La tragedia di Bari e la difficoltà innegabile ad elaborare un lutto che ci accomuna come categoria, spinge alcuni sull’onda della comprensibile emozione a chiedere della azioni correttive, che possono anche diventare, magari opportunamente, punitive.
L’esplosione di violenza da parte di pazienti affetti da malattia mentale è sicuramente uno dei problemi che possono porsi soprattutto per soggetti non curati o che si fanno curare solo saltuariamente; lo è altrettanto ed anche in modo più rilevante, per persone cosiddette normali che compiono atti efferati per sfuggire alle proprie responsabilità (vedi caso della hostess brasiliana uccisa dall’amante) o per depredare o per sadismo ( vedi gli adolescenti che hanno ucciso per gioco).
La psichiatria ha sempre avuto a che fare oltre che con la sofferenza mentale con la marginalità e l’esclusione sociale ed è stata anche da regimi totalitari utilizzata per escludere ed eliminare i dissidenti.
Il modello organizzativo dell’assistenza psichiatrica deve tutelare il paziente dalla prepotenza degli psichiatri, ma gli psichiatri devono opportunamente tutelarsi per non essere oggetto di atti violenti che non hanno nulla a che vedere col rapporto terapeutico e con la terapia.
La voglia di contrapporre alla forza della follia la forza della normalità in uno scontro simmetrico no ha ma sortito effetti benefici né per gli uni né per gli altri.
Non penso sinceramente che ci sia un problema di genere che garantisca il contenimento dell’esplosione violenta, penso che sicuramente ci debba essere un filtro maggiore tra la domanda e la risposta e che alcuni accorgimenti strutturali e procedurali possano meglio garantire il lavoro di ciascuno di no.
Sicuramente la collega oggetto della barbara uccisione era stata lasciata sola e, come ben comprendete, questa solitudine ha concorso nel favorire l’esito tragico.
In un momento in cui prevale il concetto del risparmio a tutti i costi mi sento di poter dire che questo è un costo inaccettabile.
In un paese allo sbando bisogna saper investire in formazione non fine a se stessa ma centrata sull’individuare e risolvere i problemi che ci si pongono tra cui quello della sicurezza reciproca ma anche quello della tempestività e della appropriatezza delle cure Non è certo con la militarizzazione dei servizi per la salute mentale che risolveremo questi problemi.
certo, non è con la militarizzazione dei servizi: non è con la guerra che si risponde alla violenza, ma è con la consapevolezza, la conoscenza, la cultura, l’attenzione, la cura di non andare alla deriva della superficialità, dell’improvvisato, della fiducia non controbilanciata da un pensiero critico, reale. Ma anche dalla solitudine che a volte si prova lavorando in psichiatria, dalla scarsa emozione degli altri che guardano con occhio appannato il dramma del malato, del tosicodipendente, del deviante, e se uno se ne prende cura rischia di precipitare in un salvataggio pericoloso per se solo, preso da un desiderio salvifico o da una routine mortifera. Non so come è stata la drammatica vicenda nè penso che lo si possa sapere dalle notizie, quindi la mia è una riflessione libera, lontana dall’accaduto ma rivolta a stimolare la nostra capacità di condividere e di pensare insieme per evitarci ed evitare drammatici errori.