adler docet?). Non soddisfacendo affatto i canoni dello stereotipo “dell’uomo playboy bello e ricco” reagisce facendo di necessità virtù (una sorta di Briatore, ma meno famoso e meno alto, ma che “si è fatto pur sempre da solo”). La scarsa prestanza fisica e le “umili” origini costituiscono la molla che gli permette di riscattarsi e con la quale da inizio alla sua scalata personale ad un mondo che non lo ha certo favorito socialmente (proviene da una famiglia modesta emigrata al nord negli anni ’60, originaria di un paesino della Sicilia costiera). Insomma, un “uomo di carattere” si trasforma in un “caratteriale”, un “caratteriale esagitato” che vuole farla pagare al mondo intero e alle sue donne.

******

Le donne sono sempre state il suo “chiodo fisso”, e “…se hai il portafoglio gonfio te la danno senza tante smorfie…”, ma tiene a precisare che non si è mai dato alle “orgie o allo scambismo”: “sono un tipo convenzionale io… un conformista in queste cose…un tipo normale…tutto chiesa e casino (ride)…Insomma non si sa mai chi ti può capitare…”, e si sbellica dalle risate. Ammette però che si concede di tanto in tanto di “scopare con due donne contemporaneamente“…ma non è un’abitudine…ma questo è abbastanza normale….sa quando si è strafatti… Una volta gli leccai pure la fica…ma erano talmente belle…lei mi capisce… ero pure strafatto però…normalmente sono gli altri a finirmi tra le gambe…(ride di gusto) e poi volevo provare qualcosa di nuovo…ma era più che altro per mettermi alla prova…sono il tipo da uno a uno, io…magari me la fotto tre volte al giorno…questo sì…”, ripete sghignazzando.

Sembra considerare le donne alla stregua di “strumenti” che rendono piacevole la vita. Le donne le trova tendenzialmente fredde e manipolatrici. Il partner femminile è trattato tendenzialmente più come un bene di proprietà a volte di qualità altre volte di scarso valore (delle “macchine succhia-soldi”). Le uniche donne che venera sono le figlie: si commuove citandole e, tuttavia, aggiunge, “non disdegnano neanche loro di certo soldi e bei regali”. E poi la ex moglie (la venera un po’ meno, in verità) con la quale nonostante tutto è rimasto in buoni rapporti soprattutto per amore delle figlie; comunque sia, “l’Altro” femminile è visto tendenzialmente come un oggetto da usare senza molta considerazione eventualmente per i suoi sentimenti. Si preoccupa però che le donne che frequenta siano “di poche pretese” nel senso che sono normalmente donne che non si aspettano sentimenti profondi o relazioni a lungo termine. Sta attento a che “nessuno si faccia male”. C’è una sorta di consenso tacito allo sfruttamento reciproco, per così dire. Ed è per questo che non prova rimorsi, probabilmente: -…quando mi stanco di una non mi faccio scrupoli come una volta…ormai alla mia età…Gli dico di andare fuori dalle balle…il rubinetto (dei soldi) è chiuso…Oppure non ci vado più e se mi chiamano per chiedermi conto e ragione non rispondo e se sono intelligenti abbastanza lo capiscono e non mi scocciano più… Lei dottore può immaginare cosa costi avere 3 o 4 donne contemporaneamente…una per fare la lavatrice…una per scopare…una per lavare i piatti…(ride a crepapelle) -.

E tuttavia non esclude che si possa incontrare prima o poi una persona con la quale valga la pena di “passare la vita” (parla in terza persona, in senso generale, come possibilità astratta buona per il resto dell’umanità, non certo per lui). Sembra mantenersi una scissione tra questo anelito ad oggetti d’amore fantasticati e “sublimi” che affiora alla coscienza di tanto in tanto e la dipendenza da Altri reali, raccontati anche in vesti piuttosto squallide.

Queste donne non sembrano rivestire il ruolo di oggetti sessuali propriamente, ma quello di oggetti “anaclitici”. In questo affannarsi a cambiare 3 o 4 donne per volta come fossero “ruote di scorta” si può intravedere il ritiro dall’investimento emotivo sugli altri a favore di un investimento emotivo su di sé? Una sorta di regressione difensiva nel narcisismo secondario (ripiegamento sull’Io della libido oggettuale per paura di essere deluso o abbandonato, forse). E alla fine questo sottofondo di malinconia è sempre lì. La vita godereccia, lo sballo perpetuo non riescono a reprimere questo senso di smarrimento che lo pervade incessantemente e nonostante “se la goda”, come afferma con tracotanza (ogni volta che dice “io me la godo” sembra voglia scongiurare il pericolo che qualcuno possa provare pietà per lui. Insomma, io non sono malato “…io me la godo…cosa crede…?).

