Il cinema è, sin dalla sua nascita a fine Ottocento, un mezzo artistico e di comunicazione con delle potenzialità enormi. Seppur inizialmente sottovalutata come forma d’arte, ben presto fu chiara l’influenza che questa poteva avere sugli spettatori: ecco quindi nascere la cinematerapia, cioè una terapia cognitiva che sfrutta il cinema come strumento.
Che cos’è la cinematerapia
La cinematerapia, o filmterapia, utilizza i film o parti di essi come strumenti terapeutici, inserendosi quindi in quel gruppo di cure complementari chiamate arteterapie. Si tratta di un approccio creativo alla terapia, in cui ai pazienti viene chiesto di guardare dei film relativi alle problematiche che stanno affrontando o con riflessioni relative ad esse. Le pellicole vengono viste autonomamente dal paziente tra una seduta e l’altra oppure nel corso delle sedute stesse, così da poter poi essere discussi insieme allo psicoterapeuta. I film permettono infatti di affrontare certe tematiche diminuendo la resistenza del paziente, favorendo l’espressione delle emozioni, aiutando i clienti a guardare le problematiche da un altro punto di vista e fornendo modelli di soluzioni alternative. È dunque una terapia innovativa, ma ancora saldamente legata ai principi della terapia tradizionale.
La storia dei suoi studi
La nascita della cinematerapia è correlata agli studi del cosiddetto neurocinema, ossia una branca scientifica che si occupa di studiare il legame che c’è tra cinema e le neuroscienze. Nonostante sia stata messa in pratica all’inizio degli anni Duemila, l’idea è sempre stata presente sin dal secolo scorso. La metodologia della cinematerapia, in particolare, è stata messa a punto dall’Istituto Solaris a partire dalla fine degli anni Settanta, sull’esperienza maturata all’interno dei Laboratori Cosmo-Art della Sophia University of Rome.
Uno dei più importanti studiosi contemporanei della disciplina è Giacomo Rizzolatti, neuroscienziato italiano, che, con il suo lavoro, portò a una delle più importanti scoperte della neuroscienza su cui si è capito basarsi la cinematerapia: i neuroni specchio. Si tratta di neuroni che si attivano quando si compie un’azione o quando la si osserva, “rispecchiando” nella mente dell’osservatore ciò che compie il soggetto osservato e creando, quindi, empatia. Grazie ad essi, il neurocinema ha potuto spiegare perché gli spettatori empatizzassero con i personaggi dei film che vedevano.
In aggiunta, alcuni recenti studi americani hanno voluto indagare la quantità di ormoni presenti nel sangue dopo la visione di un film, registrandone un aumento e quindi ipotizzando il loro coinvolgimento negli stati d’umore differenti.
Gli effetti sulla mente
Si è visto, dunque, come, grazie alla capacità dei neuroni specchio di creare empatia con ciò che si osserva, il cinema possa risultare non solo un supporto emotivo per lo spettatore, ma anche una vera e propria terapia complementare. Questo perché i film possono trasmettere, per esempio, concetti estranei o di difficile apprendimento per alcuni individui, come la consapevolezza di sé, il rispetto, l’amore, l’umorismo, la giustizia, l’umanità. Tramite dei meccanismi di identificazione e proiezione, è più facile per il paziente riconoscere e affrontare una questione o una problematicità che lo affligge personalmente, dando un significato diverso alla propria esperienza.
Non solo: così come il secolo scorso successe per l’apprendimento della lingua in sé, alcune persone grazie al cinema sono riuscite a far proprie espressioni, metafore, gestualità, potendo così esprimersi in una maniera diversa, più complessa e dunque più efficace.
La cinematerapia, quindi, si avvale dell’effetto evocativo, simbolico e allegorico delle immagini filmiche per stimolare nell’individuo lo sviluppo di nuove competenze e l’elaborazione delle emozioni. Secondo John W. Hesley, psicologo clinico: “Molti terapeuti stanno cominciando ad utilizzare i film per rendere più veloci i cambiamenti positivi”.
Cosa non è la cinematerapia
Essendo un’arteterapia, è facile che la cinematerapia venga fraintesa e scambiata con pratiche e pseudocure che invece hanno ben poco in comune con essa. Non si tratta, infatti, di un modo per evitare un percorso psicoterapeutico strutturato e seguito da un esperto. Non è qualcosa di mistico, né tantomeno una speculazione esoterica: si tratta di un aiuto terapeutico basato su studi neuroscientifici e benefici evidenti provati dai pazienti sottoposti a tale metodologia.
Sicuramente, una terapia tale va ragionata e attuata con coscienza. Ci sono stati dei casi in cui dei film hanno ispirato delle azioni negative, come per esempio nel caso del film Natural Born Killers di Oliver Stone (1994). Il film ha accidentalmente “ispirato” alcuni delitti atroci, come il massacro della Columbine High School o il caso Edmondson e Darras. Questi eventi dimostrarono come certe persone, probabilmente con disturbi psichiatrici silenti o non ancora diagnosticati, potrebbero non filtrare ciò che gli viene mostrato e quindi produrre un’interpretazione sbagliata delle scene, finendo talvolta per emularle.
Alcuni esempi di cinematerapia
La cinematerapia si è dimostrata essere molto efficace nella cura di diversi disturbi, tra cui in particolare la schizofrenia. I film in questo caso possono migliorare la consapevolezza dell’individuo, le sue capacità relazionali e quindi dandogli una forma mentis differente. Un prodotto cinematografico che è stato molto apprezzato da persone schizofreniche è A Beautiful Mind di Ron Howard (2001).
Un’altra applicazione della cinematerapia è la creazione stessa di un cortometraggio da pazienti clinici. Questo perché la realizzazione di questi può dare spazio alla loro creatività e può insegnargli a mettersi nei panni dell’altro, imparando sulla propria pelle il potere dell’empatia. Ancora, l’associazione Memofilm di Bologna ha proposto la creazione di un corto come terapia complementare nel trattamento delle persone affette da deterioramento cognitivo e demenza.