Paolo Rossi / Milena Meistro
Pochi giorni fa la Società Italiana di Psichiatria (rif. “Psichiatri, chiudere un ospedale giudiziario ogni 6 mesi
Oltre 1000 i detenuti-pazienti, una road-map verso stop nel 2017″) ha presentato una road- map in sette mosse per individuare delle alternative rispetto alla gestione dei pazienti sino ad oggi reclusi in OPG.
Questa agenzia ha suscitato ulteriormente il nostro interesse in quanto da diversi anni nella nostra comunità terapeutica accogliamo e trattiamo pazienti autori di reato, spesso provenienti dagli OPG.
In particolare:
1. Monitoraggio dei percorsi di cura.
Quali sono i criteri per monitorare i percorsi terapeutici? Da quando partirebbe tale monitoraggio: dall’ingresso del paziente in OPG, o dall’uscita dallo stesso? Verranno coinvolti gli operatori che sul campo si cimentano quotidianamente con tale tipo di pazienti? Il percorso di cura ha un obiettivo condiviso finale di tipo evolutivo e terapeutico o è esclusivamente finalizzato a togliere il paziente dall’OPG?
2. Stop da aprile 2014 all’invio di pazienti alle strutture ancora operative.
In attesa della creazione delle REMS, strutture per altro al momento non chiare nella loro operatività e nella loro differenziazione dagli OPG esistenti, i pazienti che nel frattempo compiono reati dove andranno a finire? Tutti in carcere? Nelle comunità terapeutiche? Agli arresti domiciliari a casa?
3. Realizzazione di sezioni in carcere dedicate ai malati.
Poiché i detenuti nelle carceri che soffrono di patologia psichiatrica sono circa 10000 (il 16% della popolazione carceraria), eventuali sezioni carcerarie dedicate ai malati sarebbero destinate a questi o anche ai mille pazienti psichiatrici detenuti in OPG? Tutti i pazienti psichiatrici sono compatibili con un regime carcerario sebbene sistemati in una sezione specifica? E quali requisiti dovrebbe avere la stessa?
4. Aumento dell’assistenza ambulatoriale dei DSM nelle carceri.
Che tipo di progetti si possono creare in quest’ottica? Il rischio di incrementare l’utilizzo di strumenti di contenzione chimica in assenza di un vero percorso di cura potrebbe inficiare la creazione di un progetto più evolutivo?
5. Chiusura di un OPG ogni 6 mesi da aprile 2015.
Proposta sensata ma quanto sarà possibile rispettare la tempistica tenendo conto delle differenze già esistenze tra i singoli OPG, nella popolazione dei pazienti, nei DSM di tutti Italia e nelle risorse territoriali?
6. Percorsi extradetentivi.
Oggi esistono dei percorsi alternativi alla permanenza in OPG ( licenze finale esperimento ecc. in Comunità terapeutica). Tuttavia, si tratta di un universo polimorfo e disomogeneo in quanto non esiste per quanto ci risulta una mappatura delle strutture residenziali pubbliche e private idonee al trattamento di pazienti autori di reato. Esiste un sistema per fare interagire e collaborare le diverse agenzie chiamate in causa? ( operatori sul campo, SPDC, DSM, autorità giudiziaria, periti del tribunale, rappresentanti legali dei pazienti, familiare erete di supporto ecc.), esiste una formazione specifica?
7. Passaggio dal concetto di misura di sicurezza a quello di sicurezza della cura.
Il concetto è interessante ma riteniamo utile sottolineare l’importanza che il ruolo contenitivo rivestito nella mente del paziente da parte del Magistrato di sorveglianza spesso rappresenta uno strumento terapeutico di fondamentale applicazione nella gestione quotidiana del paziente; l’assunzione di tale ruolo, anche fantasticato, da parte di figure prettamente cliniche farebbe perdere il test di realtà ( chi mi cura è anche colui che può farmi uscire) con tutti i rischi che una siffatta relazione non approdi ad una reale alleanza terapeutica.