Nonostante questa immagine di “insensibile-spensierato” che offre al mondo, si lascia intenerire facilmente. Durante il colloquio scoppierà in lacrime più volte ricordando la morte di un suo caro amico e quella dei figli di altri suoi due amici carissimi. Si commuove quando parla delle figlie e del padre morto qualche anno fa.

È molto attratto dalla bellezza e da quella fisica in particolare. Lo attrae tutto ciò che è “bello”; l’ammirazione della perfezione fisica è il risultato quasi di una “deformazione professionale”, riporta. L’aver vissuto nel mondo della moda e l’essere stato lui stesso un commerciante di abiti di lusso lo hanno abituato ad apprezzare certi particolari: – dovevo per forza averci occhio per certi dettagli…visto il mestiere che facevo… Questo però mi ha portato anche all’abitudine di valutare gli altri per l’aspetto esteriore…li guardo in superficie…Ancora oggi quando vedo una bella donna, ma anche un uomo, non posso fare a meno di chiedermi se porta una 42 o una 44…li seziono come fossero quarti di bue…e questo mi dispiace -.

Si lascia commuovere dall’ammirazione per ciò che è “bello”. Le statue della Grecia antica lo affascinano perché “lì si può vedere la perfezione fisica”. Non ne fa una questione culturale (“sono tutto tranne che un’intellettuale”, dice) anzi la cultura lo annoia: “non ho mai avuto tempo per queste cose, però so apprezzare la bellezza…mi serviva per lavorare”. Probabilmente la vicinanza con la “grandezza” lo fa sentire a sua volta “grande”. Il “Canone di Policleto” appaga il suo senso di grandiosità, e in aggiunta anche la sua “pretenziosità” malcelata. Aggiunge però che c’è stato un tempo in cui “si divertiva” a riprodurre certi quadri famosi, ma perché “non avevo un cazzo da fare” si affretta a commentare, quasi tema che questo apparente cedimento alla cultura possa rivelare un aspetto fragile della sua persona.

******

Sente il “ritiro in questo convento” (la comunità dove è ricoverato) come una sfida, una prova: -…se riesco a sopravvivere da solo per 15 giorni qui dentro e senza bere e senza donne o senza tirare di coca, allora posso sopravvivere a tutto (ride di gusto) -.

Questo impeto, l’iperattività e l’allegria godereccia sembrano le espressioni di offuscamento di una persona con disposizione moderatamente “ipomaniaca”.

Seppure: racconta di non aver mai avuto l’impulso irrefrenabile all’acquisto di oggetti neanche nei momenti di “angoscia”, anche se ammette che “…piuttosto che piangere per i miei guai preferisco fare regali…mi aiuta a reagire alla malinconia…”. E aggiunge: -…E’ vero! Spendevo e spandevo per un sacco di cazzate…scialacquavo i soldi…Cambiavo la moto ogni sei mesi…Ancora oggi mi piace dare i soldi agli amici che me li chiedono…Spendo tanto per le donne…sapesse dottore… e mi piace lasciare grosse mance…Una volta mettevo 500 euro nel decolté di una donna soltanto perché era bellissima (lo fa spesso, pare anche oggi ma utilizzando tagli da 100, la crisi si fa sentire anche in tal senso)…E i loro accompagnatori si incazzavano come bestie…qualche volta ci siamo pure pestati, ma ero più giovane…Si immaginavano che uno piccolo non picchiasse così duro…Ovviamente sono puttanoni di alto bordo, non lo faccio mica con le donne normali…Spendo anche molto da un anno per la cocaina…Una volta me la offrivano…frequentando certi ambienti si sa…Ma non è più come una volta…Però i soldi li ho sempre avuti…Non sono mica matto che mi metto a spendere senza avere i soldi…I soldi non mi sono mai mancati e soddisfavo ogni capriccio mio e di quelli che avevo intorno, donne soprattuto…Oggi ci devo andare piano…, ma non sono uno attaccato al denaro…I soldi servono per spenderli…mi piace godermela…Non morirò ricco, ma lascerò persone ricche…-.

*******

 Il rischio che possa cadere in depressione una volta sprovvisto degli abituali appigli è sempre alle porte: -…devo fare sempre qualcosa, programmare, stare in moto, vedere gente…anche se mi piace di tanto in tanto starmene da solo a casa per conto mio a vedere la tv e bevendo un bicchiere o facendomi una canna magari…ma dura poco… -.

