Il 29 marzo ho assistito alla presentazione del film: ”La via di casa”, realizzato dalla Cooperativa Eureka 1, con la regia di Alex Stazzi. In questo film, veniva narrata la giornata-tipo di un gruppo di quattro utenti disabili che, insieme a due assistenti che li aiutano, vivono in una casa.
Il film è asciutto e significativo ad un tempo. Non si perde in descrizioni pedisseque, ma punta a raccontare schiettamente la vita e, forse, soprattutto, le aspirazioni ad una vita sempre più autonoma, nei limiti del possibile, da parte dei quattro pazienti con diagnosi di autismo che, in prova, per una settimana al mese, abitano in questa casa, come detto con l’aiuto di due assistenti.
Ognuno seguita a fare la sua vita, quella che in genere fa partendo da casa sua, con l’aiuto dei genitori e degli altri familiari, nonché delle istituzioni sanitarie e sociali, in questo caso molto vicine.
Sono stato chiamato a moderare il dibattito nella Sala Consiliare del 3° Municipio di Roma, che conta più di 200.000 abitanti, il più grosso Municipio di Roma, situato in una zona che dall’area periferica a ridosso del Centro della città, dove inizia, si spinge poi fino ed oltre il Raccordo Anulare. Una città, nella Città più grande. In questo Municipio, un lungo lavoro di preparazione, condotto tenacemente dalle Istituzioni, ha permesso di giungere a questo miracolo.
La casa è stata assegnata al 3° Municipio dal Ministero dell’Interno, dopo averlo sottratto alla criminalità organizzata. Il 3° Municipio, nella persona dell’Assessore alle Politiche Sociali, Maria Romano, lo ha assegnato al Servizio Disabili Adulti e l’assistente sociale del 3° Municipio, Giulia Ciardo ha avuto l’idea che fosse necessario non soltanto sostenere i pazienti e tutto il gruppo di operatori che già lavora con loro, ma anche le loro famiglie in questa non facile sperimentazione.
Così si è giunti alla decisione di girare questo film e che la sua visione condivisa potesse costituire l’occasione per aprire un dibattito con i ragazzi, presenti alla proiezione, visto che ne sono gli attori principali, con le loro famiglie, con gli operatori e i politici.
In una situazione come questa, infatti, tutti sono chiamati, da un lato a capire meglio e, dall’altro, a mettere in discussione quello che fanno. In questa situazione nuova, si tratta di chiedersi se tutto quello che è stato fatto fino ad oggi contribuirà all’evoluzione della situazione nuova o, viceversa, se può rischiare di essere controproducente.
Che cosa succede quando un paziente con diagnosi di autismo dice che vorrebbe vivere in una casa sua, che gli piacerebbe spiccare il volo?
I familiari, che fino ad un momento prima lo avevano considerato incapace di uno sviluppo vero e proprio, sono in grado di discernere se le richieste di maggiore autonomia, effettuate in questa sperimentazione, sono percorribili oppure no?
Sanno riuscire a rendersi conto che loro provengono da una situazione in cui richieste di crescita non c’erano state, da parte dei loro figli e che loro si erano dovuti arrendere al fatto che non ci fossero?
Potremmo dire che, seppure a malincuore, si erano abituati al fatto che non si fosse manifestata una vera aspirazione alla crescita da parte dei figli ed ora che, viceversa, i figli gliela rivolgono, loro che cosa hanno intenzione di fare?
I genitori hanno lottato per anni allo scopo che fosse riconosciuto il diritto ad una vita degna di essere vissuta da parte dei loro figli ed ora questi ragazzi chiedono di più. Anche i genitori sono chiamati a cambiare, a imparare a riconoscere dove è giusto che i figli vengano rallentati o fermati e dove, invece, è la prudenza, la voglia di non rischiare che prende il sopravvento e loro finiscono per fermarli impropriamente.
Io penso che sia molto difficile per un genitore di un figlio autistico rendersi conto che, per aiutare il figlio a crescere, non si tratti di fare sempre di più ma, forse, di fare di meno e di lasciare che la volontà, lai curiosità del figlio prendano il sopravvento.
Nel dibattito, dopo la proiezione, si è cominciato timidamente a parlare di questo, che era stato intuito dalla assistente sociale come un’area problematica che avrebbe potuto fare mandare in fumo parte degli sforzi fatti, in primis, dagli stessi genitori.
Sono emersi temi di grande soddisfazione ma anche di rammarico per la prudenza tenuta in passato da parte di alcuni genitori rispetto al modo in cui era stato affrontato uno degli aspetti più significativi legati alla propria emancipazione per quanto riguarda i ragazzi: il riconoscimento e la gestione del desiderio.
Nel dibattito i genitori, di cui alcuni avevano già partecipato al film, sostenendo un’intervista corale, hanno iniziato a confrontarsi a parole con le problematiche su accennate. Si tratterà di capire come e quanto sarà possibile passare dal dire al fare o, meglio, al fare di meno.
Queste sono esperienze da divulgare il più possibile per i pazienti psichiatrici ed interrompere il peregrinare tra cliniche, Spdc, comunità e poi ricominciare….