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Psicologia junghiana: principi fondamentali e applicazioni

La psicologia junghiana e la psicoterapia da essa derivata sono figlie di un approccio che si fonda sui principi della disciplina analitica. Come suggerisce il nome stesso, essa trae origine dalle ricerche del celebre medico e analista svizzero, Carl Gustav Jung. Questi è stato il fondatore del metodo e il primo a fare uso dell’approccio che porta il suo nome. Com’è noto, Jung è stato allievo di Sigmund Freud e ha riconosciuto la validità delle teorie del suo maestro. Non si è però limitato a questo. Nel corso del tempo, infatti, ha perfezionato, amplificato e rivisto le teorie del suo mentore. Lo ha fatto sperimentando i risultati dei suoi studi, molto innovativi per l’epoca (siamo agli inizi del ‘900) nell’esperienza diretta con il paziente. La ricerca di Jung si caratterizza per essere più pratica di quella di Freud, che è stato uno psicologo molto legato alla teoria della disciplina.

Possiamo definire la psicologia junghiana come una dottrina psicologica e un metodo di indagine del profondo.

Le fondamenta teoriche della psicologia junghiana

Psicologia junghiana: un paziente sul lettino e una terapista che scrive
La psicologia junghiana è sia una dottrina psicologica sia un metodo di indagine del profondo

La psicologia junghiana considera l’intero funzionamento psichico. Essa dedica particolare attenzione alla storia dell’individuo, al periodo storico che sta vivendo e alla sua storia generazionale. In ogni essere umano è presente, secondo gli analisti junghiani, una personale energia psichica. Questa costituisce un vero e proprio slancio vitale, capace di spingere l’individuo verso la propria crescita e realizzazione. Il termine specifico utilizzato dalla disciplina è quello di individuazione del sé. La psicologia junghiana e la terapia connessa si interessano delle dinamiche inconsce alla base del sintomo, senza concentrarsi su esso. Si desiderano affrontare i conflitti interni, o interpersonali, che lo hanno generato. Il percorso terapeutico parte da un malessere esistenziale, considerato come un cammino verso la scoperta di complessi, ovvero modelli  di comportamento ricorrenti negli esseri umani.

Altri aspetti da considerare sono i cosiddetti tratti d’ombra, ovvero difetti non ancora accettabili dal momento che la psiche del soggetto non ha le forze per realizzarli ed elaborarli. Riuscirà a farlo, ma soltanto dopo uno strutturato percorso di analisi. Non vanno poi trascurati gli elementi della propria anima, intesa come insieme di sentimenti, sensazioni ed emozioni che l’uomo possiede. Questa costituisce la parte più gradevole e armoniosa del sè, il quale non è altro che la totalità dell’essere

Jung e la psicoterapia

I metodi di lavoro della psicoterapia junghiana prevedono sedute verbali nelle quali trovano spazio l’interpretazione dei sogni fatti nella vita reale, le fantasie, i racconti, le libere associazioni e i metodi espressivi della persona, come ad esempio disegni spontanei, autobiografie oppure sandplay therapy. Indipendentemente dalla gravità del disturbo e dalla sua diagnosi accurata, la terapia analitica basata sulla psicologia junghiana desidera riadattare la realtà, rendendola inclusiva dei bisogni e delle motivazioni più profonde del soggetto. Essa rappresenta un percorso adatto anche a chi decide di indagare nel profondo della propria psiche. Nel caso in cui si desideri scoprire le ragioni sotterranee di problemi, fallimenti relazionali o angosce è possibile farlo attraverso questo metodo. Oggi l’iter della terapia analitica si è molto evoluto rispetto ai tempi di Jung, ma mantiene lo stesso approccio sviluppato dallo psicologo svizzero.

Il pensiero di Jung e quello di Freud

Nonostante Jung debba moltissimo a Freud, non commettiamo l’errore di pensare che questi giganti si trovarono sempre d’accordo. Tra i due vi è infatti una notevole distanza, dovuta a una rottura che coinvolse le due dottrine quando Jung mise a punto la propria teoria psicologica. Questi rifiutò infatti, in maniera netta, il pansessualismo freudiano. Secondo Freud, al centro del comportamento psichico degli individui vi è, sempre e comunque, l’istinto sessuale. Nella sua concezione è la sessualità che ci governa. Jung, invece, riteneva che il comportamento dell’uomo non è condizionato soltanto dalla storia individuale e dalla sua appartenenza alla razza umana, innegabilmente animalesca e legata a istinti primordiali come ogni altra creatura che cammini, voli o nuoti su questo pianeta. L’individuo si orienta anche a seconda delle sue aspirazioni e dei suoi scopi.

Il comportamento presente è guidato sia dal passato, come realtà, sia dal futuro, come eventualità. Per tal motivo Jung diede vita alla psicologia analitica. Lo scopo clinico di questa disciplina è quello di riportare il soggetto alla realtà, liberandolo dai disturbi patogeni. Nel suo libro più importante, intitolato Tipi psicologici (1921), Jung parla di personalità, o psiche, e attribuisce un posto centrale al già visto selbst (sé), intorno a cui raggruppa ogni altro sistema psichico. Il selbst funge da collante. È in grado di garantire alla personalità equilibrio e unità. Jung concepiva la personalità come un sistema dotato di energia. L’energia psichica individuale si fortifica legandosi con quella scaturita da fonti esterne. Al fine di spiegare la dinamica della personalità, Jung prende in prestito il concetto di libido, ma lo ripropone in un’altra salsa. Ciò che, per Freud, rappresentava un insieme di tendenze sessuali dell’uomo, per Jung è energia e può essere rivolta verso l’interno come verso l’esterno.

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