Non è da sottovalutare nemmeno l’idea che questa “rottura” si sia verificata proprio in una fase precoce della sua senescenza. Insisterà molto durante la narrazione sul fatto di essere libero da tante illusioni visto che ha raggiunto ormai la bella età di 60 anni (in realtà ne ha quasi 57). Questo perseverare sulla “tarda età” ormai acquisita non sembra configurarsi come la rassegnazione alla fragilità della vecchiaia di un uomo depresso, ma assomiglia di più al vezzo tipico di uno che, al contrario, vuole sottolineare con un certo orgoglio di “funzionare” ancora piuttosto bene e nonostante l’età che avanza. Tuttavia, è verosimile che lo “spettro” della senilità che ad una certa età comincia ad alitare sul collo di tutti gli uomini, su di lui possa agire come un uragano in tempesta: uno che nella vita “non si è mai piegato” e che “ora non riesce nemmeno ad alzarsi dal letto”. Uno che ha sempre legato la propria immagine alla prestazione nel sesso, nel lavoro, nello sport. Un soggetto con forti legami sociali e ritenuto molto brillante, che ha girato il mondo, con una reputazione di persona ipernormale, sempre attivo, che ha conosciuto grandi successi, ma anche ferite narcisistiche importanti: piccoli e grandi traumi come la morte del padre e quella di vari amici cari o dei loro giovani figli, il divorzio, qualche insuccesso professionale, perdite finanziarie; tutti eventi che accumulatisi nel tempo stanno forse rendendo più attivo il vissuto affettivo angosciante della senescenza incipiente che nemmeno lo sballo della cocaina o del viagra o degli psicofarmaci o delle donne riescono a fronteggiare efficacemente come un tempo.

La sua sofferenza appare diffusa, non perfettamente cosciente, materializzata dalle preoccupazioni degli altri più che del soggetto stesso (sono gli amici che gli hanno consigliato di rivolgersi ad un esperto perché si erano accorti che “non ci stava più con la testa” ). La sua vita sessuale stessa con questo ricorso massiccio, compulsivo, quasi, ad “esaltatori chimici” (“per aumentare la sicurezza”, riferisce il pz) sembra essere regredita nel suo stadio evolutivo ad una fase di latenza, quella dei bambini non ancora giunti alla pubertà che non sanno ancora utilizzare la sessualità come mezzo per relazionarsi con gli altri. Questo “sovraccarico pulsionale” sembra sovrastare tutte le difese messe in atto fino ad oggi e l’angoscia acuta è emersa ancora sotto forma di autorimproveri e di sentimenti di vergogna e disgusto di sé?

Ci lasciamo con il proposito reciproco di “chiacchierare” ancora (i colloqui non sono obbligatori): – Lei, dottore, è simpatico…non sembra nemmeno un dottore (per lui, tutti i “dottori” per forza sono molto bigotti, ma non so ancora se interpretarlo come un complimento). E ancora: -…Parlare con lei è piacevole…Mi lasci il suo numero di telefono…mi piacerebbe frequentarla fuori di qui…la faccio entrare in un giro interessante (ammicca)…Ha anche una figura elegante…Mi dica un po’! Porta una 46 o una 48? Stretta di mano e risatona finale!

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Commenti su "“Questo sarà pure un mondo ingiusto… ma io ci vivo benissimo…!”"

  1. non riesco a leggere … non riesco a ‘sentire’ MA, eppure sono decenni che ascolto persone matte, forse le ascolto in modo strano e le racconto a me stessa e me le porto dentro in altro modo…mah

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  2. Se Guest vuole dire che AM non è “matto” concordo completamente. Anche secondo me non è esattamente quello che si dice un “matto” se con tale definizione ci si vuol riferire ad una persona che ha perso le coordinate spazio-tempo, con deliri e allucinazioni a tutto spiano che non ha una vita socializzata e non è capace di lavorare o di badare a se stesso in qualsiasi modo e non è capace di vivere una “normale” sessualità, ecc. Come lo si potrebbe definire allora? Uno della serie “anche i ricchi piangono?”. In comunità come è noto (almeno in certe tipologie di comunità) si presentano persone con vari gradi di normalità, per così dire. Si potrebbe appioppargli una di quelle solite etichette anguste, ma che lasciano aperte varie ipotesi del tipo “affetto da disturbo di personalità Nas”: comodo soprattutto quando non ci abbiamo capito granché e non riusciamo proprio a classificarla in qualche modo una persona. Magari trattasi davvero soltanto di una persona con uno stile di vita troppo lontano dagli angusti limiti in cui è barricato il “curante bigotto”. E nello sforzo di non apparire nella veste di piccolo borghese bacchettone forse sono stato troppo indulgente verso i suoi “stravizi” e anche per celare a tratti una certa invidia. Mah! Nello sforzo di non ergermi a giudice della sua “dissolutezza” devo aver dimenticato che mi trovavo di fronte prima di tutto una persona comunque sofferente.
    Eppure è la sua sofferenza che mi sono sforzato di comprendere (almeno, mi pare) al di là dell’aspetto puramente moralistico e delle etichette classificatorie. Mi incuriosiva l’immagine di quest’uomo che si gode tutto questo “ben di dio” in terra e che alla fine sviluppa attacchi di panico, non riesce più ad alzarsi dal letto gli viene l’angoscia al solo pensiero di dover andare al gabinetto, “esce fuori di testa”. Si potrebbe dire che l’insuccesso finanziario più recente lo abbia fatto crollare o che la cocaina gli ha bruciato gli ultimi neuroni ancora funzionanti. Ma perché uno che se la gode così tanto finisce per stare tanto male al punto da aver bisogno di un ricovero in comunità? Un ambiente tra l’altro così diverso da quelli mondani normalmente da lui frequentati? Non c’è stato molto tempo per approfondire perché AM dopo qualche giorno sentì di aver ritrovato l’ “equilibrio” e fu dimesso. “Curare” una persona siffatta significa inevitabilmente finire per esprimere un giudizio sul suo stile di vita? Forse! Voglio dire che provare a “curarlo” può voler dire mettere inevitabilmente in discussione i suoi valori e la sua vita tutta che non sono per forza sbagliati o per lo meno lo sarebbero secondo certi nostri parametri. E AM non si sogna nemmeno di rinunciare a certi “valori”. Anzi se si è ritrovato in comunità è proprio perché ti sta chiedendo di non cambiare. Sente che c’è un cambiamento in atto e vuole fermarlo con tutto se stesso. La comunità può servire anche a questo tipo di percorso “a ritroso”, per così dire. E lo dico senza troppo entusiasmo. Insomma, in certi casi la cura finisce inesorabilmente per sconfinare nell’area più incerta e scivolosa del giudizio morale. A quel punto è meglio fermarsi, forse, e aspettare semplicemente che la persona abbia riacquistato in comunità e “grazie alla comunità” il sospirato “controllo”, finalmente. De Martis parlava di stendere un ponte attraverso il quale curante e paziente possano incontrarsi. Ma certe volte l’unico ponte che possiamo stendere sembra essere soltanto quello che ci immette nel territorio dell’Altro, ma come “osservatori partecipanti” e senza intervenire smaccatamente sulle sue dinamiche interne o esterne se non con qualche ansiolitico disintossicante eventualmente. Questo non significa che per conquistare la fiducia del pz e per stabilire l’empatia bisogna per qualche mese partecipare alle attività prevalenti del pz. e mimetizzarsi nel suo ambiente. Vista la vita che conduceva AM la tentazione di dargli il numero di cellulare come da lui richiesto mi è balenata per una frazione di secondo, per impregnarmi temporaneamente dei modi di fare suoi e del suo ambiente, ma solo a scopo di studio e di ricerca, si capisce. Adesso a parte le battute se è vero che in comunità non c’è il tempo (visto il tempo medio di permanenza di certi pazienti) e nemmeno trattasi del contesto più opportuno secondo alcuni per imbastire un certo tipo di lavoro (ma su questo non concordo totalmente), è anche vero, secondo me, che non ci si può nemmeno limitare ad un colloquio superficiale col pz. incentrato magari su questionari strutturati o raccogliere attraverso una fredda intervista crude informazioni anamnestiche.
    Mi è venuta in mente l’osservazione partecipante per quella sorta di persistente passaggio mentale che ho vissuto tra il mio mondo di appartenenza e quello del pz. che stavo “studiando”. Ero tutto preso dall’intento di considerare con adeguata imparzialità l’esperienza che stavo condividendo con un appartenente ad una “cultura” e uno stile di vita così diversi dai miei. E che tuttavia non giudicavo necessariamente folli o “malati”. Non in questo caso. Non completamente, almeno. Non so cosa ne pensate sul punto.

    Rispondi
  3. a volte il modo di esprimersi confonde… forse è solo questo… ma la mia preoccupazione è non confondere altri perchè appunto pensino di poter fare ponti, se pure eccezionalmente fragili e difficili, e non di attorniarsi di riflessioni parole venute dall’altro per loro stessi.
    ma sicuramente mi sbaglio buon lavoro Roberta

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